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Con questo articolo si inaugura la collaborazione fra Enrica Perucchietti e Comedonchisciotte. La settimana scorsa era già stata pubblicata l’intervista che ci ha rilasciato. La trovate qui, in attesa che torni disponibile anche sul canale Youtube. Essere stati oggetto dell’attenzione di lor signori della censura attesta che si sta lottando dalla parte giusta.
Di Enrica Perucchietti
Dai
tempi della Grecia antica, culla della cultura occidentale, l’uomo era,
secondo la definizione di Aristotele, un “animale sociale e politico”.
Con la pandemia, il lockdown e le nuove misure liberticide basate sul
biopotere e riconfermate domenica da Conte con l’ennesimo Dpcm, possiamo
certificare, come già scrivevamo a marzo con l’avv. Luca D’Auria in
Coronavirus. Il nemico invisibile, l’avvento di un nuovo paradigma, una
nuova forma di essere umano, quello di “animale virtuale”.
Il nuovo
paradigma, basato sulla virtualità, investe tutti i settori della nostra
vita e si appresta a modificare anche in senso antropologico la
società. Non si tratta soltanto di lavorare da casa tramite lo smart
working, ma di affidare alla tecnologia ogni ambito del nostro vivere
quotidiano (economia, produzione, cultura, spettacolo, giustizia, ecc.)
che passa attraverso la distruzione della socialità e l’imposizione di
una politica basata sulla paura, sulla solitudine e sul sospetto.
Si
vive immersi nella paura, alimentata dal susseguirsi di bollettini di
guerra, in cui il numero dei morti o dei positivi (non viene specificato
se questi siano “malati” o asintomatici) precede quello dei guariti o
dei sani.
Si vive in un eterno presente attanagliati dalla
consapevolezza che tutti possono essere colpiti dal virus, in qualunque
momento. Ovunque. Un eterno presente in cui viene inoculata
nell’opinione pubblica l’idea che gli untori vadano “stanati” e
neutralizzati come un animale o come il cattivo di un videogame.
Si
vive in quarantena dagli altri, isolati dal mondo, consapevoli di essere
diventati fragili e dipendenti dalla tecnologia, per lavorare, per
rimanere connessi (i social network) e per passare il tempo (smartphone,
PC, tablet e le piattaforme di film on line). Barricati in casa a
lavorare o a fare indigestione di serie TV, abbiamo abbandonato la
nostra natura di esseri sociali in virtù di quella virtuale.
Le
città deserte, la quarantena forzata e la paura del virus hanno
proiettato l’uomo animale sociale dentro un reale virtuale. A osservare
il mondo da una finestra e ascoltare le notizie da uno schermo. Isolati,
a distanza di sicurezza. Fino a domenica in cui l’ennesimo Dpcm non ha
battezzato anche le prime proteste che si sono diffuse a macchia d’olio
in tutto il Paese.
In pochi mesi abbiamo assistito alla
trasformazione radicale dell’uomo in un essere amorfo e impaurito,
schiacciato sotto il peso di una politica orwelliana della paura, del
sospetto, dell’isolamento, del distanziamento e della solitudine. A cui
viene sottratto, proprio come in 1984, persino il tempo libero, i
passatempi, il sesso, le amicizie, la convivialità, ogni angolo di
socialità che non sia virtuale e regolata dall’alto.
Anche in questo
caso i paragoni con 1984 si fanno pressanti, a tratti inimmaginabili,
in quanto è come se non fossimo riusciti a elaborare la lezione
orwelliana, facendoci trovare impreparati dinanzi allo strisciante
costituirsi di una dittatura sanitaria. Perché possiamo girarci intorno,
ricorrere ad ardite perifrasi, camminare in punta di piedi, ma questo
è.
Proprio nel capolavoro orwelliano troviamo al Lega giovanile
anti-sesso a cui appartiene Julia: per garantire l’infallibilità del
regime, il sistema cerca di distruggere ogni tipo di rapporto umano per
spersonalizzare le masse e poterle controllare in maniera totale. La
diffidenza e il sospetto reciproco annullano la possibilità di
coalizione e di creare rapporti profondi, intimi, solidali. All’amicizia
ma anche all’amore, all’attrazione e alla passione, si contrappone
quindi una politica dell’odio, della paura e della solitudine.
In 1984, a differenza da quanto immaginato da Aldous Huxley ne Il mondo
nuovo, dove i cittadini godono di una saturazione inesauribile di
piacere e il sesso è promiscuo (non esiste più la monogmania né
tantomeno la famiglia) vi è una repressione del sesso e delle relazioni
amorose: «La repressione sessuale – scrive Orwell – produceva isteria,
uno stato d’animo auspicabile, perché poteva essere indirizzato verso la
psicosi bellica e verso il culto del capo».
Il matrimonio, infatti,
ha come unico obiettivo la procreazione (è il “buonsesso”, ci si sposa
solo per fare il proprio dovere, ovvero procreare, altrimenti si deve
perseguire la castità), mentre le relazioni sessuali sono vietate (ci si
macchierebbe di “sessoreato”): «I rapporti sessuali dovevano essere
considerati come una sorta di operazione minore, lievemente disgustosa».
L’individuo è così abbandonato a se stesso, in modo che non possa fare
altro che seguire i precetti del Partito e convogliare la propria
passione e le proprie pulsioni nell’adorazione del Grande Fratello o
proiettarle con foga nella cerimonia dei Due Minuti d’Odio.
Dopo
mesi di bombardamento mediatico, misto di paura e catastrofismo, dopo
aver indotto paranoie e creato schiere di delatori, imposto il
distanziamento fisico e sociale, sorvegliato i trasgressori e sommerso i
cittadini di divieti, regole e multe, l’occhio del Grande Fratello è
riuscito a insinuarsi persino in camera da letto con vademecum assurdi
degni della peggiore distopia. E dopo aver tentato di riprogrammare la
vita sociale e sessuale dei cittadini, l’ultimo Dpcm non ha fatto che
avallare il cambio di paradigma e il passaggio da uomo come animale
politico e sociale a quello di animale virtuale, destinato a convivere
con la propria paura per il presente in completa solitudine.
Una
modificazione così radicale e decisiva nella forma
antropologico-culturale dei rapporti umani non è ovviamente “caduta dal
cielo” sulla collettività ma è il risultato di un lavorìo lungo e
profondo che si accompagna con il progredire della tecnica e con il
trionfo di questa.
Ora è sotto gli occhi di tutti quello che scrivo
da anni. Le élite hanno deciso di abbracciare la teoria distopica del
Great Reset, la digitalizzazione, l’amazonizzazione, l’automazione e il
post-umano in tutte le sue accezioni. La tecnocrazia attendeva solo
l’occasione propizia per poter imporre un nuovo paradigma tecnologico
che oggi, strumentalizzando l’emergenza sanitaria, intende privare
l’essere umano della sua sfera sociale, isolandolo, tenendolo come un
atomo solo, spaesato e solitario, spersonalizzato, disorientato.
I
poteri dominanti sembrano aver deciso di sfruttare come un pretesto la
pandemia per stringere le maglie del controllo sociale e traghettarci,
mansueti disorientati e spaventati, verso una dittatura sanitaria,
abbandonando i paradigmi della democrazia per sostituirli con nuovi
provvedimenti e dispositivi governativi basati sulla “biosicurezza”.
La paura (inoculata quotidianamente dai media mainstream, dai loro
bollettini dei morti e dalla loro criminologia sanitaria) e la minaccia
della salute, infatti, hanno indotto nell’opinione pubblica l’idea che
si debba per forza scegliere tra salute e libertà per poter tornare a
sentirsi “sicuri”. Si è convinta la popolazione della necessità di
cedere libertà, privacy, diritti fondamentali e acconsentire
mansuetamente, mostrando una cieca e passiva obbedienza nei confronti
dell’autorità.
Finora nessun nemico “invisibile” era riuscito a fare
tanto. A creare un clima di panico e a distruggere la visione dell’uomo
come animale politico e sociale che avevamo ereditato da Aristotele.
Il nemico invisibile è riuscito a limitare le libertà fondamentali
grazie a uno stato di paura che è diventato uno stato di eccezione
permanente.
Dovremmo chiederci oggi, prima che sia tardi, cosa
succederà quando rientrerà l’emergenza e se sarà possibile tornare alla
vita di prima. Perché la dottrina dello shock riesce a ottenere su vasta
scala una forma di paralisi psicologica, spingendo le persone
disorientate ad accettare misure di restrizione della privacy e della
libertà che fino al giorno prima sarebbero state impensabili.
Gli
interrogativi sul presente e sul prossimo futuro sono tanti e tante
devono essere anche le riflessioni per ripartire avendo maturato delle
considerazioni su quanto è avvenuto, su quanto potrebbe avvenire e su
quello che è preferibile non si realizzi.
Enrica Perucchietti per ComeDonChisciotte.org
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