domenica 4 ottobre 2020

“Vivere non è un reato. Lavoro ambulante e diritto alla città”

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Gennaro Avallone, ricercatore in sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Salerno, e Daouda Niang, presidente dell’Associazione senegalesi di Salerno e mediatore culturale, hanno curato il volume “Vivere non è un reato. Lavoro ambulante e diritto alla città”, appena pubblicato da Ombre corte, casa editrice di Verona.

Obiettivo fondamentale del volume è quello di mettere in evidenza il fatto che il commercio ambulante è un lavoro. Non è né un’emergenza di ordine pubblico né un’attività residuale. In Italia è svolto da un poco più di 200 mila persone, di cui circa la metà di cittadinanza straniera.

L’insieme delle conoscenze e delle esperienze di vita che si condensano in questo libro sono un utile contributo per comprendere le condizioni oggettive e soggettive del lavoro ambulante, oggi particolarmente colpito dalla pandemia in corso. Il testo raccoglie una serie di contributi di membri di associazioni senegalesi e ambulanti immigrati, ricercatrici e ricercatori, attivisti e attiviste persone (Yasmine Accardo, Martina D’Amato, Ndèye Isseu Ly, Yoan Molinero Gerbeau, Pierre Preira, Marianna Ragone, Zakaria Sajir, Tran) che propongono un’analisi dall’interno del lavoro ambulante, intrecciandolo con un’analisi delle politiche urbane e dei dispositivi di razzismo sociale e istituzionale che governano le società contemporanee, compresa quella nazionale e locale.

Lavoro, dignità. Lavoro, dignità”. È con questo slogan rilanciato di continuo, in una lunga e animata mattinata, che le lavoratrici ed i lavoratori ambulanti senegalesi e bangladesi della città di Salerno manifestarono l’8 maggio 2017 in un corteo molto partecipato per riaprire una negoziazione con il Comune di Salerno. Un corteo con diversi cartelli ed uno striscione di apertura con la scritta “sopravvivere non è reato. Essere ambulanti nemmeno”, secondo la rivendicazione già proposta dal Sindicato popular de vendedores ambulantes de Barcelona.

È da questo corteo che è nata la spinta fondamentale per approfondire le condizioni e le prospettive del lavoro ambulante svolto dagli immigrati non solo nel contesto locale, ma in ambito regionale e nazionale. Da questa manifestazione è iniziato anche un percorso di scambio e ricerca, formalizzato in una convenzione, firmata nello stesso anno, tra il Dipartimento di scienze politiche, sociali e della comunicazione, poi divenuto Dipartimento di studi politici e sociali, dell’Università di Salerno e l’Associazione senegalesi di Salerno.

Questo percorso, cresciuto anche attraverso la partecipazione ad incontri di studio e convegni nazionali ed internazionali, ha avuto un momento particolarmente importante con l’organizzazione di un seminario nel mese di febbraio 2018, in collaborazione con il Laboratorio Communalia, di cui è responsabile Adalgiso Amendola, dal titolo “Diritto alla città, lavoro ambulante e repressione: analisi e proposte”.

L’obiettivo generale del seminario era quello di elaborare, in modo condiviso, una serie di suggerimenti per liberare il lavoro ambulante degli stranieri dai processi di repressione, marginalizzazione e criminalizzazione che lo stanno interessando, specialmente quando è svolto da persone dalla pelle nera o non bianca o in aree delle città oggetto di propaganda politica o di rilevanti interessi economici privati.

Per questo motivo, l’incontro si concentrò in parte sull’analisi della situazione e in parte sull’individuazione di una serie di proposte da rendere pubbliche e inviare anche alle istituzioni locali comunali e di governo, al fine di favorire la costruzione del diritto alla città, verso una città non escludente, alternativo a quello che si è affermato con le retoriche della sicurezza e con le misure di polizia degli allontanamenti (cosiddetti daspo), degli sgomberi e delle multe.

Questo seminario, insieme ad altri incontri e convegni e al proseguimento delle attività di ricerca che si sono tradotte in due pubblicazioni (Avallone e Niang 2020; Molinero Gerbeau e Avallone 2020), ha ispirato l’idea di questo libro, al quale, nel suo cammino, si sono aggregate nuove collaborazioni e anche nuove attenzioni, in particolare quelle dovute agli effetti sul commercio, e sullo specifico dell’ambulantato, delle politiche adottate per contrastare la diffusione del covid-19.

In questo libro: storia, parole e contesti del lavoro ambulante

Il testo è scritto, in parte, dall’interno del lavoro ambulante. Tra gli autori e le autrici ci sono persone che hanno svolto o stanno svolgendo questa attività, in particolare Daouda Niang e Tran, ed altre che ne rappresentano gli interessi, soprattutto i responsabili delle associazioni senegalesi di Caserta, Napoli e Salerno, rispettivamente Ndèye Isseu Ly, Pierre Preira e lo stesso Niang. Le analisi prodotte dall’interno si sono intrecciate con quelle dell’attivista e membro della campagna LasciateCIEntrare Yasmine Accardo, delle studentesse e giovani ricercatrici Martina D’Amato e Marianna Ragone, dei ricercatori Gennaro Avallone, Yoan Molinero Gerbeau e Zakaria Sajir.


Questi ultimi tre hanno contribuito, in particolare, alla prima parte del libro, quella dedicata ad inquadrare il rapporto tra lavoro ambulante e diritto alla città, ricostruendone la storia in connessione con il divenire ostile delle città italiane, nel contributo di Avallone; proponendo la categoria di economia popolare per comprendere il modo di funzionare e le ragioni di questo tipo di lavoro, nel testo di Molinero Gerbeau; concentrandosi sulle definizioni, il linguaggio e le parole stigmatizzanti che, nel tempo, si sono imposti per definire l’ambulantato ma, in realtà, gli ambulanti di cittadinanza straniera.

Questi tre capitoli sono stati sviluppati in connessione con quelli di Daouda Niang e Martina D’Amato. Il primo spiega i motivi del nesso stringente che esiste tra migrazioni senegalesi e lavoro ambulante e invita a seguire la lezione metodologica di Abdelmalek Sayad (2002), secondo la quale non è possibile comprendere le immigrazioni senza capire le emigrazioni: in altre parole, non si possono comprendere i processi di mobilità umana se non si tengono presenti le connessioni esistenti tra ciò che accade nei luoghi di emigrazione e ciò che succede nelle aree di immigrazione (Avallone 2018a).

Martina D’Amato presenta alcuni elementi normativi relativi al lavoro ambulante e si interroga sulle forme concrete della legalità per evidenziarne i limiti e i cambiamenti possibili al fine di consentire di svolgere con maggiore serenità questo tipo di attività commerciale anche agli stranieri.

Gli altri autori e le altre autrici hanno dato forma alla seconda parte del libro, che guarda a tre casi locali, quelli di Caserta, Salerno e Napoli.

Il primo viene analizzato da Ndèye Isseu Ly, che, dopo avere presentato in breve la storia amministrativa altalenante delle politiche adottate verso il lavoro ambulante degli immigrati nel capoluogo casertano, ricorda il ruolo fondamentale che ha avuto in essa Mamadou Sy, ambulante anche egli, passato, poi, a svolgere l’attività di mediatore culturale, presidente della locale associazione dei senegalesi e uomo di pace e diritti.

Una figura fondamentale per l’intero Movimento dei migranti e rifugiati di Caserta: un costruttore di relazioni tra culture, religioni, persone, forme dell’agire politico. Mamadou Sy, a cui questo libro è dedicato, ha contribuito a fare la storia dei movimenti antirazzisti in Campania e nel Sud Italia, dando, dagli inizi del nuovo secolo, un indispensabile contributo di analisi, proposta e umanità.

Il caso di Salerno è stato studiato da Marianna Ragone attraverso un’etnografia, con la quale ha osservato come una zona della città caratterizzata da circa tre decenni dalla presenza dei lavoratori ambulanti senegalesi, a cui si è aggiunta successivamente quella degli ambulanti dal Bangladesh, sia stata costruita, ad un certo punto, come una zona di guerra.

Nel suo contributo, si mostra come, quasi all’improvviso e rapidamente, si produca uno spazio ostile per la presenza ambulante, al fine di trasformarlo in una sorta di salotto selettivo, coerentemente con i processi di gentrificazione turistica che l’hanno riguardato.

La situazione del lavoro ambulante migrante nella città di Napoli viene analizzata nei contributi di Pierre Preira, da una parte, e Yasmine Accardo e Tran, dall’altra. Nel primo si fa riferimento al passato, presente e possibile futuro del lavoro ambulante nell’area di Piazza Garibaldi, maggiormente interessata, rispetto al resto delle città, dalla presenza degli ambulanti di nazionalità non italiana.

Il secondo si concentra sulla stessa area ma guarda soprattutto a ciò che è accaduto e non accaduto durante i mesi di maggiore emergenza e chiusura connessi alla diffusione del coronavirus e lavoro ambulante. Infine, il libro si conclude con una serie di proposte per consentire di ridurre i processi di impoverimento che stanno interessando il lavoro ambulante, non solo migrante naturalmente.

Queste proposte avvertono anche della necessità di organizzare politiche a sostegno dell’intero comparto commerciale, la cui crisi, già in corso da anni, si è accelerata con l’epidemia, le misure adottate per contrastarla e l’incremento delle disuguaglianze sociali ad essa collegato.

Le misure alternative per il lavoro ambulante degli stranieri si possono assumere, ma richiedono un atto preliminare: quello di liberare tale lavoro dalle etichette razziste, dalle politiche di criminalizzazione e dai discorsi ostili, per riconoscerlo come tale: un lavoro, appunto, svolto, quindi, da lavoratrici e lavoratori e non da criminali, abusivi o invasori.

Questo atto introduttivo, non semplice considerando lo stigma, le etichette negative, anche di tipo razzista, e le politiche sempre più orientate in senso ostile e non negoziale che gravano su questo tipo di lavoro, si dovrebbe accompagnare al riconoscimento paritario di tutti gli ambulanti.

Si aprirebbe alla possibilità della discussione e contrattazione unitaria con tutti i soggetti che rappresentano questo lavoro, senza distinzioni tra associazioni che organizzano soprattutto se non esclusivamente gli italiani, come, ad esempio, l’Anva (Associazione Nazionale Venditori Ambulanti) e quelle degli stranieri.

Questo doppio riconoscimento potrebbe aprire a processi partecipati innovativi di regolazione del lavoro ambulante sia fisso sia itinerante.

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