Rete per l'Autorganizzazione Popolare - http://campagnano-rap.blogspot.it
Pagine
- Home
- L'associazione - lo Statuto
- Chicche di R@P
- Campagnano info, news e proposte
- Video Consigliati
- Autoproduzione
- TRASHWARE
- Discariche & Rifiuti
- Acqua & Arsenico
- Canapa Sativa
- Raspberry pi
- Beni comuni
- post originali
- @lternative
- e-book streaming
- Economia-Finanza
- R@P-SCEC
- il 68 e il 77
- Acqua
- Decrescita Felice
- ICT
- ECDL
- Download
- हृदय योग सारस
sabato 2 maggio 2020
Il Coronavirus e la questione ambientale
.volerelaluna di: Fabrizio Venafro
Da quando è scoppiata la pandemia da coronavirus, l’evento più evocato è stato quello dell’attacco dell’uomo agli ecosistemi. Perché? Cosa c’entra la questione ambientale con l’emergenza sanitaria? Quest’ultima ha più le sembianze di un evento accidentale, naturale, inaspettato, mentre la prima è ormai opinione unanime all’interno della comunità scientifica che sia determinata dall’azione del modello economico dei paesi sviluppati. In realtà, i due eventi hanno parecchi punti in comune. Cerchiamo di capire quali sono.
1. Le immagini che ci pervenivano da Wuhan, quando ancora il coronavirus era confinato in una provincia della Cina centrorientale, con le poche persone che circolavano, munite di mascherina, tra le strade deserte della città, ci riportavano alla memoria analoghe immagini che, qualche anno fa, ci arrivavano da Pechino. Un ricorso alla memoria dovuto a un’analogia e a un contrasto. L’analogia era data dall’uso delle mascherine, che a Pechino erano necessarie per l’eccessiva presenza di inquinanti nell’aria, il contrasto era dovuto al fatto che a Pechino c’era una nebbia artificiale dovuta allo smog mentre a Wuhan l’aria era stata ripulita dal blocco delle attività produttive. In Cina, a seguito della pandemia, si è determinato un calo del 25% delle emissioni, cosa che si sarebbe verificata in seguito nel resto del mondo man mano che il contagio si espandeva. La pianura padana è stata una delle regioni dove maggiormente il blocco produttivo ha fatto apprezzare il ritorno a un’atmosfera come non se ne vedeva da tempo. Le acque dei fiumi sono tornate ad essere limpide, la fauna selvatica e ittica ha ripreso possesso dei propri spazi e si è avventurata anche alla scoperta degli ambienti umani lasciati vuoti a causa delle norme sul distanziamento sociale (https://volerelaluna.it/ambiente/2020/04/16/la-natura-si-riprende-i-suoi-spazi/). Un primo effetto della pandemia è stato, quindi, quello di evidenziare ancor più quanto l’uomo sia nocivo al sistema terra e a se stesso (https://volerelaluna.it/ambiente/2020/03/31/cattivi-pensieri-di-un-guardiaparco-in-servizio-in-valsusa/). Alcuni studiosi del dipartimento di biostatistica dell’università di Harward mettono in correlazione una maggiore incidenza di mortalità dovuta al covid19 con una esposizione di lungo periodo all’aria inquinata (https://www.nytimes.com/2020/04/07/climate/air-pollution-coronavirus-covid.html?searchResultPosition=1). Vivere in zone con maggiore presenza di polveri sottili, in particolare le pm2,5, esporrebbe le persone colpite dal virus a una maggiore probabilità di morte, fino al 15% in più. Altri studi stanno vagliando la possibilità che la propagazione del virus sia favorita nelle zone in cui l’aria è più inquinata. Se le morti del covid19 hanno una drammatica risonanza per la rapidità con cui si verificano, quelle per inquinamento, seppur maggiori, per ora, passano sotto silenzio.
2. Secondo molti, in primis il giornalista scientifico David Quammen, autore di Spillover, il salto di specie tra animali e uomo è favorito non solo dalla promiscuità ma, soprattutto, dall’attacco che l’uomo sta portando agli ecosistemi, in particolare alle foreste di Asia e Africa: le pandemie non sono eventi accidentali ma conseguenze non volute delle nostre azioni, «sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria […] da un lato la devastazione ambientale causata dalla pressione della nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni, dall’altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli in modo più rapido e generalizzato» (D. Quammen, Spillover, 2014). Si tenga presente che tali parole non sono dedicate al Coronavirus, dato che il libro lo precede di alcuni anni, anche se l’autore prevedeva un Next Big One, prossimo grande evento, originato forse in una foresta pluviale, forse in un mercato cittadino della Cina meridionale.
3. Questa pandemia ha costretto il mondo a una sosta forzata, non solo nella produzione ma anche per quanto concerne la sfera relazionale. Tali effetti delle pandemie non sono nuovi, basti leggere il romanzo di Camus dedicato alla peste per ritrovarvi le stesse misure di contenimento che stiamo sperimentando ora. Ciò che è nuovo, rispetto al passato, è che la globalizzazione rende il contagio pandemico e veloce. Il mondo attuale si fonda sull’estrema interconnessione delle sue regioni, ma questa interconnessione in qualche caso dimostra la vulnerabilità del sistema. Lo stesso avviene per l’inquinamento e il cambiamento climatico. Le emissioni scaturite da eccessi produttivi di una parte, non maggioritaria, del globo, hanno effetti sull’intera Terra e comportano eventi catastrofici che si ripercuotono diversamente a seconda dei paesi che vengono colpiti e delle risorse possedute per farvi fronte. Le conseguenze sono, in questo caso, inversamente proporzionali alle responsabilità.
4. La crisi economica scaturita dal coronavirus, si stima avrà gli effetti non della crisi del 2008, ma di quella del 1929. Prove di collaborazione, più o meno difficile, si stanno svolgendo tra i paesi con fortune alterne. Gli effetti economici della crisi rendono la pandemia assimilabile ai collassi provocati dai cambiamenti climatici e dall’esaurimento delle risorse, specie l’acqua dolce. Uragani, innalzamento del livello dei mari, desertificazione dei territori metteranno a dura prova il mondo futuro con costi economici e umani ingenti. Gli stessi fenomeni migratori sono riconducibili ai cambiamenti climatici: oggi la maggior parte dei migranti possono essere definiti migranti climatici, che è termine più appropriato di migranti economici.
5. La pandemia si è dimostrata non amica delle libertà personali e dei diritti individuali. Si sono rese necessarie misure di contenimento che, seppur adottate in regimi democratici, hanno conculcato alcune delle libertà su cui tali regimi si fondano: libertà di movimento, di aggregazione, di associazione (e vi sono motivi per temere circa quella di espressione). Si è resa necessaria la scelta tra libertà e sopravvivenza (https://volerelaluna.it/commenti/2020/04/08/coronavirus-ci-stiamo-giocando-la-democrazia/). Simili scenari di compressione delle libertà sono ipotizzati anche in caso di collassi dovuti alla crisi climatica, ai quali non si reagirà attraverso la collaborazione tra i paesi ma, al contrario, con la competizione per l’accaparramento dei territori e delle risorse disponibili. Non a caso Razmig Keucheyan ipotizza un maggior ruolo dei militari nella gestione delle future crisi climatiche (La natura è un campo di battaglia, 2019) . Le stesse prove di controllo della popolazione ventilate con l’emergenza sanitaria possono essere un triste presagio di una distopica società futura.
6. La pandemia mostra un tratto potenzialmente democratico, in quanto colpisce tutti allo stesso modo, senza distinzione di classe, etnia e confini. Ma si adegua a quelle distinzioni erette dall’uomo all’interno delle società. Così, in Sudamerica, si dice che il contagio sia veicolato dai ricchi ma uccida i poveri che non hanno le risorse necessarie per farvi fronte o che non possono astenersi dal lavorare anche in assenza di sicurezza. La stessa cosa sta avvenendo negli Stati Uniti, dove la malattia colpisce soprattutto le comunità degli afroamericani. Anche i riflessi economici del contagio hanno ovviamente un’incidenza diversa. Le crisi economiche mietono vittime tra gli ultimi, non certo tra i primi. Chi vive al livello della sussistenza si vede venir meno anche quei pochi beni necessari alla sopravvivenza, mentre chi ha un alto tenore di vita, a malapena si accorge delle differenze. Anzi, come è accaduto dopo il 2008 le classi più ricche potrebbero anche avvantaggiarsi dalla crisi che favorisce situazioni di darwinismo sociale. La stessa cosa avviene già per le catastrofi indotte dal cambiamento del clima, tra e all’interno degli stati. Si pensi all’uragano che ha investito il Mozambico nel 2019 devastandolo e distruggendone la già fragile economia. Oppure a quello che ha investito la Lousiana nel 2005, dove ad essere colpite, ancora una volta, sono state soprattutto le fasce più deboli che si sono ritrovate dall’oggi al domani senza una casa e senza la possibilità di riaverne una. Quell’uragano ha indotto un vasto fenomeno di migrazione interna, verso altri stati della confederazione e favorito violenze e saccheggi nei centri più colpiti. In sostanza, eventi climatici e pandemie si stratificano sui sistemi umani e, quando questi presentano un alto indice di disuguaglianza, non fanno che amplificarne le contraddizioni. La disuguaglianza è il convitato di pietra delle attuali catastrofi. Quando le catastrofi climatiche si trasformano in catastrofi sociali, palesano il fallimento di determinati sistemi economici e politici (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/04/04/ce-una-sola-soluzione-la-giustizia-ecologica-e-sociale/).
7. Infine, l’attuale blocco suggerisce alcune soluzioni che potrebbero prefigurare scenari alternativi affinché, una volta superata l’emergenza sanitaria, non ci si proietti verso quella ambientale o verso una nuova emergenza dovuta a un’ulteriore pandemia. Bisognerà chiedersi di quale crescita abbiamo bisogno per il dopo covid19, se continuare secondo il modello business as usual o cambiare direzione, andando verso una riduzione sia dell’impronta ecologica che della disuguaglianza nel mondo tra e all’interno degli stati, nella consapevolezza che, per come è stato calcolato finora, il Pil è un indice sterile che misura tutto tranne ciò che rende la vita degna di essere vissuta (Robert Kennedy). Inoltre, il contenimento ha fatto emergere l’importanza di una certa tecnologia basata sull’immateriale. La quale, laddove si possa garantirne il basso impatto ambientale e l’assenza di rischi sulla salute umana, potrebbe essere uno dei fulcri dell’economia futura. Ma ha messo in luce anche l’importanza delle relazioni sociali e di tutto un settore economico, dalla sanità alla cultura, dall’istruzione all’intrattenimento, che finora è stato considerato, dal nostro modello, figlio di un dio minore. L’altro fulcro di uno sviluppo economico futuro è costituito, quindi, da tutti quei servizi in cui il capitale umano è difficilmente rimpiazzabile dalla robotica, come la sanità, l’istruzione, la cultura, l’alimentazione di qualità; insomma tutti quegli aspetti che danno senso alla vita e costituiscono il fondamento primario di una vita che possa dirsi realmente prospera e non basata unicamente sul possesso di beni. La crescita dovrà essere smart, verde, inclusiva e sostenibile (T, Jackson, Prosperità senza crescita. I fondamenti dell’economia di domani, 2017). Le crisi offrono occasione per cambiamenti epocali che, nel nostro caso, si rivelano essere anche vitali.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento