VOLERELALUNA Giulia Rodano
L’eredità
più drammatica e ingiusta che ci consegna la pandemia del Covid-19 è
costituita dalla tragedia, purtroppo ancora in corso, delle migliaia di
contagiati e di vittime delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) e
delle case di riposo.
Il coronavirus ha illuminato una realtà
dolorosa: in Italia abbiamo almeno 300.000 concittadini fragili che, ad
oggi, non sappiamo bene come vengano assistiti, sui quali non abbiamo
dati certi, conoscenze accurate.
Secondo il recente rapporto dell’ISS
(Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e
sociosanitarie), nell’aggiornamento del 14 aprile 2020, il numero delle
strutture oscilla tra le 3400 censite dallo stesso Istituto superiore di
sanità e le 4629 della banca dati del Garante nazionale per la
geolocalizzazione delle strutture assistenziali. Ma solo 1082 residenze
su 3276 coinvolte (il 33%) avevano, a quella data, risposto alla
richiesta di informazioni.
Il dolore è accresciuto dal terribile
senso di impotenza e dal senso di colpa dei parenti, tanto simile a
quello dei familiari dei pazienti psichiatrici, di avere ristretto i
propri cari in luoghi pericolosi, che proprio come i manicomi, non si
sono rivelati luoghi di cura, ma hanno creato e creano malattia e morte.
Forse proprio dalla grande lezione di
Franco Basaglia dovremmo ripartire per capire cosa fare, come rimediare a
questa terribile responsabilità collettiva. Ogni volta che viene lesa o
messa in discussione la dignità delle persone, il loro diritto,
qualunque sia la loro condizione, ad essere trattati come cittadini
nella pienezza delle proprie prerogative, anche se si è mossi dalle
migliori intenzioni, si producono sofferenza, isolamento, malattia.
Purtroppo, nonostante le buone
intenzioni dichiarate dal legislatore nella legge istitutiva del 1988,
le RSA sono diventate sempre di più, non luoghi protetti in cui
concludere con dignità la propria esistenza, ma ricoveri, ospizi, posti
dove relegare e nascondere la “malattia” della vecchiaia, della
disabilità e della fragilità. Basta leggere la storia delle leggi, delle
circolari, dei piani sanitari, persino i livelli essenziali di
assistenza, per accorgersi di come nel corso degli anni siano state
diminuite le garanzie e allargate le possibilità di accreditamento delle
strutture, facendo diventare le RSA il modo per consentire agli
imprenditori privati di riconvertire strutture sanitarie o alberghiere e
al settore pubblico per trasformare gli ospedali dismessi. Sono
diventati regola e non eccezione la reiterazione dei cosiddetti moduli
che hanno alla fine consentito la creazione di strutture da centinaia di
posti letto, la riduzione della presenza di personale sanitario
stabile, la trasformazione di strutture che avrebbero dovuto ricordare
in ogni modo la dimensione quotidiana della vita dell’ospite in veri e
propri reparti di tipo ospedaliero a prescindere dalle condizioni di
salute, più o meno severe, delle persone.
Le RSA sono un esempio drammatico, di
cui dovremmo fare tesoro, delle conseguenze perverse della colpevole
alleanza oggettiva tra la volontà pubblica di ridurre la spesa e la
spinta al massimo profitto dell’impresa privata.
Il virus ha reso evidente, ci ha
squadernato in faccia che, in questa società costruita sul mito della
competizione e dell’efficienza, si è finito proprio per considerare la
vecchiaia una malattia, un problema da contenere e segregare e
l’assistenza un problema da affrontare cercando di spendere il meno
possibile.
Paradossalmente, in questi anni si è
addirittura sancita la natura mista, non solo sanitaria, ma anche
sociale delle RSA. Ma è servito soltanto per chiedere agli anziani e
alle loro famiglie di pagare, e molto, aggiungendo alla segregazione e
separazione, anche la disuguaglianza di censo.
Nella realtà, invece, si è dimenticato
l’impegno per creare piccole strutture, case famiglia, case di sollievo,
si sono ridotte le ore di assistenza domiciliare, e ancora non si
riesce ad assumere nessuna misura sostanziale e significativa a sostegno
di chi, soprattutto donne, cerca di evitare il ricovero e di assistere i
propri cari in casa. Le RSA si sono trasformate così nella situazione
ideale per il coronavirus: tante persone anziane, deboli, malate, chiuse
in luoghi ristretti, assistite da pochi e spesso mal pagati operatori,
con contratti precari, lavori a somministrazione. E, tragicamente, il
virus non si è fatto attendere, ha infettato e ha ucciso.
Certo c’è chi ha gestito meglio e chi
peggio l’emergenza, chi ha aggiunto insipienza e disumanità nella
gestione dell’epidemia. Ma è il sistema che, nel pubblico, ha
considerato le persone un problema da risolvere e non soggetti di
diritti e nel privato le ha ritenute un buon investimento, che non ha
funzionato. Proprio come non funzionava il sistema degli ospedali
psichiatrici che non curavano, anzi producevano malattia.
Nessun commento:
Posta un commento