domenica 4 ottobre 2020

Boom cinese, tracollo neoliberista occidentale

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Mentre in Occidente si assiste al collasso economico, in Cina avvengono profonde trasformazioni destinate a incidere profondamente.

Il 10 settembre scorso il Consiglio di Stato ha diramato direttive volte ad uno sviluppo futuro della “doppia circolazione”; quella esterna, ma soprattutto interna, con politiche finalizzate a rimuovere “colli di bottiglia” che frenano il consumo interno.

Il 1° Ottobre, Festa di proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, è iniziata la famosa “Golden Week”, la settimana delle vacanze dei cinesi. Quest’anno interesserà circa 600 milioni di cittadini, anche nella aree colpite questo inverno dal Covid.

Secondo diverse stime, nelle due settimane precedenti, i pasti prenotati online sono aumentati del 40% rispetto allo scorso anno, mentre le prenotazioni online di viaggi, che si sovid-free, sono aumentati del 37%.

Secondo il National Bureau of Statistics – l’equivalente cinese dell’Istat – ad agosto i consumi sono aumentati su anno dello 0,5%, per la prima volta dall’inizio della pandemia, e si prevede un forte aumento a settembre.

Gli economisti cinesi, secondo il People’s Daily, prevedono nel terzo trimestre un forte rimbalzo del pil, trascinato da una forte domanda interna. La Banca Mondiale ha alzato l’asticella della crescita attesa di questo Paese per l’anno in corso dall’1 al 2%, mentre per il 2021 prevede un boom: +7.9%.

Oggi Xi Jinping istruirà i funzionari sulla nuova politica cinese della sanità, con una riforma che si prevede universale e mista pubblico-assicurativa. Dal 2008 la reflazione salariale cinese (aumenti salariali generalizzati e anno per anno) ha avuto ad un fortissimo peso della domanda interna: l’incidenza dell’export sul pil è minima (17.4%), come ha scritto lo scorso mese lo stesso Prodi su Il Messaggero.

Questo livello si abbasserà ancor di più per non dipendere dalla domanda estera. Chi pensa, e scrive, che la Cina si sostiene grazie all’export, semplicemente dice baggianate. O fa propaganda, magari senza nemmeno saperlo.

L’aumento salariale (a Shanghai un operaio guadagna mediamente 900 euro mentre un’impiegata specializzata può arrivare anche a 2.500 euro), differenziato per province (pur tenendo conto del diverso costo della vita nelle varie regioni), i fortissimi tagli fiscali a favore dei redditi medio bassi, decisi due anni fa, la politica di alloggi popolari e altri servizi a favore della popolazione cinese, portano a considerare che ormai i livelli di Welfare raggiunti dalla Cina sono significativi e lo saranno ancor di più nel futuro.

La Cina ha puntato, dopo la crisi mondiale del 2008, non ancora conclusa, sul salario sociale di classe come meccanismo di accumulazione e come strumento per non dipendere dall’estero.

Ed ha vinto la scommessa.

L’Occidente lo ha invece smantellato per realizzare regalie fiscali e monetarie alla finanza e all’industria (politica dell’offerta, di cui sono portatori tutti gli schieramenti politici dell’attuale Parlamento italiano ed europeo) ed è agonizzante.

Per Xi Jinping e i vertici cinesi è fondamentale il nesso offerta-domanda. Per l’Occidente solo l’offerta (tradotto: abbassare il costo del lavoro per spingere le esportazioni, a scapito della domanda interna).

Puntare sul salario sociale di classe è un modo per uscire dalla crisi devastante e dalla miseria in cui ci hanno condotto le classi dominanti; con la stolida complicità dei loro giornalisti e intellettuali.

 

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