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DI TINO OLDANI
italiaoggi.it
Nel comunicato
franco-tedesco sul Recovery Fund sta scritto che il supporto sarà basato
“sul chiaro impegno a seguire politiche economiche sane e un programma
di riforme ambiziose”. Termini diplomatici che rinviano alla definizione
di precise condizionalità.
L’esultanza con cui il governo
Conte-Gualtieri ha accolto l’annuncio del Recovery fund da 500 miliardi è
durata poco. Come d’abitudine, dopo avere finto per alcune settimane di
capeggiare un fronte del Sud Europa contro la Germania, Emmanuel Macron
è tornato a cuccia: così, con una conferenza stampa in teleconferenza,
lui da Parigi e Angela Merkel da Berlino, hanno annunciato l’ennesima
intesa franco-tedesca, ovvero la creazione di un nuovo strumento
finanziario, il Recovery fund, per favorire la ripresa dell’economia
europea.
A Roma, il governo di Giuseppe Conte, nato con la
benedizione di Bruxelles, ma ignorato dai poteri forti europei quando si
tratta di decisioni importanti, ha cercato di nascondere l’ennesimo
smacco politico con una esultanza ipocrita, subito condivisa dai
giornaloni e dai tg, che per tutta la sera di lunedì hanno ripetuto che
Merkel e Macron avevano fatto propria un’idea di Conte. Di più: la
Merkel, per la prima volta, con un calcio ai suoi principi
ordoliberisti, aveva accettato di condividere un debito con gli altri
paesi europei. Il tutto per concedere sovvenzioni a fondo perduto ai
paesi più colpiti dal Covid-19, Italia in testa. Un’amenità spacciata
per notizia dai tg.
Sono bastate poche ore, e da alcune capitali
europee è giunta, puntuale, la doccia fredda. Da Vienna, il premier
Sebastian Kurz, dopo essersi consultato con i governi del Nord Europa
(Olanda in testa) che si autodefiniscono «frugali», in opposizione ai
paesi «cicala» del Sud Europa, ha chiarito che la loro posizione non
sarebbe cambiata di una virgola: niente sovvenzioni Ue a fondo perduto,
ma soltanto prestiti, e ben condizionati. In buona sostanza, prestiti da
restituire in tempi certi, e soltanto in cambio di severe riforme da
varare al più presto nei paesi più indebitati.
Tale richiesta, a
ben vedere, ha sfondato una porta aperta, poiché proprio nel comunicato
franco-tedesco sul Recovery Fund sta scritto che il supporto sarà basato
«sul chiaro impegno a seguire politiche economiche sane e un programma
di riforme ambiziose». Termini diplomatici che rinviano alla definizione
di precise condizionalità, che saranno imposte a chi chiederà
l’intervento del Recovery Fund. Dunque, nulla di diverso da quanto già
prevede il Mes, il discusso fondo salva-Stati, la cui linea di credito
per le spese sanitarie è stata offerta settimana scorsa dal direttore
Klaus Regling ai paesi del Sud Europa, e rifiutata nel giro di due
giorni da Spagna, Portogallo, Grecia, che ne avevano già sperimentato in
passato le dure condizionalità. Al loro «no» si è poi associata la
Francia, e da ultimo il premier Conte, con una formula ambigua, degna
non di un premier o di un leader politico, ma di un gregario-galoppino:
attiveremo il Mes solo se lo farà anche la Francia.
Un altro punto
debole dell’annunciato Recovery fund risiede nella relativa modestia
dell’entità del fondo, appena 500 miliardi di euro, mentre fino al
giorno prima il duo Conte-Gualtieri parlavano di almeno mille miliardi,
con l’avallo di Ursula Von der Leyen, che formalmente è presidente della
Commissione Ue, ma in pratica è solo una pedina ubbidiente della Merkel
a Bruxelles. Secondo i primi calcoli degli esperti, di questi 500
miliardi, da raccogliere sui mercati usando come garanzia il prossimo
bilancio Ue, l’Italia potrebbe arrivare a chiederne circa 70, ovviamente
in prestito, e non prima del 2021. Il tutto dopo che avrà versato
almeno 36 miliardi, quale nuova quota annuale per il finanziamento
dell’Unione europea, che infatti, per il bilancio 2021-2027, prevede di
aumentare il contributo annuale dei 27 paesi aderenti dall’1,1% al 2%
del pil nazionale. Di fronte a questi numeri e a queste condizionalità,
ci vuole davvero un bel coraggio e una bella faccia tosta per parlare di
solidarietà europea con i paesi più colpiti dal Covid-19, come hanno
fatto Merkel e Macron.
La crisi prodotta dalla pandemia Covid-19
in Europa sta diventando, purtroppo, una scusa buona per fare passare
altre decisioni, che nulla hanno a che fare con la solidarietà. Lo
conferma il documento dell’accordo franco-tedesco, che nella parte
conclusiva propone di riscrivere le norme sugli aiuti di Stato e quelle
Antitrust sulla concorrenza. Guarda caso, un vecchio conto in sospeso di
Berlino e Parigi con l’Antitrust europeo, guidato da Margrethe
Vestager, che vietò la fusione tra la francese Alstom e la tedesca
Siemens nel ferroviario. Se a questo si aggiunge che Christine Lagarde,
presidente della Bce, nell’intervista al Corriere della sera ha chiesto
di riscrivere il patto di stabilità Ue prima di reintrodurne l’efficacia
al termine della pandemia, è evidente che dietro le quinte, a insaputa
del governo Conte-Gualtieri, è in corso una revisione profonda dei punti
chiave dei trattati Ue e dei patti stipulati al di fuori dei trattati,
qual è il patto per la stabilità.
Di quest’ultimo patto, che da
oltre dieci anni impone all’Italia un’austerità di bilancio che ha
impoverito il paese, il giurista Giuseppe Guarino, scomparso il 17
aprile, denunciò che si trattava di uno stravolgimento giuridico del
trattato di Maastricht, in quanto si trattava di un regolamento mai
approvato da nessun parlamento. Oggi è prevista a Roma una cerimonia per
ricordare la figura e l’opera di Guarino: l’occasione giusta per
ribadire alcune sue amare verità sull’Europa germanizzata e sugli
strumenti finanziari imposti da Berlino per consolidare la propria
egemonia.
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