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di Giorgio Lo Grasso
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Credo ormai sia chiaro a tutti : l’inestricabile intreccio tra poteri politici nazionali e internazionali e grandi media è l’indicatore più evidente di come la pandemia di Covid-19 sia stata fin dall’inizio gestita molto più come un problema politico che come un problema sanitario, e questo sopra tutto in sede OMS. La credibilità della “scienza” e delle “agenzie regolatorie” ne esce massacrata da questa vicenda, danno collaterale di una narrazione prevalente globale a cui dei morti di COVID interessa molto meno del ricollocare o mantenere il potere nelle mani “giuste”. Ma procediamo con ordine…
Recentemente Donald J. Trump, dopo aver dichiarato la sua positività al Covid e dopo essere uscito guarito dall’ospedale in appena quattro giorni, aveva pubblicamente dichiarato : “Mi hanno dato Regeneron. Mi sono sentito bene subito. Avrete questa cura gratis. È molto più importante del vaccino…”
In quel momento sembrava che Trump, dopo aver smantellato pezzo per pezzo l’operazione terroristica sul Covid , si apprestasse ad infliggere il colpo di grazia a quel famigerato “deep state” a cui tanto cara sino a quel momento era stata invece la “trama iper-allarmista della crisi” e ancor più cara la linea politica secondo cui “mai ne potremmo uscire senza un vaccino…”.
I medici della Casa Bianca in quell’occasione dichiararono di aver curato Trump e signora usando anticorpi policlonali di Regeneron, con integrazione di zinco, vitamina D, Famotidine, melatonina e aspirina . Tutte ricette, secondo loro, inconfutabilmente efficaci per contenere e debellare ai primi sintomi la malattia del COVID. Chiaramente le immediate schermaglie tra gli “esperti” susseguitesi alle dichiarazioni dei dottori americani (e la recente mancata rielezione di Trump alla presidenza) sembrano ora aver spento le speranze di coloro che si attendevano il dietro-front di Big Pharma sull’indispensabilità dei vaccini. Tuttavia un risultato indubbio le dichiarazioni (post guarigione) di Trump lo hanno avuto : quello di far conoscere al mondo intero che curare la Covid è possibile..
Sulle varie cure al Covid i media, a livello globale, hanno sempre voluto parlarne poco, volutamente camuffando o raffreddando qualunque notizia potesse accendere le speranze su una possibile vittoria per via terapica alla pandemia. Eppure i progressi fatti in questi mesi in tal senso sono stati molteplici, alle volte strabilianti e credo quindi necessario, seppur brevemente, riassumerli qua sotto .
Per cominciare occorre ricordare che da quando (in aprile) si capì che la causa di morte nella patologia da Covid-19 non era tanto una polmonite interstiziale ma anche e sopra tutto un’embolia polmonare diffusa, venne immediatamente proposta la somministrazione di eparina (farmaco antiaggregante) ai pazienti, i risultati sin da subito si rivelarono efficaci nella riduzione degli esiti fatali. Anche la successiva somministrazione di aspirina e cortisonici nelle prime fasi si rivelò presto molto utile.
A distanza di un anno dalla scoperta del Sars-Cov-2 l’aspirina viene finalmente fatta rientrare dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) nel protocollo di cure da casa per la Covid-19.
Nell’esatto momento in cui vi scrivo, per quanto concerne le varie cure al COVID, abbiamo a disposizione almeno due anticorpi monoclonali in avanzato sviluppo clinico (fase III, e parlo dei prodotti Regeneron e Eli Lilly) e un farmaco recentemente approvato da FDA (Food and Drug Administration , l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici) e in attesa di definitiva approvazione anche da CMA in Europa, ossia il Remdesivir, l’antivirale con cui in Italia il Dott. Zangrillo ha curato dal Covid in appena una settimana l’ottantaquattrenne Silvio Berlusconi. (1)
Per quanto riguarda gli anticorpi policlonali è appena uscito (28/10/ 2020 ) sul New England Journal of Medicine, la Bibbia della ricerca clinica, il primo studio dell’anticorpo monoclonale neutralizzante LY-CoV-555.
Risultato principale ? Se usato ai primi sintomi, riduce il rischio di finire in ospedale del 72% . Dai dati preliminari dell’uso insieme a Dodi (LY-CoV-016) la riduzione di questo rischio sale ad oltre 85% nei soggetti a rischio (età >65 anni e BMI > 35). (2) Ottime notizie quindi.
Poi ci sono i due anticorpi di Regeneron (REGN10933 e REGN10987), quelli dati a Trump per intenderci, che hanno mostrato risultati simili, forse anche un po’ migliori. Per non parlare di altri in via di sperimentazione, tra cui quelli potentissimi di GSK, previsti a breve, e i famosi “nano corpi” per spray nasale, per cui ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Tecnicamente gli anticorpi policlonali sono diretti contro la proteina Spike di SARS-CoV-2 e il meccanismo dovrebbe essere ovvio: l’anticorpo si coordina alle “punte” del virus che così non può legarsi al recettore ACE2 delle nostre cellule per poi entrare al loro interno e iniziare a riprodursi.
Nei vari “trial” di sperimentazione i possibili problemi di questi anticorpi non si sono rivelati a livello di sicurezza (i trial clinici sui pazienti non hanno riscontrato tossicità), ma di costo e logistiche di produzione. Si tratta comunque di problemi che potrebbero essere attenuati con soluzioni legate alla cosiddetta “economy of scale”.
Per quanto concerne invece la tempistica , Regeneron e Lilly hanno chiesto recentemente la Emergency Use Authorization (EUA) alla FDA , e questo equivale all’autorizzazione per uso compassionevole, che si pensa imminente e che è in fase di discussione anche in Europa con EMA ed in Italia con AIFA.
Per ulteriori informazioni consiglio di leggere il commentario di Heidi Ledford uscito su Nature il 23/10 (“The race to make COVID antibody therapies cheaper and more potent”), ed un altro più lungo e più tecnico uscito il 21/10 su Nature Biotechnology (“COVID-19 antibodies on trial”) in cui parlano sette esperti tra cui due luminari del calibro di Dennis Burton ed Erica Saphire.
Chiaramente le “truppe cammellate” dei Pro-Vax non hanno tardato nel cercare di sminuire i successi ottenuti con gli anticorpi, sostenendo la loro inefficacia sui pazienti ospedalizzati. (3). Ovviamente la critica è piuttosto futile poichè chiunque abbia un minimo di conoscenza di virologia e/o immunologia , sa perfettamente che gli anticorpi monoclonali neutralizzanti SARS-CoV-2 NON funzionano se vengono somministrati a persone ospedalizzate in fase severa o avanzata della malattia. Nemo ad impossibilia tenetur, avrebbero detto i latini, ma andiamo avanti…
Oggi sappiamo che, a differenza dei comuni virus antinfluenzali, il Sars-Cov-2 non danneggia solo i polmoni ma entra nei capillari polmonari e si riproduce nella loro parete interna chiamata endotelio. È dimostrato da studi anatomopatologici e clinici che, quando il virus passa dalle narici alla trachea e raggiunge gli alveoli polmonari, entra direttamente nei capillari che circondano gli alveoli e spinto dalla pressione di perfusione, può raggiungere il cuore ed i vari organi del corpo umano, dove oltre a determinare una progressiva infiammazione dei polmoni provoca anche trombosi nel microcircolo. In alcuni pazienti, la distruzione dell’endotelio vascolare causa trombosi anche nel tessuto cardiaco, cerebrale o renale e determina infarti miocardici, ictus cerebrali o infarti renali. Come detto, la somministrazione (a domicilio..) di Aspirina, Eparina e Cortisone contrastano, fin dall’inizio, l’insorgenza di questi processi infiammatori e trombotici.
Sebbene solo oggi in Italia se ne consigli apertamente l’uso ai primi sintomi, una conferma che i farmaci antiaggreganti, somministrati all’inizio della malattia, riducono la mortalità nei pazienti Covid era arrivata mesi fa dall’Università Americana del Maryland che mettendo a confronto le cartelle cliniche di centinaia di pazienti aveva rilevato che l’uso abituale di aspirina aveva ridotto in modo significativo il rischio di ricovero in terapia intensiva e di morte. Utilizzando eparina, cortisone ed antivirali, i medici della New York University hanno stimato, su 5 mila ricoveri tra marzo e agosto, un abbassamento della probabilità di morte del 25.6% , mentre uno studio dell’Alan Turing Institute su 21 mila pazienti ospedalizzati in Gran Bretagna ha documentato un calo dei tassi di mortalità di circa 20 punti. (4)
Per quanto riguarda invece l’uso della famosa Idrossiclorochina, malgrado rimanga ancora controversa la sua utilità in fase di prevenzione, è decisamente tramontata quella come cura in fase sintomatica. La pietra tombale su idrossiclorochina l’ha messa il trial RECOVERY (5), in cui si è dimostrato che anche se somministrata “early”, (media 3 giorni da inizio sintomi) “nessun miglioramento si evidenzia nel decorso della malattia”.
Lasciano invece ben sperare le cura a base di “plasma iperimmune”, a cui ricordiamolo, un grosso contributo è stato offerto dal Prof. Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia e Utir dell’ASST di Mantova. Il meccanismo della terapia con plasma iperimmune consiste in una “donazione” di sangue (circa 600 ml) da parte di un paziente guarito da malattia da coronavirus; successivamente l’ospedale si occuperà di “ripulirlo” dei globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, trattenendo soltanto la parte liquida del sangue, ossia il plasma, che al suo interno ha, oltre ad alcune sostanze anti-infiammatorie, anche gli anticorpi che il donatore guarito ha sviluppato contro il coronavirus. Gli anticorpi presenti nel plasma vengono successivamente trasferiti (senza alcun rischio di rigetto) nel corpo del nuovo malato, che avrebbe così qualche strumento in più per reagire agli effetti del Sars-Cov2. Il limite di questa cura sembra essere però il fatto che difficilmente si è in grado di stabilire a priori la quantità di anticorpi prodotta dal donatore (se non dopo costosi esami..) e quindi senza dosaggio degli anticorpi neutralizzanti difficilmente risulterà possibile “standardizzare” gli esiti della cura, che rimane comunque efficace, secondo quanto rivelato in uno studio pubblicato su “Haematologica” dallo stesso De Donno, producendo una riduzione del tasso di mortalità assoluta pari al 9% dei pazienti. (4 bis)
Ma entriamo ora nel campo dei farmaci antivirali, dove sembra ormai chiaro si giochi li la vera battaglia contro il Sars-Cov-2, la grande battaglia tra prospettiva di cura per via terapica e prevenzione per via vaccinale.
Fin da principio gli anti-virali, sebbene in maniera disordinata, sono stati massicciamente usati anche in Italia nel tentativo di contenere i gravi effetti della Covid. A tal proposito ricordiamo come AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), incoraggiandone l’uso nelle varie terapie, confermava in un suo rapporto a giugno come i farmaci più impiegati per trattare Covid-19 in Italia erano stati per l’appunto antivirali come Darunavir/Cobicistat e Lopinavir/Ritonavir (già usati contro l’HIV..), più alcuni inibitori dell’interleuchina 6 (IL-6) come Tocilizumab e Sarilumab.
E qui la faccenda comincia a intorbidirsi, e non poco. Primo per l’assenza dell’uso di Remdesivir nelle terapie italiane, seppur tra gli antivirali venisse giudicato ovunque il più promettente al mondo, secondo perché l’ “inefficacia” dei farmaci precedentemente usati nella lotta all’HIV, era stata sin dall’inizio denunciata da più parti e man mano confermata dagli esiti ospedalieri nefasti.
Faccio a riguardo un breve riassunto: sin da febbraio, stando all’attività in vitro sino allora pubblicata, si sapeva che con Lopinavir e Darunavir “non c’erano speranze…”.
I risultati negativi del primo trial con braccio di controllo erano poi apparsi in “preprint” già il 19 marzo (6) e confermavano quel che già si sapeva dall’attività in vitro: “Lopinavir NON funziona con COVID-19”. Ai primi di aprile, la definitiva pubblicazione dei dati del trial con braccio di controllo confermavano che : “l’attività antivirale di Lopinavir è nulla…”. A giugno l’OMS chiudeva definitivamente il braccio Lopinavir di SOLIDARITY per manifesta inefficacia, mentre a settembre la pietra tombale sui farmaci anti-HIV veniva posta su Lancet (7).
Come si spiega dunque che Lopinavir (e Darunavir, stessa musica) sia stato in assoluto tra i farmaci più usati negli ospedali in Italia su pazienti COVID sino a giugno, sebbene tutti sapessero che i farmaci anti HIV non c’era verso che funzionassero? A tal proposito davvero curiosa la recente risposta del Dott. Magrini, direttore dell’AIFA, che intervistato su Huffingtonpost (8) dichiara che i farmaci anti HIV non sono stati più utilizzati in ospedale “perché troppo pesanti…”. Forse perché dire ” completamente inutili” era troppo per lui, che sino a maggio aveva dichiarato di volerli persino prescritti dai medici di base ai pazienti COVID a casa ?
Ma torniamo al Remdesivir (nome ufficiale: Veklury® ), perché è senz’altro sull’uso di questo farmaco che la vicenda si ingarbuglia sino a diventare di recente grottesca. Riassumo ancora: già a gennaio, quando SARS-CoV-2 era un problema esclusivamente cinese, NIAID (Istituto nazionale americano per le allergie e le malattie infettive) stava lavorando su Remdesivir, che dimostrava su Sars una capacità di “aggressione rapida”, di fatto unica al mondo. A febbraio quindi Remdesivir appariva come una delle migliori opzioni di cura possibili, per quanto non approvato. E siccome in un’emergenza come quella che abbiamo avuto tra febbraio e aprile non c’era da dire “aspettiamo e vediamo”, ecco che di li a poco Remdesivir ottenne in USA l’EUA (possibilità di uso compassionevole), mentre in Italia stranamente notavamo come al Remdesivir venisse invece messo il guinzaglio, con l’uso compassionate velocemente rimpiazzato dalla decisione di AIFA di confinarlo ai soli trial clinici.
Nei mesi successivi svariate sperimentazioni (tra cui ACTT-1 e ACTT-2 fatte dal NIAID di cui il direttore ricordo era Anthony Fauci.. .) confermarono tutte l’utilità del farmaco nelle terapie. Si dovrà comunque attendere fino a settembre per veder pubblicati sul “New England Journal Of Medicine” i report finali di un team che aveva studiato Remdesivir in un trial controllato e ben randomizzato su più di mille pazienti. Il gruppo randomizzato era stato diviso all’incirca a metà tra “standard of care più Remdesivir” e “standard of care più placebo”, in doppio cieco, e rappresentava quindi il panorama più solido di studio sull’efficacia del farmaco in pazienti con il coronavirus. I risultati più che incoraggianti dimostravano ancora una volta che i pazienti che avevano avuto il farmaco presentavano un tempo di guarigione più corto , da 9 a 11 giorni, (95% CI), contro il solo standard of care con placebo. Inoltre la riduzione della mortalità su cui tanto si era discusso c’era, e veniva dimostrata nel 26.6% dei casi a 29 giorni. La diminuzione del tempo di guarigione veniva invece calcolata tra 30.7% e 38.8%. (9)
Ancora una volta quindi ottime notizie. Tanto è vero che di li a pochi giorni (il 22/10) la FDA americana approvava definitivamente il Remedesivir , rendendolo ufficialmente il primo farmaco al mondo approvato specificatamente per il trattamento contro il Covid-19. (10)
Ma a questo punto, apriti cielo… Le “truppe cammellate” dei vaccinisti, che chiaramente avrebbero visto ridimensionata la loro “campagna di terrore” e danneggiati i loro interessi sui vaccini dalla presenza di un farmaco finalmente efficace contro il Covid, sferrano un nuovo attacco stavolta rivolto direttamente alla FDA americana, giudicata da loro (malgrado la presenza Fauci…sigh..) un mero organo politico nelle mani del “negazionista” Trump…
L’attacco al Remedesivir parte dalla prestigiosa rivista “Science” che, pubblicando i nuovi dati del trial “SOLIDARITY” dell’OMS, dichiara apertamente che Remedesivir a conti fatti “ Non riduce la mortalità nè il tempo che i pazienti COVID-19 necessitano per riprendersi..” (11). Ed eccolo li, ancora una volta il buio che ritorna…
In questa vicenda bisogna premettere come a metà ottobre la Gilead Sciences, il gigante farmaceutico produttore di Remdesivir con sede a Foster City in California, aveva firmato un accordo di oltre di 1 miliardo di dollari per fornire all’Unione Europea il suo farmaco. A mettere in crisi tale accordo commerciale e con esso le speranze sull’efficacia del nuovo farmaco, stavolta quindi vediamo scendere in campo direttamente l’OMS.
Ora, sebbene l’OMS dichiari che il suo trial “SOLIDARITY” rappresenti il più grosso studio messo al mondo sul Remdesivir, alcuni medici clinici e la stessa azienda Gilead in una dichiarazione del 15 ottobre (12) mettono ferocemente in discussione la validità dei dati di Solidarity. Sostanzialmente perchè lo studio OMS secondo loro è stato mal progettato, cioè condotto in tutto il mondo in paesi molto diversi tra loro con standard sanitari e ospedalieri diversi. E in effetti il processo Solidarity dell’OMS, condotto in 405 ospedali di 30 paesi, sebbene circa tre volte più grande degli altri tre studi per numero di pazienti coinvolti , è stato fatto “open label” e con un evidente sbilanciamento tra trattati e controllo, un controllo (circa 4000) per 4 rami trattati (circa 11.000), randomizzato come ha sostenuto qualcuno alla… sperindio.
Quindi quello che a prima vista poteva sembrare un unico gruppo di controllo di circa 4000 pazienti per un totale di circa 11.000 arruolati in realtà è la somma di gruppi di controllo più piccoli, sparpagliati nel mondo e usati qua e là vs gruppi di trattati con il farmaco e con farmaci a loro disponibili. “Nessun regolatore (occidentale) accetterebbe mai un trial con questo disegno per approvare un farmaco” sostiene la Gilead… “Hanno semplicemente aggregato un’enorme quantità di dati hackerandola con analisi ad hoc ad interim che eseguono ogni volta che ne hanno voglia..”, sostengono alcuni clinici citando invece i rigorosi criteri di FDA sui trial adattativi…
Ma neanche a dirlo, alla “banda dei vaccinisti” capeggiati da Bill Gate, quanto viene criticato sopra appare incredibilmente del tutto… irrilevante. Se OMS ha detto che Remdesivir non funziona, quindi non funziona, punto. Chiaramente anche in Italia (paese purtroppo totalmente asservito alle direttive OMS) le notizie che rimbalzano sulla faccenda denotano un uguale atteggiamento (13) (14). Poco importa quindi se ACT-1 e 2 sconfessano OMS e se in Italia utilizzando Remedesivir si sarebbero potuti ridurre nella scorsa stagione i tempi di permanenza in terapia intensiva di un terzo e i morti sarebbero probabilmente potuti essere 9.310 in meno, tutte persone a cui chi voleva salvare la vita a botte di Lopinavir e Darunavir non è riuscito invece a risparmiare il passaggio in una tomba…
Concludendo: come si è visto la narrazione della pandemia è una questione sopra tutto di politica e finanza, poco correlata di fatto con la realtà sanitaria del fenomeno: la discussione sul Sars-CoV-2 si è trasformata quindi in un dibattito in cui chi sostiene i vari “governi del virus” ingigantisce l’andamento e la gravità dei “casi”, chi vi si oppone li minimizza. Mentre sui media viene dato sempre forte rilievo ad ogni notizia che riguarda il vaccino ( aspettato, pre-finanziato e fatto passare ovunque e comunque per panacea), le possibili cure al Covid vengono invece quasi sempre sminuite o direttamente ignorate. La sproporzione mediatica tra chi propende per una soluzione “vaccinale” verso chi invece lotta per una soluzione “terapica”, rispecchia anche la sproporzione vista nell’allocazione dei fondi UE stanziati per contrastare la pandemia: su 2,7 miliardi di stanziamento complessivo, solo 63 milioni sono andati per la ricerca sui farmaci come il Remdesivir (e altri ancora..) , mentre il resto, oltre 2 miliardi di euro, sono serviti per finanziare vaccini producibili con le odierne regole di approvazione fortemente ridotte… Detto questo detto tutto. Sino a quando la gestione della pandemia continuerà ad essere impregnata di politica, affari e ideologia, il pessimismo sulle cure al Covid (purtroppo..) rimane d’obbligo.
Giorgio Lo Grasso
NOTE:
(1) https://www.huffingtonpost.it/entry/silvio-berlusconi-trattato-con-il-remdesivir-ossigenoterapia-mai-stata-necessaria_it_5f54ba0ac5b6578026cf6619
(2) https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2029849
(3) https://www.nytimes.com/live/2020/10/26/world/covid-19-coronavirus-updates
(4) https://www.agi.it/cronaca/news/2020-10-28/covid-cardiochirurgo-spagnolo-aspirina-eparina-cortisone-per-fermarlo-10100998/
(4 bis) https://it.insideover.com/societa/che-fine-a-fatto-la-cura-con-il-plasma-iperimmune.html
(5) https://www.recoverytrial.net/news/statement-from-the-chief-investigators-of-the-randomised-evaluation-of-covid-19-therapy-recovery-trial-on-hydroxychloroquine-5-june-2020-no-clinical-benefit-from-use-of-hydroxychloroquine-in-hospitalised-patients-with-covid-19
(6) https://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMoa2001282?articleTools=true
(7) https://www.repubblica.it/salute/2020/10/08/news/i_due_farmaci_per_l_hiv_non_funzionano_contro_covid_19-269737987/?ref=RHPPTP-BH-I269167158-C12-P2-S7.4-T1
(8) https://www.huffingtonpost.it/entry/aifa-cortisone-ed-eparina-cardini-della-terapia-contro-il-covid_it_5f914865c5b61c185f476d58?utm_hp_ref=it-homepage
(9) https://www.contagionlive.com/view/remdesivir-plus-baricitinib-reduces-hospitalized-covid-19-mortality-by-35-
(10) https://www.fda.gov/drugs/drug-safety-and-availability/fdas-approval-veklury-remdesivir-treatment-covid-19-science-safety-and-effectiveness
(11) https://www.sciencemag.org/news/2020/10/very-very-bad-look-remdesivir-first-fda-approved-covid-19-drug
(12) https://www.gilead.com/news-and-press/company-statements/gilead-sciences-statement-on-the-solidarity-trial
(13) https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/remdesivir-oms-nessun-vantaggio-su-pazienti-8adbb3a6-f4cd-4bdb-a178-962642330e63.html
(14)https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2020/10/16/coronavirus-oms-nessun-beneficio-dal-remdesivir_11ab67c0-86e9-46ff-b416-659147838bdf.html
Pubblicato da Tommesh – ComeDonChisciotte.org
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