Una breve storia della depenalizzazione dell’omosessualità* in Unione Sovietica.


All’inizio del ventesimo secolo, l’omosessualità era considerata nella maggior parte dei paesi non solo immorale, ma anche un crimine. A causa della percezione della differenza sessuale come comportamento scorretto e deviante, gran parte della lotta iniziale riguardava la depenalizzazione dei comportamenti sessuali non-normativi.

Durante questo periodo il discorso sessuale si intensificò, rendendo possibile anche l’articolazione di una nuova narrazione sul sesso e la sessualità, tanto da diventare metafora del sistema globale degli Stati-nazione. La forma etero-maschile, quindi, rappresentava lo Stato nazionale, la nazione virile e potente.

 

Prima della Rivoluzione

La regolamentazione in termini punitivi della sessualità fu praticata nella maggior parte dell’Occidente e le norme che la disciplinavano furono applicate in tutta l’Europa occidentale. A differenza di quest’ultima, tuttavia, la Russia zarista non perseguitò mai sistematicamente la popolazione LGBT, anche se la sodomia era formalmente proibita dal Codice penale sin dal 1835. Di fatto, fino al 1905, la maggior parte dei processi per sodomia furono avviati da civili, non dalla polizia o da altre forze dell’ordine.

L’abolizione della servitù della gleba nel 1861 e l’industrializzazione iniziata circa due o tre decenni dopo, favorirono l’arrivo di una gran massa di contadini nelle città. Questi contadini cominciarono a formare nuove comunità negli spazi urbani, dove c’erano norme culturali meno restrittive e conservatrici. Nelle principali città dell’impero zarista e semi-feudale, soprattutto a Mosca e a Pietrogrado, emersero molte sottoculture sessuali non-normative. Saune, viali, circoli di poesia frequentati prevalentemente da uomini interessati ad avere rapporti sessuali con altri uomini; persino i diari intimi della nobiltà zarista: tutto questo ricostruisce la vera storia delle minoranze sessuali in Russia.

Una sfortunata conseguenza di ciò, inoltre, fu che qualsiasi cosa percepita come femminile – meno degna di quanto identificabile col maschile o eterosessuale, quindi come una minaccia per la Nazione – fu ripudiata. E qui sta la risoluzione dell’enigma: poiché l’unità nazionale postulava la coesione del corpo sociale, le minoranze sessuali, non assimilabili in questo schema, hanno finito per rappresentare l’alterità e l’estraneità. A questa impostazione è riconducibile l’idea che l’omosessualità sia stata “importata” dall’Europa, tesi che si è inverata nelle politiche adottate sia da Stalin che da Putin.

Prima di Putin e della persecuzioni staliniste nei confronti delle persone LGBT, negli anni Venti i bolscevichi furono i primi al mondo a depenalizzare l’omosessualità in Occidente. Ciò li ha resi un punto di riferimento per l’organizzazione delle lotte LGBT nel mondo del XX secolo.

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Un bagno pubblico a San Pietroburgo.

La fallita rivoluzione del 1905 inaugurò comunque un momento di maggiore libertà di espressione, soprattutto in campo culturale e letterario. Anche se non esistevano organizzazioni in difesa delle minoranze sessuali, c’era chi lottava contro la criminalizzazione.

 

Il trionfo della depenalizzazione

Alla fine dell’Ottocento in Europa, diverse persone si schierarono contro la criminalizzazione dell’omosessualità. Karl Heinrich Ulrichs nell’agosto del 1867 fece coming out davanti al Congresso dei giuristi tedeschi a Monaco di Baviera. Egli protestava contro l’articolo 143 del Codice penale prussiano e nel suo discorso professò apertamente la sua omosessualità. Karl-María Kertbeny condannò anche la criminalizzazione nei suoi scritti, e fu il primo a usare la parola “omosessuale” per descrivere coloro che praticavano rapporti sessuali omosessuali. Il termine sarà usato successivamente nel 1886 nel primo libro di psichiatria sulle “perversioni sessuali”, Psychopathia Sexualis. Alla fine dell’Ottocento a Berlino, Magnus Hirschfield fu uno dei più accesi sostenitori della depenalizzazione dell’omosessualità; egli parlò al Parlamento tedesco a nome del partito socialdemocratico.

In URSS, nel 1903, sotto l’ordine dello Zar, fu approvato un nuovo Codice penale. I liberali si opposero alla criminalizzazione dell’omosessualità appellandosi al diritto alla privacy e all’autonomia personale, eppure essa rimase un crimine. Solo con la rivoluzione bolscevica il vecchio Codice penale fu sradicato, e la sodomia tra adulti consenzienti depenalizzata. Il provvedimento fu confermato nel maggio del 1922 con la creazione di un nuovo Codice penale sovietico.

Il fatto che l’URSS sia stata in grado di depenalizzare l’omosessualità decenni prima di altri paesi ha delle cause storiche precise. Si tratta delle specificità di quel momento storico e del ruolo del partito bolscevico nei confronti dei soviet che ha reso possibile la depenalizzazione nel primo dopoguerra. Questa decisione è stata accolta nonostante la presenza di fazioni conservatrici in Russia, in un momento di crisi economica massiccia, oltre ad una guerra civile sostenuta da potenze imperialiste che cercavano di schiacciare l’URSS.

Alexandra Kollontai, importante dirigente del partito bolscevico, fu una esemplare sostenitrice della liberazione sessuale, impegnata a sostenere i diritti delle minoranze sessuali; faceva parte del Comitato centrale del Partito bolscevico e del Commissariato del Popolo per la previdenza sociale. Partecipò alla Lega mondiale per la riforma sessuale, che aveva sede a Berlino ed era guidata da Magnus Hirschfeld e che divenne il fulcro di importanti campagne per l’emancipazione omosessuale in tutta l’Europa occidentale.

Altri sostenitori della depenalizzazione venivano dal settore sanitario, come Grigorri Batki, che presiedeva l’Istituto di igiene sociale di Mosca. Egli ha sostenuto che “la legislazione sovietica dichiara la non interferenza assoluta dello Stato e della società in materia sessuale”. Molte di queste opere sono state tradotte in russo dal tedesco.

Eppure, come sottolinea Sherry Wolf, autrice di Sexuality and Socialism, i bolscevichi non erano necessariamente “profondamente illuminati sulle questioni di genere o di sessualità… si stavano semplicemente interrogando sull’idea di liberazione umana e si opponevano all’oppressione”. Inoltre, insieme alla depenalizzazione della sodomia, donne e e persone trans servirono apertamente nell’Armata Rossa, almeno una licenza di matrimonio omosessuale fu documentata, e secondo Wolf, le persone trans avevano accesso alla chirurgia medica per la riassegnazione del sesso.

La questione della sessualità assunse maggiore importanza in seguito al movimento per i diritti delle donne, discusso e teorizzato dai bolscevichi e dalla società in generale. Il movimento delle donne aveva già compiuto profondi progressi alla fine del diciannovesimo e all’inizio del ventesimo secolo. All’interno del partito bolscevico ci furono intensi dibattiti che portarono al delinearsi di una chiara politica per la liberazione delle donne.

I frutti della liberazione sessuale e di genere sono stati storicamente significativi; hanno preceduto la depenalizzazione della sodomia in diversi paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti. Questi risultati del movimento per la liberazione sessuale hanno aperto la strada per le richieste delle attiviste LGBT negli Stati Uniti degli anni ’70, con le sommosse della Compton’s Cafeteria e di Stonewall.

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Un manifesto di propaganda stalinista che mette in ridicolo due soldati tedeschi che appaiono effeminati.

Più tardi, dopo la controrivoluzione stalinista, nel maggio 1934 fu approvata una nuova legge che reintroduceva il reato di sodomia. Iniziò una campagna per additare gli omosessuali come agenti fascisti importati in Unione Sovietica dall’Europa occidentale, in particolare dalla Germania. La politica fu criticata da persone come Wilhelm Reich, che fu espulso dal partito comunista tedesco dopo la svolta politica degli anni Trenta. Il suo articolo, “La rivoluzione sessuale”, indicava la legislazione sovietica come la più progressista dell’epoca e criticava furiosamente la ritirata guidata dallo stalinismo.

 

Emancipazione LGBTQIA oggi

Nonostante l’ombra dello stalinismo e dell’attuale regime di Putin, la depenalizzazione dell’omosessualità dopo la Rivoluzione russa è stata una delle tante misure sovietiche sulla via della liberazione dell’umanità dalla schiavitù salariale e da ogni forma di oppressione.

In un mondo in cui il capitalismo continua ad affidarsi all’omofobia e alla transfobia per rafforzare il potere repressivo dei governi e dividere gli sfruttati e gli oppressi, è fondamentale ricordare queste vicende. Le persone LGBT devono ricordare le nostre radici radicali e intraprendere la lotta per il socialismo, soprattutto perché la lotta per la libertà sessuale è indissolubilmente legata alla lotta rivoluzionaria.

*Questo testo usa il termine “omosessualità”, così come veniva usato in quel periodo. Il termine LGBT+ e una discussione sui diritti delle lesbiche e sulla liberazione trans non esistevano negli stessi termini affermatisi durante la seconda metà del XX secolo.

 

Rodrigo Lopez, Pablo Heron

Traduzione da Leftvoice