venerdì 22 maggio 2020

Fallacia, ovvero come perseverare nella commedia

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ostrich head in sandUna delle più insistenti obiezioni che vengono fatte a chi si pronuncia  contro la segregazione forzata e la sospensione dei diritti costituzionali è che vabbè, ma dopotutto ha salvato delle vite. Ora questo ragionamento oltre ad essere indimostrabile, non ha alcun senso dal punto di vista epidemiologico, ovvero scientifico perché scelte di questo tipo possono solo rallentare nel breve periodo i contagi e non diminuirli in totale, peraltro causando più decessi complessivi a  causa di interventi chirurgici e diagnosi posticipati, suicidi, overdose di farmaci, depressione, aumento delle morti per infarto o per mancata assistenza. In ogni caso la teoria della segregazione come salvavita viene smentita in maniera empirica dai fatti concreti ovvero dalla constatazione che non esiste un rapporto tra severità della segregazione e numero di morti: Paesi come Israele, Svezia, Brasile dove le misure di segregazione sono state minime se non inesistenti hanno avuto meno morti di quelli che hanno invece adottato misure più severe. La cosa è dimostrata anche dagli Usa dove le misure di contenimento sono state diverse fra stato e stato e dove le minori restrizioni hanno comportato un numero minore di morti. La cosa potrebbe sembrare strana perché la correlazione esiste, ma è contraria a quella attesa e proclamata sulla cui base viene giustificata la carcerazione domiciliare, ma invece rientra perfettamente nella logica dell’invenzione epidemica: dove la segregazione è stata più vincolante c’è stato un interesse specifico a catalogare i normali decessi come opera del Covid invece di attribuirle alle reali patologie, tenendo conto che il decesso è quasi sempre determinato nelle fasi terminali da un qualche microrganismo opportunista degli oltre 200 che ospitiamo normalmente. In poche parole la severità delle misure non è determinata dalla severità della malattia, ma al contrario la severità del male è determinata dal livello cui si vuole portare l’esperimento sociale di segregazione e di distanziamento sociale.

E’ per questo che il mainstream tenta con particolare accanimento di nascondere o di raccontare frottole mal acconciate su questa evidenza sull’inutilità della domiciliazione coatta , proprio perché cerca di nascondere il cuore essenzialmente narrativo della presunta pandemia e questo nonostante i dati ufficiali siano disponibili a chiunque voglia farsi carico di comprendere le cose. Tuttavia la reazione, “ma comunque ha salvato delle vite” , corrisponde a una reazione assolutamente istintiva che in psicologia prende il nome di fallacia del costo sommerso. Si tratta, come fa osservare l’Aier, ovvero l’American institute for economic research, di un tunnel della mente per il quale quando si è speso molto in termini reali o emotivi per qualcosa, si fa molta fatica a tornare indietro e ci fa insistere in azioni o visioni fallimentari perché cambiare strada sarebbe come ratificare le perdite. Gli esempi di questa resilienza sono moltissimi e vanno dal leggere fino in fondo un brutto libro perché ormai l’abbiamo comprato, o sciare nella tormenta perché abbiamo lo skypass, oppure insistere in una relazione appassita perché vi abbiamo già speso emotivamente tanto o mettere soldi in un impresa che già si è dimostrata fallimentare. Così in un certo senso dopo essere rimasti due mesi a casa, aver visto interrompere la scuola, aver perso il lavoro o aver subito consistenti perdite economiche diventa difficile constatare che tutto questo è servito a poco o nulla e soprattutto diminuisce la resistenza verso ulteriori e magari più severe  segregazioni, perché si è già speso e perduto così tanto che rifiutarsi di obbedire a disposizioni inutili o folli sarebbe confessare di aver puntato e creduto in qualcosa di sbagliato. 

E’ precisamente su questo tunnel della mente emotiva che contano gli sperimentatori del nuovo ordine sociale per evitare reazioni radicali alla cancellazione delle libertà a fronte di una mortalità complessiva largamente sovrapponibile a quella influenzale e anzi minore. In realtà di gran lunga minore se proprio in virtù dei confinamenti non si fosse diffuso il virus proprio tra la parte più a rischio della popolazione: ospedali e case di riposo. Quando lo si capirà sarà comunque troppo tardi.

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