martedì 12 maggio 2020

Parassiti di lotta e di governo.

par 
 

ilsimplicissimus Anna Lombroso

Uno magari pensava che il lockdown avesse prodotto l’esito felice di zittire le sardine.
Macchè: se abbiamo perso di vista gli enfatici leader  impegnati a autorizzare l’odio per l’energumeno e i suoi elettori in nome dell’amore, e a sedare l’unico conflitto preoccupante, quello di classe,  lo spazio pubblico è occupato dalla elegante e documentata riprovazione, dalla  sussiegosa condanna, dalla persistente avversione per la “gente” da parte di illuminati pensatori, assoldati in forma di lobby potente da quella ideologia punitiva, come certe religioni crudeli e  feroci, intenta a dannare per l’eternità i colpevoli di aver voluto e goduto troppo e immeritatamente.
Uno di loro è il sociologo Ricolfi, che sta vivendo una certa notorietà per aver coniato la definizione di società signorile di massa, per alcuni milioni di “soggetti”, addirittura 50, che presenterebbero la caratteristica di poter «vivere sopra la soglia di povertà» avendo accesso a quello che l’autore chiama consumo opulento, intendendo quelle “potenzialità” di spesa che eccedono il livello di mera  sussistenza, e corrispondenti a 500 euro mensili pro capite.

Guardando a voi stessi potreste quindi essere lusingati dall’appartenenza al ceto dei “signori”, che possono permettersi di pagare mutui, assicurazioni sanitarie, fondi pensionistici, perfino Netflix, invece arriva la botta.
Secondo le ultime esternazioni del disincantato osservatore della nostra società, da “signori” siete arretrati allo status vergognoso di parassiti, in virtù di una “mutazione involutoria”, cito dall’intervista concessa a Huffington Post, dalla società signorile di massa in società parassita di massa che ci sta rendendo come proprio quelli come lui volevano che fossimo, grazie all’austerità alle “riforme” dalla Buona Scuola al Jobs Act, al ricatto e all’intimidazione come sistema di governo.

Ma il vero colpevole, l’incriminato sarebbe da individuare nel sopravvento, anche grazie alla pandemia, del pensiero post comunista e statalista del governo che ha messo colpevolmente in ombra, cito ancora, l’unica componente riformista e modernizzatrice della sinistra, quella di Renzi, e aggiungo, della Bellanova che vuole il caporalato “sociale” in favore degli immigrati e della coscrizione coatta dei percettori di reddito di cittadinanza, dei finanziatori della Leopolda coi quattrini a svernare nelle Cayman, di Farinetti che vuole fare del Sud la Sharm el Scheik, delle perdonanze alle banche criminali sotto forma di aiuti di stato, autorizzati benevolmente dall’Ue.

Ovviamente questa regressione assistenzialistica che grazie al Covid si svilupperebbe grazie al reddito d’emergenza, ai bonus, passando per la cassa integrazione ordinaria e in deroga e all’elargizione di mance, denunciati proprio da Renzi- da che pulpito vien la predica – troverebbe il substrato favorevole nella indole servile degli italiani: “nella società parassita di massa la maggioranza dei non lavoratori diventa schiacciante, la produzione (e l’export) sono affidati a un manipolo di imprese sopravvissute al lockdown e alle follie di stato, e il benessere diffuso scompare di colpo, come inghiottito dalla recessione e dai debiti”, ammonisce, così “ i nuovi parassiti non vivranno in una condizione signorile, ma in una condizione di dipendenza dalla mano pubblica, con un tenore di vita modesto, e un’attitudine a pretendere tutto dalla mano pubblica”.

Certo a ripensare a quelle fucine di antagonismo perfino avventurista che sono state le facoltà di sociologia, leggere simili bieche baggianate fa accapponare la pelle.
Ma c’è di peggio, perché nel totale buio scetticismo che lo anima, perfino il Ricolfi vede un barlume di speranza, incarnato dal neo-presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che “ha attaccato duramente il governo su questi primi accenni di politica assistenzialista, per non parlare della reazione dura alle ipotesi di entrata nel capitale nelle aziende che rischiano di fallire nei prossimi mesi”.
Avete capito adesso che forma prende l’utopia nella testa di questi attrezzi che scoprono il neoliberismo proprio quando mostra i segni della sua disfatta sucida, affidata al New Deal di Draghi che consegna la rinascita al sistema bancario e alla produttività secondo un mondo di impresa impersonato da esangui azionariati che credono che il termine “investire” significhi mettere le fiches sul tavolo della roulette finanziaria, aspettando che escano i loro numeri fortunati, che hanno fatto loro il credo secondo il quale, grazie a immunità e impunità, le perdite debbano essere socializzate e i profitti privatizzati.

E si capisce meglio che se il Covid19 non è nato da un complotto, quella che siamo vivendo è una cospirazione per inchiodarci alla condanna alla schiavitù in modo da scontare la colpa di sopravvivere, che si tratti di parassiti, compresi gli immigrati richiamati temporaneamente al lavoro, di dipendenti pubblici cui presto non saranno pagati i salari, di partite Iva ricattate che passeranno da casa alla dimora sotto i ponti, di ex signori che credono di poter mantenere modesti livelli di benessere, creativi che pensano di fare resistenza recandosi per l’apericena ai Navigli, di cassintegrati senza speranza, di giovani che sempre secondo il Ricolfi dovranno “puntare sull’auto-imprenditorialità, più che sull’attesa messianica del posto”. Perché ormai il loro destino segnato è quello di prestarsi ai lavoretti alla spina, nel mondo delle consegne a domicilio, del caporalato informatico, dove pare di aver recuperato autonomia se si decide di stare alla catena di notte invece che di giorno.

Ora è legittimo suggerire a chi parla di “parassiti” la consultazione anche solo dall’Enciclopedia dei Ragazzi che definisce così  “qualsiasi organismo animale o vegetale che viva a spese di un altro” e per estensione “lo scroccone sfrontato, amante della buona cucina, e quindi anche chi mangia e vive alle spalle altrui”, in modo da applicare l’uso di questo stilema a un target ben preciso, quello di un ceto chiuso nel suo mondo di sopra, difeso da leggi, eserciti e polizie al suo servizio ancorché pagati dallo Stato, che si staglia e trae ricchezza e potenza dalle macerie del mondo di sotto, quello di chi ha già perso e sta per perdere tutto, beni, sicurezza e diritti, cui è stato costretto a rinunciare per la sua nuda vita.
Sarebbe proprio giusto, ammesso che il termine abbia ancora un senso, togliere la parola a chi sostiene la supremazia di quel mondo di sopra, opinionisti, addetti alle “scienze sociali”, informatori, che hanno contribuito a rendere sempre più profondo il discrimine tra il “su”, sopra, di quelli che si sentono portatori di valori e principi culturali e morali, e il “giù”, sotto, quello degli espropriati in via di diventare definitivamente i sommersi, degli invisibili, dei perdenti, quelli senza le qualità per affermarsi: origine sociale, rendite, arrivismo, e quelli senza voce, i cui brontolii della pancia vuota hanno finito per trovare ascolto nella cosiddetta “estrema destra”, per distinguerla dalla “diversamente destra” del liberismo progressista, del politicamente corretto, dei modelli di integrazione da applicare teoricamente agli immigrati, mentre agivano per la secessione, la discriminazione e l’emarginazione dei colpevoli di povertà di qualsiasi etnia e genere.

La galera reale cui ci hanno costretti in questi mesi, tra arresti domiciliari e lavori forzati, è l’allegoria del mondo “reso migliore” dalla loro pandemia e che ci aspetta, quando l’unico diritto concesso è quello di servire.

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