lunedì 25 maggio 2020

Debito pubblico e ambiente: istruzioni per nascondere il conflitto sociale

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I tempi in cui ci troviamo non sono facili: i popoli europei sono stretti tra la morsa a tenaglia della pandemia da un lato, e delle pericolose strade che portano al Mes dall’altro. Al momento, ad essere chiaramente visibili sono il terribile effetto del virus, e l’intransigente attaccamento delle istituzioni europee all’austerità che, seppur apparentemente ammorbidita da provvedimenti di corto respiro dettati dall’eccezionalità del momento, è pronta a riprendersi la scena non appena l’emergenza si sarà attenuata. Eppure, non c’è da star sereni neanche per l’immediato futuro. Se infatti tutti speriamo che il Coronavirus possa via via divenire un avversario più gestibile, già vediamo chiare avvisaglie dell’inasprimento dei toni per quanto riguarda la gestione delle spese necessarie alla gestione della crisi.
Si prospetta per l’Italia, così come per praticamente tutte le nazioni fortemente colpite dal virus, un fine d’anno segnato da cospicui aumenti dei deficit pubblici (il rapporto deficit/PIL salirà dall’1.6% all’11.1% per Italia, dal 2.8% al 10.1% in Spagna, e da un avanzo dell’1.4% a un disavanzo del 7% in la Germania). Questo comporta, insieme alla rovinosa caduta del Pil, un aumento considerevole del rapporto debito/Pil, stimato per l’Italia intorno al 150-160% a fine 2020. Con opportunistico pudore, le armate dell’austerità non si sognano di ostacolare i programmi di spesa in deficit nell’immediato. Tuttavia, strisciante, già serpeggia una velenosa e sibillina domanda: “Saremo indebitati, sarà un problema?”.

Le voci dell’austerità sul tema si stanno moltiplicando, come possiamo ben vedere dalle parole di Lucrezia Reichlin, nota economista liberista e membro dei CdA di importanti aziende e banche italiane, e di Carlo Messina, CEO di Banca intesa San Paolo. Tuttavia, seppur forti e molto ascoltate, questo tipo di invettive hanno perso parte della loro forza virulenta. D’altro canto eravamo stati abituati a sentirci promettere i miracoli dell’austerità. E già dopo qualche anno, viste le tremende conseguenze, era avvenuta una mutazione del discorso dei ‘competenti’, che non era più incentrato sui miracoli dell’austerità quanto sulla sua necessità, dettata dal tenere i conti in ordine. Ecco che, come dicevamo, seppur non meno pericolose, le favole incentrate su un messaggio già conosciuto e screditato dovrebbero attecchire meno. Ciò che invece rappresenta un vero e proprio nuovo ceppo del virus dell’austerità è quello ‘ambientalista-zen’, ben rappresentato dalle recenti parole di Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro del Governo Letta. Il discorso di quest’ultimo si basa sulle seguenti considerazioni: per fortuna, grazie all’intervento in deficit dello Stato “l’impatto sui redditi delle famiglie sarà molto contenuto e verrà quasi completamente recuperato nel 2021”, ma questo comporterà un enorme aumento del rapporto debito/PIL. A questo punto a Giovannini sembra ineluttabile domandarsi se “nel decidere come usare i ‘loro’ soldi, i decisori politici hanno considerato il fatto che sono anni che i giovani chiedono una sterzata decisa nelle politiche pubbliche a favore di un modello di sviluppo diverso, basato sul concetto di sostenibilità?”. La conclusione è che la sostenibilità va assicurata in termini di capitale ambientale (tutela di natura e suolo, lotta all’inquinamento), umano (assicurare la formazione e istruzione delle persone), sociale (emersione del lavoro nero e dell’evasione fiscale) ed economico (corretta gestione delle finanze pubbliche). Chi si sognerebbe mai di essere contro questa ricetta?
Tuttavia, poiché il diavolo risiede nei dettagli, Giovannini ci serve una polpetta avvelenata esprimendo una preoccupazione per le future generazioni. E’ una preoccupazione, questa, che fa emergere tutta la logica che anima il discorso dominante, sul tema del debito pubblico. Giovannini, infatti, presenta il debito pubblico come un fardello insostenibile per le future generazioni che saranno costrette a ripagarlo tramite maggiori tasse. Il punto, però, è che il debito pubblico, tanto più in una situazione di alta disoccupazione, permette a uno Stato di crescere, creare lavoro e ricchezza tanto per le generazioni presenti quanto per le generazioni future. Come al solito, non esiste alcun conflitto intergenerazionale che possa giustificare le politiche di austerità le quali, invece, generano povertà e miseria tanto tra le generazioni presenti che tra quelle future. Al contrario, le finanze pubbliche sono assolutamente necessarie all’interno del discorso sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale, esse sono il volano della sostenibilità per il mondo futuro. Il settore pubblico, proprio per assicurare una transizione verso una produzione sostenibile, proprio per consentire a tutti l’accesso ad istruzione e sanità gratuite, dovrebbe impegnarsi a conseguire deficit sostenuti come importo e continui nel tempo. Insomma, concordiamo con Giovannini sulla necessità di garantire la sostenibilità in senso lato, ma proprio a tal fine le finanze pubbliche devono essere usate come mezzo per raggiungerla e non subdolamente presentate come fine in sé, da tutelare mediante rigore sui conti pubblici. Le politiche espansive e un ruolo attivo dello Stato in economia sono, infatti, la sola via per garantire sostenibilità e uguaglianza.
Questo discorso ci porta a concludere due cose. La prima è che possiamo tranquillamente fare a meno di un discorso che si vorrebbe socialmente impegnato, quando in realtà è disegnato apposta per dare alla austerità una patina benevolente. Dipingere di verde l’austerità non ci consegnerà un Pianeta più sostenibile, ma di qualsiasi colore essa sia, lascerà solo macerie e non intaccherà l’ordine costituito. La seconda è che, ancora una volta, per capire perché il debito pubblico sia un problema tocca rivolgersi non a fatiscenti principi di equità intergenerazionale, quanto piuttosto ai meccanismi istituzionali di una gabbia europea che non smette di soffocare neanche di fronte a drammi economici e sociali senza precedenti.

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