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Il diavolo non veste Prada: di questi tempi va in giro con in mano
una siringa mortale, truccata da regalo, che puzza di vaccino lontano un
miglio. Sembra dedicato al Demiurgo degli gnostici – il Dio Straniero
dei catari – l’ultimo guanto di sfida (il terzo, in poche settimane)
lanciato dallo stupefacente Bob Dylan, 79 anni a fine maggio. Un blues
lento e accidentato, scandito da chitarre sulfuree, tra Muddy Waters e
Tom Waits, e presentato da un’icona inequivocabile: uno spettro vestito a
festa, da banditore ottocentesco. Il riferimento dell’immagine –
trasmessa via web nella notte tra il 7 e l’8 maggio, per accompagnare
l’ennesimo, esplosivo brano inedito, “False Prophet”
– è all’Uomo Ombra, «il personaggio misterioso creato da Walter Gibson,
dal 1931 protagonista di “The Shadow”, il primo magazine pulp
interamente dedicato a un singolo “character hero” e progenitore di
giustizieri, cupi e solitari, come Batman», annota Valeria Rusconi su “Repubblica“.
Ma se lo spettro tenebroso di Gibson impugna una pistola, quello di
Dylan – che a sua volta ha sottobraccio un pacco-dono – brandisce una
siringa, nientemeno. «A chi sta pensando, Bob Dylan? Qual è il dono che
porta la morte?».
Per intuirlo basta guardarsi attorno, tra i cimiteri del Covid-19 e
le ombre che si allungano, giorno per giorno, sull’incerta origine della
pandemia e sulle altrettanto opache manovre per specularvi sopra, come
racconta la guerra politica fra Trump e l’Oms
“cinese”, il guru Anthony Fauci, il presunto “falso profeta” Bill Gates
e i suoi seguaci diffusi ovunque. E’ il coronavirus – o meglio, il clan
che lo starebbe “sovragestendo” – l’obiettivo del grande cantautore
americano, Premio Nobel per la Letteratura, che il 27 marzo ha sparato wordlwide
il capolavoro “Murder Must Foul”, struggente ballad che rievoca
l’omicidio di John Kennedy.
Il brano lascia spazio a un’accusa velata:
il sospetto che, dietro al superpotere che sta cercando di impossessarsi
del pianeta sottoponendolo alla “dittatura sanitaria”, vi siano gli
eredi dell’esclusivo club oligarchico che nel 1963 fece assassinare il
presidente della New Frontier, reclutando la mafia di Chicago sotto la
supervisione della Cia e dell’Fbi, con il placet di Lyndon Johnson,
Richard Nixon e George Bush.
E’ il potere
nero, golpista, che avrebbe imposto il neoliberismo a mano armata con
il colpo di Stato in Cile che rovesciò e uccise Salvador Allende l’11
settembre del 1973. Lo stesso Deep State che poi, trent’anni dopo – in
un altro 11 settembre – avrebbe terremotato il pianeta, abbattendo le
Torri Gemelle per imporre il terrore “islamista”, da Al-Qaeda fino
all’Isis. Esauriti i mostri creati in laboratorio deformando l’Islam,
ora saremmo di fronte all’ennesimo esperimento di dominio, sempre
fabbricato in vitro, ma in altri laboratori: un mostro fondato sul
terrore sanitario. Vaneggiamenti? Tutt’altro, sostiene Gioele Magaldi,
autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014). La tesi: una
cupola mondiale di superlogge – dalla “Three Eyes” di Kissinger alla
“Hathor Pentalpha” dei Bush – ha strapazzato il mondo, per piegarlo ai
suoi voleri: dal manifesto “The crisi of democracy” del 1975 (Commissione Trilaterale) al neoliberismo-canaglia, quello che oggi – nella gabbia Ue – impedisce all’Italia persino di difendersi, finanziariamente, dalla catastrofe Covid. Ma che c’entra, Bob Dylan?
«C’entra eccome», sostiene Magaldi, che un mese fa è stato
autorizzato a comunicare ufficialmente la notizia: l’autore di “Blowin
in the wind”, «da sempre massone ultra-progressista», fa parte del
circuito massonico internazionale che si sta opponendo, con ogni mezzo,
al “tentativo di golpe” che ritiene sia in corso: il brutale sequestro
di miliardi di persone, terrorizzate da un virus misterioso e sottoposte
al coprifuoco da parte di governi che hanno prontamente sospeso libertà
e democrazia,
obbedendo a oscuri tecno-scienziati. Peggio: l’alleanza
massonico-progressista (di cui Dylan è parte) sospetta che sia all’opera
lo stesso potere
che assassinò Kennedy a Dallas nel ‘63. Ecco perché il menestrello di
Duluth è uscito allo scoperto. Conferma Magaldi: «Bob Dylan è sceso in
campo ufficialmente: si sente un soldato, deciso a combattere a viso
aperto».
Senza questa chiave di lettura, agli esegeti della dirompente
tripletta scodellata da Dylan in poco più di un mese (”Murder Most
Foul”, “I Contain Multitudes” e ora “False Prophet”) non restano che
considerazioni preliminari: «Rimaniamo qui, stupiti, ancora incantati,
brancolanti nel buio, cercando in un disco i segreti del nostro tempo»,
scrive sempre Valeria Rusconi nel suo bellissimo articolo su
“Repubblica”. Le fa eco Federico Vacalebre sul “Mattino”
di Napoli: «L’uomo che contiene moltitudini è tornato, non resta che
aspettare il 19 giugno: non sono solo canzonette». Attenti alla data: è
la vigilia del solstizio d’estate il giorno prescelto per l’uscita
ufficiale del doppio album “Rough and Rowdy Ways”, che ricalca l’omonima
opera pubblicata nel lontano 1926 da Jimmie Rodgers, una delle fonti
d’ispirazione di Dylan. Quelle “maniere ruvide e turbolente” conterranno
quindi la trilogia uscita per ora a rate, in queste settimane, con le
anticipazioni sui social a cui la stampa ha dato il massimo risalto,
interrogandosi sull’improvvisa loquacità del grande artista americano,
il cui ultimo album originale, “Tempest”, risale al 2012.
Meglio tenere gli occhi aperti, annota anche “Rai News“,
visto che il funereo “False Prophet” arriva appena dopo la
pubblicazione di “I Contain Multitudes”, dove la voce di Dylan, a
partire dalla citazione di “Foglie d’erba” di Walt Whitman, canta delle
proprie infinite sfaccettature nel suo consueto modo spiazzante («Sono
come Anna Frank, come Indiana Jones, e come quei cattivi ragazzi
inglesi, i Rolling Stones»). A loro volta, le “moltitudini” anticipate
il 17 aprile sono il sequel, intimistico, dell’orazione commossa per
Jfk, «dedicata all’America e alla sua musica – dice sempre “Rai News” – a
partire dal trauma collettivo dell’assassinio di Kennedy a Dallas».
Adesso siamo all’atto terzo, il “falso profeta”, che prelude a un disco
la cui tempistica – un attimo prima della “resurrezione” stagionale del
sole – fa pensare alle previsioni degli astrologi, secondo cui siamo
tuttora immersi in un’altra vigilia, di tipo cosmico: questa immane
tribolazione, calcolano, cesserà fra tre anni e mezzo, visto che il 2024
segnerà un passaggio d’epoca paragonabile a quello che tenne a
battesimo la Rivoluzione Francese e quella americana, dando corso a 200
anni di vertiginosi progressi sociali, le grandi conquiste da cui è nata
la modernità democratica.
Niente di casuale, probabilmente, se Dylan – la cui cifra iniziatica è
stata definitivamente svelata – ha abituato l’immenso popolo dei suoi
fan (decine di milioni di dischi venduti) al gusto per i simboli, nel
gioco di specchi della tradizione esoterica. Bibbia e stelle, tarocchi,
mitologia e archetipi: il materiale perfetto di chi ama parlare per
enigmi. Stavolta però le parole si fanno anche esplicite, sia pure
sempre attraverso il raffinato doppio fondo della poetica dylaniana:
«Ciao straniero, un lungo addio. Hai governato la Terra, ma l’ho fatto
anch’io». Riecheggia il Dio Straniero, il Demiurgo gnostico responsabile
della creazione “dannata” della materia. «Hai perso il tuo mulo», lo
sfotte Dylan: fulmineo rimando all’animale-totem dei Vangeli (l’avvento
di Cristo a Gerusalemme, in sella un asinello) e più ancora a Genesi 49,
il passo biblico in cui i Rosa+Croce individuano la sacralità
dell’investitura regale di Giuda, che «lega alla vite il suo asinello».
Giuda, il cui discendente Davide («il Re che suona l’arpa»)
lampeggia tra i versi di “Murder Most Foul”, in cui è Kennedy a
indossare i panni del nuovo “re di giustizia” davidico, «secondo a
nessuno».
Stesso verso, identico, anche in “False Prophet”: «Second to none»,
si autodefinisce lo spettro vendicatore dell’ultima scorribanda di
Dylan, che sfida il Demiurgo: «Hai un cervello avvelenato», gli dice,
introducendo una categoria – il veleno – più che mai attuale, nel mondo
devastato dal coronavirus e insidiato dalle troppe voci sui vaccini
inaffidabili (come quelle rilanciate da Robert Kennedy, figlio di Bob,
in prima linea nella battaglia contro l’ipervaccinista Bill Gates). «Ti
sposerò a una palla al piede», gli promette Dylan in versione templare,
con un’evidente allusione a San Bernardo: incatenare il diavolo è
proprio la specialità – nell’iconografia antica – dell’ispiratore
dell’Ordine del Tempio. Quello di San Bernardo è un diavolo terreno:
ciascuno deve riconoscerlo come parte di sé, per poterlo tenere a bada.
Diverso il demone (gnostico, creatore) duramente contestato dall’altro
uomo-simbolo della cristianità medievale ora richiamato in servizio da
Dylan: il Sant’Agostino della città celeste: «Povero diavolo, alza lo
sguardo se vuoi: la città di Dio è lì sulla collina».
Versi urlanti, mutuati dalla teologia dualistica ereticale: «So come è
successo, l’ho visto cominciare: ho aperto il mio cuore al mondo e il
mondo è entrato». Lo zampino del “diavolo” nella creazione, la Terra
come regno provvisorio delle tenebre (Ahriman, per la cosmogonia di
Zoroastro) sembra comparire già – sotto mentite spoglie – nell’incipit
del brano: il verso «ciao, Mary Lou», omaggio apparente al
country-western, accoppia due opposti, Maria (la Madonna) e Lucifero.
Insieme a «miss Pearl», Mary Lou è una guida per il viaggio dantesco
negli inferi, evocato in una strofa dedicata al “principe ribelle”:
«Nessuna stella nel cielo brilla più di te», ammette lo spettro,
pensando al mitico occhio del grande eversore, la pietra preziosa («miss
Pearl»?) contro cui però si schiera in modo categorico: «Sono nemico
del conflitto», della divisione (da diaballo, dividere:
l’etimologia greca del vocabolo “diavolo”). E attenzione: «Sono il
nemico del tradimento», altro riferimento alla fine di Kennedy,
tradito dal suo stesso establishment. L’uomo che cerca «il Santo Graal
in tutto il mondo», e che ha «scalato montagne di spade a piedi nudi»
(omaggio alla spiritualità orientale), ora va per le spicce: «Sono qui
apposta per portare vendetta sulla testa di qualcuno».
E’ il “soldato Dylan”, a parlare: e il diavolo che inquadra nel
mirino è quello che sta dilagando, oggi, in tutto il pianeta. Un diavolo
terreno, molto politico e non così antico, se contro di lui si
abbatterà la vendetta dello spettro che intende fare giustizia, dopo
oltre mezzo secolo, dell’infame sorte inflitta a John Kennedy. «Non mi
conosci», dice l’Uomo Ombra, «non indovineresti mai: non ho niente ha
che fare con quello che potrebbe suggerire il mio aspetto spettrale». A
scanso di equivoci, assicura: «Non sono un falso profeta». E se qualcuno
pensasse ai deliri del satanismo, sconcertante piaga attribuita persino
a una parte insospettabile dello star-system, l’ossuto giustiziere
precisa: «No, non sono la sposa di nessuno». Un rimando diretto a
Iside-Hathor, patrona dei supermassonici terroristi in doppioppetto? Nel
brano “I Contain Multitudes”, alludendo ai massoni ribelli che diedero
origine alla leggendaria pirateria caraibica, Dylan annunciava: «Porto
quattro pistole e due lunghi coltelli». Ora parla attraverso il
profeta-fantasma, che falso profeta non è: «Non riesco a ricordare
quando sono nato, e ho dimenticato quando sono morto».
Sottotraccia, l’esoterista Dylan maneggia numeri: «Play numer 9, play
number 6», invitava in “Murder Most Foul”, invocando la simbolizzazione
dell’armonia universale. E ora, il suo “False Prophet” – così torvo e
scuro – sfodera addirittura il 4, emblema della forza radiante
dell’amore che la tradizione iniziatica attribuisce al quadrato. Le
strofe sono dieci, ma raggruppate in quattro blocchi separati da tre
intervalli: quattro più tre, cioè sette – ovvero otto, come direbbe il
simbologo Michele Proclamato, che in tanti libri ha declinato quella che
chiama “legge dell’Ottava”, cifra nascosta del segreto della vita. Con
una clausola:
l’8, mai esplicitato, corrisponde al virtuale salto dimensionale,
“quantico”, che ciascuno può compiere, a patto di scegliere l’amore.
Coincidenze, ghirigori intellettuali? Non oggi, probabilmente, se un
super-taciturno come Dylan si scomoda in modo così palese, proprio in
tempi di coronavirus.
«State al riparo, e che Dio sia con voi», scrisse a fine marzo, sul
suo sito, presentando l’alluvione poetica di “Murder Most Foul”,
monumentale capolavoro in morte di John Kennedy e della speranza
assassinata: il più empio dei delitti, capace di raggelare il mondo
nella morsa della paura. Ci stanno riprovando? Sì, sembra dire il grande
attore travestito da profeta. Ma stavolta, aggiunge, non la
spunteranno. «Ciao, straniero», si congeda lo spettro, sicuro della
vittoria: «Un lungo addio: hai governato la Terra, ma l’ho fatto
anch’io». Come dire: pur in mezzo a questi orrori, a questo nuovo oceano
di sofferenze, sappiate che un lunghissimo ciclo doloroso sta per
chiudersi. E’ questo, probabilmente, l’ultimo messaggio del profeta di
Duluth, il poeta-soldato. Ma ci sarà da ballare parecchio: forse, la
battaglia finale è appena cominciata. E a proposito: non aprite la porta
a chi si presenta con un pacco regalo, se nell’altra mano impugna una
siringa.
(Giorgio Cattaneo, 10 maggio 2020).
L’autore della storica rivelazione sull’identità massonica di Bob
Dylan, Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, appartiene
lui stesso al circuito sovranazionale della massoneria progressista: già
“venerabile” della loggia romana Monte Sion del Goi, poi iniziato alla
superloggia “Thomas Paine”, è oggi Gran Maestro del Grande Oriente
Democratico, network italiano facente parte della rete massonica
progressista sovranazionale.
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