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Una
delle più insistenti obiezioni che vengono fatte a chi si pronuncia
contro la segregazione forzata e la sospensione dei diritti
costituzionali è che vabbè, ma dopotutto ha salvato delle vite. Ora
questo ragionamento oltre ad essere indimostrabile, non ha alcun senso
dal punto di vista epidemiologico, ovvero scientifico perché scelte di
questo tipo possono solo rallentare nel breve periodo i contagi e non
diminuirli in totale, peraltro causando più decessi complessivi a causa
di interventi chirurgici e diagnosi posticipati, suicidi, overdose di
farmaci, depressione, aumento delle morti per infarto o per mancata
assistenza. In ogni caso la teoria della segregazione come salvavita
viene smentita in maniera empirica dai fatti concreti ovvero dalla
constatazione che non esiste un rapporto tra severità della segregazione
e numero di morti: Paesi come Israele, Svezia, Brasile dove le misure
di segregazione sono state minime se non inesistenti hanno avuto meno
morti di quelli che hanno invece adottato misure più severe. La cosa è
dimostrata anche dagli Usa dove le misure di contenimento sono state
diverse fra stato e stato e dove le minori restrizioni hanno comportato
un numero minore di morti. La cosa potrebbe sembrare strana perché la
correlazione esiste, ma è contraria a quella attesa e proclamata sulla
cui base viene giustificata la carcerazione domiciliare, ma invece
rientra perfettamente nella logica dell’invenzione epidemica: dove la
segregazione è stata più vincolante c’è stato un interesse specifico a
catalogare i normali decessi come opera del Covid invece di attribuirle
alle reali patologie, tenendo conto che il decesso è quasi sempre
determinato nelle fasi terminali da un qualche microrganismo
opportunista degli oltre 200 che ospitiamo normalmente. In poche parole
la severità delle misure non è determinata dalla severità della
malattia, ma al contrario la severità del male è determinata dal livello
cui si vuole portare l’esperimento sociale di segregazione e di
distanziamento sociale.
E’ per questo che il mainstream tenta con particolare accanimento di
nascondere o di raccontare frottole mal acconciate su questa evidenza
sull’inutilità della domiciliazione coatta , proprio perché cerca di
nascondere il cuore essenzialmente narrativo della presunta pandemia e
questo nonostante i dati ufficiali siano disponibili a chiunque voglia
farsi carico di comprendere le cose. Tuttavia la reazione, “ma comunque
ha salvato delle vite” , corrisponde a una reazione assolutamente
istintiva che in psicologia prende il nome di fallacia del costo sommerso.
Si tratta, come fa osservare l’Aier, ovvero l’American institute for
economic research, di un tunnel della mente per il quale quando si è
speso molto in termini reali o emotivi per qualcosa, si fa molta fatica a
tornare indietro e ci fa insistere in azioni o visioni fallimentari
perché cambiare strada sarebbe come ratificare le perdite. Gli esempi di
questa resilienza sono moltissimi e vanno dal leggere fino in fondo un
brutto libro perché ormai l’abbiamo comprato, o sciare nella tormenta
perché abbiamo lo skypass, oppure insistere in una relazione appassita
perché vi abbiamo già speso emotivamente tanto o mettere soldi in un
impresa che già si è dimostrata fallimentare. Così in un certo senso
dopo essere rimasti due mesi a casa, aver visto interrompere la scuola,
aver perso il lavoro o aver subito consistenti perdite economiche
diventa difficile constatare che tutto questo è servito a poco o nulla e
soprattutto diminuisce la resistenza verso ulteriori e magari più
severe segregazioni, perché si è già speso e perduto così tanto che
rifiutarsi di obbedire a disposizioni inutili o folli sarebbe confessare
di aver puntato e creduto in qualcosa di sbagliato.
E’ precisamente su questo tunnel della mente emotiva che contano gli
sperimentatori del nuovo ordine sociale per evitare reazioni radicali
alla cancellazione delle libertà a fronte di una mortalità complessiva
largamente sovrapponibile a quella influenzale e anzi minore. In realtà
di gran lunga minore se proprio in virtù dei confinamenti non si fosse
diffuso il virus proprio tra la parte più a rischio della popolazione:
ospedali e case di riposo. Quando lo si capirà sarà comunque troppo
tardi.
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