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Anna Lombroso per il Simplicissimus
Stamattina, garrulo e mattiniero come il canto del gallo, un tweet del presidente della Regione Liguria è rimbalzato di profilo in profilo, molto ripreso, con pochi distinguo per il tono, ma molto consenso per via di quel buonsenso praticone che caratterizza il neoliberismo nella sua vulgata popolare.
Giovanni Toti, testè rieletto, da sempre contro a lockdown generalizzati, ha scritto che prima di imporre nuove limitazioni, è necessario « tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani», ha precisato, «persone cioè per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che però (bontà sua, n.d.r) vanno tutelate».
Come è prassi lui ha creduto bene di ritrattare prendendosela con i social, che invece hanno visto registrare l’approvazione di molti sociologi della tastiera che sia pure in età non giovanissima, da giorni per via della proclamata riviviscenza della peste, raccomandano, termine mutuato dal gergo della giurisprudenza contiana, agli anziani di assoggettarsi di buon grado a una volontaria reclusione per il proprio bene e per quello del sistema nazionale per il quale rappresentano un peso.
Deve essere successo qualcosa di tremendo che ha subito una accelerazione da quando ci viene spiegato che il diritto alle sopravvivenza è superiore a ogni altro, che rende meritevoli e necessarie le rinunce e legittime le divisioni e le disuguaglianze.
Quando la signora Lagarde si fece uscire da quella bocca a culo di gallina (il copyright è di un suo autorevole pari) in qualità di presidente del Fondo Monetario gli stessi concetti, con una sfrontatezza maggiore e un superiore cinismo dovuti al suo ruolo, quando la professoressa Fornero le corse dietro con le stesse rivendicazioni di assennatezza padronale, dimenticando di riferirsi agli stessi soggetti che voleva pimpanti al lavoro, se non al tornio, allo sportello e pure al tavolo operatorio, purché di ospedale pubblico, ci fu una alzata di scudi.
Oggi invece, rincuorati, si sono espressi così quelli che ormai quotidianamente monitorano le uscite invereconde della vicina attempata che va a fare la spesa, radiografano il sacchetto e lo pesano virtualmente per criticare il quantitativo poco lodevole che fa supporre un’indole e appetiti voraci e indisciplinati, sottoponendola a pubblica gogna per essersi mossa di casa “” (cito da una opinionista su Fb).
Devono proprio essersi spezzati antichi patti generazionali, rimasti ancora intoccati finché i nonni hanno contribuito con la pensione a pagare master, viaggi di studio, motorini, findi pensionistici della dinastia, finchè hanno rinunciato alla casetta al paesello perché intraprendenti Qui Quo Qua diventassero manager dell’accoglienza adibendola a B&B, finche non è diventato un reclamo generalizzato quello rivolto da trentenni e più su a genitori colpevoli di averli viziati lasciandoli impreparati alle sfide crudeli della modernità, e allo stesso tempo di aver troppo avuto e goduto come cicale lasciandoli a secco.
Così i vecchi diventano accettabili se dimostrano di essere immortali, uscendo vivi e vegeti da malattie, rovesci di fortuna, complotti di palazzo, pene alternative. Meglio ancora però poi se sono morti, cui si guarda come a venerabili maestri rimpianti mettendo le immaginette e le massime su Facebook, ricordando la ricetta della sfoglia che li ha fatti diventare chef, o la frema tenacia con cui hanno iniziato giovani atleti alla competizione.
Macché, se sono sfigati come noi, meglio che si levino di torna, senza una soluzione finale vera e propria, ma grazie a una invisibilità che non susciti sensi di colpa in figli e nipoti ingrati che riesumano i pensieri di Pertini, Veronesi, Bonatti, papi buoni (non quel papi, per quanto però poco ci manca) rimuovendo invece la saggezza popolare: “quello che una mamma ha fatto per sette figli, sette figli non fanno per una mamma”, o “bue vecchio, solco diritto”, o “quello che tu sei io ero, quello che io sono tu sarai”.
E vagli a dire che uno degli effetti collaterali della vecchiaia è la solitudine, che guardandosi in casa dovrebbero sapere che non esiste un sistema sociale che provvede a riempire il frigo, a andare alla posta, a pagare le bollette, se viene meno il welfare domestico, ormai dedicato prioritariamente a altri destinatari, figli in didattica distanza ad esempio, o condiviso con i tempi del part time indicato come appagante soluzione in quota rosa. E che la digitalizzazione e l’informatizzazione alla quale faticosamente e con dispendio di soldi si stanno adeguando lavoratori, insegnanti e studenti, esclude a priori interi segmenti di popolazione condannandoli a non avere accesso a servizi, Inps ad esempio, irraggiungibile anche per i nativi digitali più scafati.
E vagli a dire che per molti l’isolamento è impossibile se la crisi in tutte le sue declinazioni, degli alloggi, delle coppie, della disoccupazione e pure del monoreddito, ha reso la casa una comune non proprio gradita, se il lockdown ha messo alla prova affetti cementati da anni in bilocali angusti dove si consuma la fatica della convivenza coatta come in galera e dello scontro tra generazioni.
E vagli a dire che da anni prima dei recenti fasti del Trivulzio tornato alla cronaca, delle case di riposo convertite in lazzaretti, succedeva già quello che è stato deplorato in Svizzera se non a norma di legge, condannando gli anziani a farsi una ragione su una morte precoce per via di una minore aspettativa di vita, che magari potrebbe contribuire a rendere invece moralmente migliore quella dei giovani.
È una fortuna che i partigiani ricordati una volta l’anno in piazze elettorali siano ormai morti, pensate oggi come rimpiangerebbero i rischi corsi, le sfide affrontate, il coraggio mostrato per noi e in nostro nome.
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