martedì 12 maggio 2020

RSA: è il sistema che va cambiato

RSA: è il sistema che va cambiato
VOLERELALUNA
L’eredità più drammatica e ingiusta che ci consegna la pandemia del Covid-19 è costituita dalla tragedia, purtroppo ancora in corso, delle migliaia di contagiati e di vittime delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) e delle case di riposo.
Il coronavirus ha illuminato una realtà dolorosa: in Italia abbiamo almeno 300.000 concittadini fragili che, ad oggi, non sappiamo bene come vengano assistiti, sui quali non abbiamo dati certi, conoscenze accurate.

Secondo il recente rapporto dell’ISS (Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie), nell’aggiornamento del 14 aprile 2020, il numero delle strutture oscilla tra le 3400 censite dallo stesso Istituto superiore di sanità e le 4629 della banca dati del Garante nazionale per la geolocalizzazione delle strutture assistenziali. Ma solo 1082 residenze su 3276 coinvolte (il 33%) avevano, a quella data, risposto alla richiesta di informazioni.
Il dolore è accresciuto dal terribile senso di impotenza e dal senso di colpa dei parenti, tanto simile a quello dei familiari dei pazienti psichiatrici, di avere ristretto i propri cari in luoghi pericolosi, che proprio come i manicomi, non si sono rivelati luoghi di cura, ma hanno creato e creano malattia e morte.
Forse proprio dalla grande lezione di Franco Basaglia dovremmo ripartire per capire cosa fare, come rimediare a questa terribile responsabilità collettiva. Ogni volta che viene lesa o messa in discussione la dignità delle persone, il loro diritto, qualunque sia la loro condizione, ad essere trattati come cittadini nella pienezza delle proprie prerogative, anche se si è mossi dalle migliori intenzioni, si producono sofferenza, isolamento, malattia.
Purtroppo, nonostante le buone intenzioni dichiarate dal legislatore nella legge istitutiva del 1988, le RSA sono diventate sempre di più, non luoghi protetti in cui concludere con dignità la propria esistenza, ma ricoveri, ospizi, posti dove relegare e nascondere la “malattia” della vecchiaia, della disabilità e della fragilità. Basta leggere la storia delle leggi, delle circolari, dei piani sanitari, persino i livelli essenziali di assistenza, per accorgersi di come nel corso degli anni siano state diminuite le garanzie e allargate le possibilità di accreditamento delle strutture, facendo diventare le RSA il modo per consentire agli imprenditori privati di riconvertire strutture sanitarie o alberghiere e al settore pubblico per trasformare gli ospedali dismessi. Sono diventati regola e non eccezione la reiterazione dei cosiddetti moduli che hanno alla fine consentito la creazione di strutture da centinaia di posti letto, la riduzione della presenza di personale sanitario stabile, la trasformazione di strutture che avrebbero dovuto ricordare in ogni modo la dimensione quotidiana della vita dell’ospite in veri e propri reparti di tipo ospedaliero a prescindere dalle condizioni di salute, più o meno severe, delle persone.
Le RSA sono un esempio drammatico, di cui dovremmo fare tesoro, delle conseguenze perverse della colpevole alleanza oggettiva tra la volontà pubblica di ridurre la spesa e la spinta al massimo profitto dell’impresa privata.
Il virus ha reso evidente, ci ha squadernato in faccia che, in questa società costruita sul mito della competizione e dell’efficienza, si è finito proprio per considerare la vecchiaia una malattia, un problema da contenere e segregare e l’assistenza un problema da affrontare cercando di spendere il meno possibile.
Paradossalmente, in questi anni si è addirittura sancita la natura mista, non solo sanitaria, ma anche sociale delle RSA. Ma è servito soltanto per chiedere agli anziani e alle loro famiglie di pagare, e molto, aggiungendo alla segregazione e separazione, anche la disuguaglianza di censo.
Nella realtà, invece, si è dimenticato l’impegno per creare piccole strutture, case famiglia, case di sollievo, si sono ridotte le ore di assistenza domiciliare, e ancora non si riesce ad assumere nessuna misura sostanziale e significativa a sostegno di chi, soprattutto donne, cerca di evitare il ricovero e di assistere i propri cari in casa. Le RSA si sono trasformate così nella situazione ideale per il coronavirus: tante persone anziane, deboli, malate, chiuse in luoghi ristretti, assistite da pochi e spesso mal pagati operatori, con contratti precari, lavori a somministrazione. E, tragicamente, il virus non si è fatto attendere, ha infettato e ha ucciso.
Certo c’è chi ha gestito meglio e chi peggio l’emergenza, chi ha aggiunto insipienza e disumanità nella gestione dell’epidemia. Ma è il sistema che, nel pubblico, ha considerato le persone un problema da risolvere e non soggetti di diritti e nel privato le ha ritenute un buon investimento, che non ha funzionato. Proprio come non funzionava il sistema degli ospedali psichiatrici che non curavano, anzi producevano malattia.

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