Si impedisca immediatamente e con il contributo di tutti (partiti politici, associazioni, istituzioni) che il tema dei diritti civili acquisiti diventi il nuovo terreno per scontri di basso profilo. Si ritorni al “noi” da oggi e per le battaglie future.
Nel post in cui Marta L. racconta la sua storia, l’aborto e la successiva sepoltura del feto nel cimitero Flaminio, senza il suo consenso, con rito religioso e con una croce che ne viola la privacy e i diritti costituzionali, vi è indubbiamente un lato intimo e personale che ha colpito una vasta parte dell’opinione pubblica, creando un dibattito necessario.
Ma la politica ha un compito che va oltre l’indignazione, che dal particolare deve dirigersi al generale. Il compito è quello di indagare le cause profonde che hanno portato a questa vicenda (da 20 anni in Italia, sfruttando un vuoto normativo, le associazioni cattoliche hanno cominciato a seppellire i feti senza il consenso delle madri e sotto un simbolo religioso che non rappresenta tutte, nei cosiddetti “giardini degli angeli”, stringendo accordi con comuni e ospedali), inquadrare in maniera chiara i motivi sociali e culturali (quindi politici) che hanno generato questa deriva, rendendo collettiva una croce con un nome di una donna che non è morta, ma ha visto umiliata la sua dignità e la sua autodeterminazione. La politica deve fare sintesi e indicare soluzioni.
Marta L. chiude il post scrivendo “Questo è accaduto a Roma, questo è accaduto a me”. Il primo passo da compiere è trasformare quel “me” in “noi”.
È accaduto a noi, ci accade da quando la questione di genere è stata strumentalizzata dai movimenti pro-life e dai partiti di destra in evidente crisi di contenuti, che hanno utilizzato vicende come quella dell’aborto per ridisegnare un’identità “teocon”, in linea con quanto stava accadendo anche in altri Paesi a partire dal secondo decennio degli anni 2000. E il primo passo è sempre stato quella di un attacco all’autodeterminazione delle donne e a diritti che ormai sembravano acquisiti.
La cultura patriarcale che sembrava sradicata con un referendum che nel nostro Paese esattamente 39 anni fa, aveva visto esprimersi in difesa della legge 194 il 67,9% degli italiani, riprende piede ogni qual volta si vogliono trovare argomenti di facile presa su parte dell’elettorato. E ogni volta questa scelta intima e dolorosa viene condannata, tentando di ingenerare anche con mezzi che oltrepassano la decenza, un odioso senso di colpa.
Ogni volta vuoti normativi e politici vengono colmati con azioni meschine, supportate dalla negligenza non giustificabile di alcuni apparati sanitari e amministrativi. E ogni volta la politica utilizza la questione di genere strumentalmente, per orientare fette di opinione prive degli adeguati strumenti culturali in grado di smascherare operazioni pericolosissime per la libertà di tutti i cittadini.
Ma al netto di questo, torniamo a inquadrare i motivi politici, la storia e i fatti: il cimitero romano di Flaminio è attivo dal 2012, quando la Capitale era guidata dall’esponente di Alleanza Nazionale Gianni Alemanno, che proprio il 13 maggio 2012 scese in piazza con la fascia da sindaco per partecipare alla “Marcia per la vita”, organizzata da una serie di associazioni antiabortiste.
Da allora sono passati 8 anni, troppi per tutti. Se da un lato è necessario capire, dall’altro servono azioni immediate che restituiscano la giusta proporzione alle cose. È necessario ridare alle donne il diritto di scegliere se seppellire o meno il feto, il diritto all’anonimato, in pochissime parole: bisogna rispettare la legge.
Cessi immediatamente questo baratro, si oscurino i nomi di centinaia di donne ignare di quanto accaduto. Si impedisca immediatamente e con il contributo di tutti (partiti politici, associazioni, istituzioni) che il tema dei diritti civili acquisiti diventi il nuovo terreno per scontri di basso profilo. Si ritorni al “noi” da oggi e per le battaglie future.
Nessun commento:
Posta un commento