di Gianfranco Viesti da Eticaeconomia.it
L’emergenza
coronavirus sta mettendo in luce le conseguenze del grave
sotto-finanziamento del sistema sanitario nazionale (SSN), documentato
da molte fonti; da ultimo, con semplicità e chiarezza da Reforming (2020).
Sono da tempo disponibili molte analisi economiche del SSN, anche nelle
sue articolazioni territoriali: si vedano per tutte quelle, recenti,
dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB 2019) e della Fondazione Gimbe (2019).
Esse si concentrano particolarmente sull’analisi della spesa corrente,
che in sanità è della massima rilevanza sia per il personale sia per gli
acquisti di beni (farmaci) e servizi. Convergono nel sottolineare il
progressivo definanziamento del SSN; ricordano i meccanismi di riparto
territoriale delle risorse e i bilanci sanitari regionali, sottolineando
la più difficile situazione delle regioni del Sud, in termini
finanziari e di esiti delle cure.
In molti casi
esse comprendono anche analisi sulle dotazioni strutturali del SSN e
delle sue articolazioni regionali, in particolare in termini di
posti-letto; anche da questo punto di vista vengono sottolineate
crescenti differenze territoriali, soprattutto per gli effetti di
riduzione della spesa indotti dai Piani di Rientro (ad esempio Aimone Gigio et al., 2018).
Può essere
utile affiancare a questo vasto corpo di analisi una riflessione
specifica sulla spesa in conto capitale in sanità, nell’insieme del
paese e nelle Regioni. Questa analisi è possibile grazie al sistema dei Conti Pubblici Territoriali (CPT),
che rende disponibili dati di cassa sulla spesa per investimenti
pubblici in sanità, dal 2000 in poi, in valori costanti e consolidati
per livello di governo (la spesa finale è effettuata per la quasi
totalità dalle Aziende Sanitarie Locali). La figura 1 mostra il totale
nazionale degli investimenti pubblici in sanità, a prezzi del 2010, fra
il 2000 e il 2017; essi sono ammontati complessivamente a 47 miliardi di
euro.
Come si vede dalla figura, il profilo della spesa è costante fino al 2007 intorno a 2,8 miliardi; crescente per un breve periodo fino al 2010, anno in cui tocca i 3,4 miliardi. Poi fortemente decrescente, fino al valore minimo di 1,4 miliardi nel 2017, che è del 60% più basso rispetto al 2010. Dal 2012 la spesa è inferiore a quella dell’anno 2000. Un vero e proprio tracollo.
Stando al rapporto annuale della Corte dei Conti (2019,
p. 244) sulla finanza pubblica, che analizza i bilanci delle ASL, si
tratta di un livello molto inferiore, nel 2016, a quello degli altri
paesi europei. “In Italia solo lo 0,3% del Prodotto è destinato ad
accumulazione, contro importi più che doppi nelle principali economie
europee: lo 1,1 della Germania, lo 0,6 della Francia. Superiori anche
Spagna e Portogallo con rispettivamente lo 0,7 e lo 0,6”.
Ma di che
parliamo? Dallo stesso Rapporto si può calcolare (dalla pagina 243,
medie quadriennali 2015-18 a prezzi correnti), la composizione
tipologica degli investimenti, che appare piuttosto qualificata in senso
scientifico-tecnologico, e quindi di grande rilevanza per la qualità
delle cure. Infatti, se per il 40% si tratta di terreni e fabbricati e
per il 17% di mobili, automezzi e altri beni materiali, quasi un terzo
della spesa (32%) è per attrezzature scientifiche e sanitarie, il 7% per
impianti e macchinari e il 5% per immobilizzazioni immateriali.
La spesa per
investimenti in sanità in questi 18 anni è stata poi molto squilibrata
territorialmente. Dei 47 miliardi totali, oltre 27,4 sono stati spesi
nelle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel
Mezzogiorno; in particolare in quest’ultima area, che nella media del
periodo pesa per il 35% della popolazione italiana, gli investimenti
sono stati pari al 17,9% del totale. In termini pro-capite, a fronte di
una spesa nazionale media annua di 44,4 euro, quella nel Nord-Est è pari
a 76,7 (cioè di ben tre quarti più alta), mentre quella nelle Isole è
pari a 36,3 euro e nel Sud Continentale a 24,7: poco più della metà
della media nazionale. Al Centro e al Nord-Ovest si è stati molto vicini
alla media.
La tabella 1 mostra il dettaglio regionale, interessante anche per le sensibili differenze interne alle macro-aree territoriali.
Sono evidenti
grandissime differenze. Colpiscono i valori straordinariamente alti del
Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta, i cui cittadini hanno una
disponibilità di strutture e servizi sanitari molto maggiore di quello
degli altri italiani. Molto più alti della media nazionale sono anche i
valori degli investimenti in Emilia-Romagna, Toscana e Veneto. Diverse
regioni hanno valori simili a quelli medi, anche se un po’ inferiori in
Umbria, Abruzzo e Sicilia. Vi è invece un gruppo di regioni con livelli
di investimento intorno alla metà della media nazionale: sono, come si
vede, Puglia, Molise, Campania e Lazio. Impressionante, infine, il dato
della Calabria: i suoi meno di 16 euro pro-capite significano una
intensità di investimento nella sanità che è stata quasi 12 volte
inferiore a quella della Provincia Autonoma di Bolzano e quasi tre volte
inferiore alla media nazionale. Per quanto si può vedere dalla media
dell’ultimo quadriennio sulla composizione tipologica degli
investimenti, non paiono esservi grandi differenze territoriali:
elaborando i dati della tabella a pagina 243 di Corte dei Conti (2019),
si può calcolare che nel Mezzogiorno (Sud e Isole) è maggiore rispetto
al valore nazionale il peso delle attrezzature sanitarie e scientifiche
(38%) e un po’ inferiore quello dei macchinari (5%) e delle
immobilizzazioni immateriali (4%).
Può
essere interessante comparare i flussi degli investimenti con il
livello delle dotazioni e dei fabbisogni infrastrutturali delle diverse
regioni. Anche questo è un terreno molto complesso, data la difficoltà
di stabilire con precisione indici di dotazione infrastrutturale. Ad
esempio la Corte dei Conti (2019)
segnala che nella comparazione internazionale delle dotazioni di
attrezzature sanitarie italiane non vanno considerati solo i livelli ma
anche l’obsolescenza; che naturalmente tende ad aumentare in periodi di
calo complessivo degli investimenti.
Un confronto
di massima può essere compiuto utilizzando l’indicatore sintetico di
divario di fabbisogno infrastrutturale delle regioni italiane calcolato
per il 2006 dalla Fondazione CERM su dati Health for All, elaborando 19
diverse variabili (Banca Intesa, “Il mondo della salute fra governance
federale e fabbisogni infrastrutturali, Milano, 2010, pag. 74). Il
quadro al 2006 mostrava una dotazione maggiore nelle regioni del
Centro-Nord rispetto a quelle del Sud, con le regioni del Centro su
livelli simili a quelle del Nord. Tale quadro può essere confrontato con
l’intensità degli investimenti pubblici (espressi in pro-capite) per il
2007-17. Da questa comparazione vengono esclusi il Molise, che aveva al
2006 un indicatore di dotazione molto più alto delle altre regioni e
Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, che, come appena visto hanno potuto
realizzare investimenti in misura molto maggiore rispetto al resto del
paese. La Figura 2 mostra in istogramma le dotazioni 2006 (posta pari a
100 la regione meglio dotata e cioè l’Umbria) e in linea continua gli
investimenti pro-capite 2007-17 (in numero indice, posta pari a 100 la
regione con il flusso maggiore e cioè la Toscana).
Appare
evidente che, in linea generale, l’intensità di investimento è stata
maggiore nelle regioni che avevano già una maggiore dotazione. Vi è
tuttavia l’eccezione rappresentata da Umbria e Lazio, con alte dotazioni
e bassi investimenti, e quindi con un deterioramento della posizione
relativa: una sorta di “scivolamento verso Sud” di due regioni centrali.
Colpiscono i dati particolarmente negativi di Calabria e Campania, e
l’andamento leggermente migliore, nel quadro meridionale, di Basilicata e
Sardegna.
Agli
specialisti del settore e agli esperti dei complessi meccanismi di
finanziamento della sanità, spetta dire quanto ciò dipenda dai criteri
di riparto delle risorse e quanto da scelte delle amministrazioni
regionali, o dalla difficoltà di realizzare investimenti pur avendo
disponibili le relative risorse. Vale naturalmente ricordare che diverse
regioni italiane, prevalentemente nel Mezzogiorno, sono state
sottoposte negli ultimi anni ai meccanismi finanziari determinati dai
“Piani di rientro”, con conseguenze molto serie sulle capacità
complessive di spesa (Aimone Gigio et al., 2018).
L’obsolescenza
delle strutture, il sottodimensionamento e l’invecchiamento delle
apparecchiature di diagnosi e trattamento ha ricadute sull’attività e
sulla spesa corrente: erogare gli stessi Livelli Essenziali di
Assistenza (LEA) con una minore dotazione strutturale costa di più a
qualità inferiore. Non a caso nella legge 42/2009 sul federalismo
fiscale, la perequazione infrastrutturale (poi non attuata, neanche
nella misurazione delle dotazioni) era strettamente legata alla capacità
di erogare servizi con fabbisogni standard. Appare verosimile poi che
queste tendenze, avendo aggravato le disparità di dotazioni fra le
regioni, abbiano concorso a ridurre l’efficacia dei sistemi sanitari di
alcune grandi regioni del Sud, contribuendo alla mobilità in uscita dei
pazienti; mobilità che, rappresentando un costo per le regioni di
provenienza, può a sua volta renderne più stringenti i vincoli
finanziari.
Vale ricordare che la Corte dei Conti (2019)
segnala che “diverse iniziative sono state assunte nell’ultimo biennio
per procedere ad un potenziamento delle dotazioni tecnologiche ed
infrastrutturali del sistema sanitario”, di cui il Rapporto dà conto.
Tuttavia sono emersi con chiarezza notevoli fabbisogni di investimento
ancora senza copertura. Una analisi del 2018 del fabbisogno di edilizia
sanitaria lo quantifica in 32 miliardi di euro nell’arco temporale
2019-2045; il fabbisogno di investimenti in tecnologie sanitarie per il
solo triennio 2018-20 ammontava a 1,5 miliardi, principalmente per
sostituzioni di macchinari. Le necessità di investimenti in tecnologie
appaiono (Corte dei Conti 2019,
pag. 250) non a caso molto maggiori della media nazionale in
Basilicata, Calabria e nelle Isole, oltre che in Friuli Venezia Giulia e
Umbria.
Appare
naturalmente auspicabile, anche – ma non solo – alla luce della
drammatica diffusione epidemica che stiamo vivendo in questi giorni, che
nei prossimi anni vengano dedicate risorse molto maggiori per gli
investimenti nel SSN; e che essi mirino a potenziare le strutture in
tutte le regioni ma con una attenzione particolare per quelle meno
dotate: che come si è visto, sono state particolarmente penalizzate
quantomeno nell’ultima decade.
Ringrazio
Alessandra Tancredi del Nuvec-Agenzia per la Coesione per l’assistenza
nel reperimento dei dati e alcuni colleghi per utili commenti su una
prima versione del testo.
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