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Quanto sta accadendo tra Pavia e Mantova ne è la prova: abbiamo medici eccezionali in un sistema globale discutibile, in tanti casi marcio. E’ stato normale mandarli a morire senza protezioni, come per la Cina
ritardare di 2 settimane la comunicazione della sequenza del genoma o
per l’Oms ripetere il 14 gennaio, a contagio diffuso, quanto affermava
l’autorità cinese: «Non ci sono trasmissioni da uomo a uomo». Il 21
febbraio ancora dicevano che gli asintomatici non erano fonte di
contagio. Quando i morti sono tanti è sempre tardi per chiedersi se si
poteva fare altro e se qualcuno ne risponderà mai. Nel nostro paese ad
un sistema
sanitario che funziona a macchia di leopardo si contrappongono medici
in prima linea che per salvarci ci stanno lasciando “le penne”. Per
fortuna lo abbiamo nel Dna: quando a noi italiani dici di fare qualcosa,
non la facciamo. Cerchiamo prima di capire perché ci è stato dato quel
comando. Come sarà successo al parassitologo molecolare Andrea Cristanti
che, facendo tamponi di massa a Vò Euganeo, ha compreso che gli
asintomatici sono fonte di contagio e andavano isolati.
L’autonomia di pensiero e una buona dose di coraggio e
responsabilità, unita a molta competenza in un mare di mediocrità, porta
oggi alcuni centri medici a raccontare la loro terapia di successo
contro il Covid-19: la sieroterapia. Sì, perché in alcuni ospedali
non si verificano più decessi per Covid da un mese, e il coronavirus
sparisce dopo un trattamento che va dalle 2 alle 48 ore, eliminando ogni
traccia di sintomo. Wow, direte, e come mai non lo dicono in tv e non
se ne sente parlare?
«Non abbiamo un decesso da un mese. I dati sono
splendidi. La terapia funziona, ma nessuno lo sa», racconta entusiasta
ma con una vena di sarcasmo Giuseppe De Donno, direttore di pneumologia e
terapia intensiva respiratoria del Carlo Poma di Mantova. In questo
strano cortocircuito tra scienza, politica
ed informazione accade infatti altro. «Tutti i giorni, in tv – dice De
Donno – ascoltiamo chi negava che il coronavirus potesse arrivare in
Italia o parlava di influenza o che colpiva solo gli anziani. Gli unici
che ci capiscono qualcosa lavorano ventre a terra dal primo giorno
dell’epidemia e non hanno il tempo di vivere in televisione. Hanno
inventato questa terapia fantastica ma purtroppo lo spazio avuto fino ad
ora sui media è esiguo».
De Donno: «Sono entusiasta di vedere le persone guarite così
velocemente. E’ l’unico trattamento razionale, sia biochimico che
immunologico del coronavirus che c’è in questo momento. Non esisterà
farmaco più efficace del plasma. E’ come il proiettile magico, si usano
immunoglobuline specifiche contro il coronvirus. Va utilizzato in fase
precoce. Se invece si aspetta che il paziente sia moribondo… allora si
fa un errore e ci vuole solo il prete, ecco! Ma è lo stesso discorso
dell’aspirina nella prevenzione dell’infarto. Se la usi in una persona
che è già cardiopatica, non conta nulla». I limiti della terapia? Ce li
spiega De Donno ridendo: «Costa poco, è fattibile e pure democratica.
Abbiamo 7 o 8 donatori tutti i giorni». Sono circa 80 i pazienti del Carlo
Poma di Mantova curati con successo, tra loro anche una donna incinta
di nome Pamela, uscita dal Covid in poche ore. Tra i medici del Carlo
Poma guariti c’è chi dona il sangue, come il dottor Mauro Pagani,
direttore della plasmaferesi: «Ora sto bene, e voglio aiutare chi ha
bisogno».
Funziona così. «Chi dona deve essere sano, guarito dal Covid e deve
avere degli anticorpi neutralizzanti», racconta il direttore di
immunoematologia e medicina trasfusionale, Massimo Franchini. «Si
prelevano 600 ml di plasma, da cui si ricavano 2 dosi da 300 ml
ciascuna. Il protocollo prevede 3 somministrazioni. Dopo la prima
somministrazione c’è un monitoraggio clinico di laboratorio, e nel caso
di mancata risposta c’è la seconda somministrazione, e così di seguito. A
distanza di 48 ore l’una dall’altra. La compatibilità per il plasma
viene fatta sul gruppo sanguigno». Franchini ci spiega che il plasma ha
un notevole livello di sicurezza
virale ed è un prodotto assolutamente sicuro e rigoroso, e va nei
dettagli: «Se il vaccino, che non abbiamo, ti farebbe produrre gli
anticorpi, questa che è un immunoterapia passiva trasferisce gli
anticorpi dal guarito al malato. Il paziente non produce nulla e non
crea nulla. Ma funziona per salvarlo».
Quando gli chiediamo perché non si diffonde questa strada ci spiega
che effettivamente in Lombardia si sta adottando. Tra Mantova e il San
Matteo di Pavia è partita la sperimentazione su un nucleo di 45 persone,
tutte curate con successo. Chi di sicuro non ha tempo per le passerelle
tv è il direttore del servizio immunoematologia e medicina
trasfusionale del policlinico San Matteo di Pavia, Cesare Perotti, che
ha sviluppato il protocollo e lo studio sul sangue e si chiama “plasma
iperimmune”. Ma è un intervento empirico? Perotti: «Qui di empirico non
c’è niente, ma si fa in situazioni di grandi epidemia. C’è una
validazione della terapia con il plasma iperimmune che non ha eguali nel
mondo. Sono conosciuto per non essere uno che ‘le spara’
e le posso dire che in questo momento è il plasma più sicuro al mondo,
perché la legislazione italiana ha delle regole stringenti che non ci
sono in Europa e in nessun altro paese al mondo, neanche negli Stati Uniti».
«Non solo abbiamo gli esami obbligatori di legge sul plasma per
essere trasfuso, ma abbiamo degli esami aggiuntivi e il titolo
neutralizzante degli anticorpi, che è una cosa che facciamo solo noi al
policlinico di Pavia. Neanche gli americani sono in grado di farlo, in
questo momento. Non ha eguali al mondo. Noi sappiamo la potenza, la
capacità che ciascun plasma accumulato ha di uccidere il virus. Ogni
plasma è fatto in modo diverso perché ogni paziente è diverso, ma noi
siamo in grado di sapere quale usare per ogni caso specifico». Uno
strumento importante, questo, da utilizzare nel caso, usciti dalla
quarantena, si ripresentasse uno scenario di contagio. Perotti: «Stiamo
accumulando plasma per un’eventuale seconda ondata di contagi. E’ una
terapia per chi sta male oggi. Ben venga il vaccino, ma in attesa il
protocollo funziona eccome! Lo studio è stato depositato. Tutto quello
che le hanno detto, che si esce in 48 ore, è vero». Certo non ci sono
ancora migliaia di persone testate, ma la sieroterapia è una cura
moderna utilizzata dal 1880.
(Antonio Amorosi, “Coronavirus, la cura c’è ma non se ne parla. Da Pavia e Mantova la svolta”, da “Affari Italiani” del 25 aprile 2020).
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