mercoledì 20 agosto 2014

Opinioni sull'Italia che vuole armare i Curdi. Lucia Annunziata " Dare armi ai curdi è un'operazione militare, parliamone senza ipocrisia".

Le decisioni che l'Europa e l'Italia stanno maturando in queste ore contengono un passaggio tremendamente nuovo e definitorio: dare armi ai curdi significa infatti oggi rientrare appieno, sia pur indirettamente per ora, nel conflitto iracheno e mediorientale in generale. Spero che le nostre classi dirigenti vorranno parlarcene senza veli.

Huffingtonpost.it

Lucia Annunziata HeadshotNell'attesa, provo a elencare le ragioni per cui inviare armi ai curdi è di fatto una operazione con vaste implicazioni militari.
Partiamo intanto dall'intervento umanitario, che è la principale ragione addotta, e da cosa significa la difesa degli uomini, donne e bambini sotto attacco dell'Isis. Formare un "corridoio umanitario", se è questo che si vuole fare, implica il dispiegamento di uomini armati, e disposti a usare le armi, per aprire un varco sicuro. Nel caso specifico, trattandosi di territorio montano, il corridoio implica evacuazione via elicotteri (come detto pochi giorni fa dall'incaricato Onu), che a sua volta implica una copertura aerea, cioè eventuale bombardamenti d'appoggio. Chi farà cosa? Saranno i peshmerga da soli a difendere le persone in fuga, e noi forniremo loro cosa? Armi di che tipo, copertura aerea, advisor come già fanno gli Americani?
La ragione per cui, nonostante siano spesso evocati, di corridoi umanitari se ne fanno pochi, è esattamente questa: aprirli significa mettere in atto un'azione militare, che spesso poi nella storia recente è diventata la preparazione per un impegno di truppe permanente in una determinata area, dal momento che la "sicurezza" non si ottiene con un solo intervento. Occorrerà dunque essere ben precisi su modi e tempi e le forze di queste operazioni.
In Iraq, tuttavia, nel particolare momento della eterna guerra in corso, le armi ai curdi sono già state inviate, insieme a un centinaio di "advisor" militari, dagli Stati Uniti, e lo scopo di questi aiuti si è già dimostrato ben più strategico del doveroso aiuto umanitario ai cristiani. I curdi sono, come ben si sa, una parte rilevante dell'equilibrio Iracheno e non solo, dal momento che la loro presenza si estende a fascia su quattro stati, Iraq, Iran, Siria, Turchia. Hanno petrolio, una identità e una rivendicazione nazionale, ed hanno la peculiarità geopolitica di costituire un elemento "terzo" nella contesa che sta stangolando il Medioriente tra Sunniti e Sciiti.

Aiutarli e' stato negli ultimi anni un utile modo per mantenere l'equilibrio interno al governo dell'Iraq. Senza mai aiutarli troppo, però perché una eventuale loro crescita militare è sempre stata osteggiata dai paesi in cui si trovano. In particolare, non aiutare troppo i curdi a crescere militarmente è sempre stata "noblesse oblige", specie da parte degli Usa, nei confronti dell'utilissimo alleato turco.
L'espansione dell'IS ha aperto tuttavia un nuovo capitolo in tutta la regione.
Il successo del Califfato ha fatto saltare in Iraq il governo sciita di Bagdad, e in Siria ha svelato l'alto prezzo che gli Usa e l'Europa hanno pagato accettando nei fatti che fosse il radicalismo islamico a condurre per noi la battaglia contro Assad. La Turchia, nel frattempo, con la deriva autoritaria del Presidente Erdogan, è diventata un alleato non più così accettabile, né più così efficiente.
Insomma, il successo delle forze radicali dello Stato Islamico ha svelato tutta la fragilità e il pericolo del sistema di alleanze che gli Usa, e l'Europa al seguito, hanno costruito in luogo.
La carta curda era così sul tavolo della Casa Bianca da tempo. La persecuzione dei Cristiani è stata la buona occasione per calarla, ma le ragioni sono tutte di natura militare.
Armare i curdi è una scelta facile, certo più facile che sostenere sciiti o sunniti, in Iraq. Armarli significa rafforzare un esercito pro occidentale, una sorta di armata nostra ma senza i nostri, con cui intervenire nel disastroso panorama locale. Una classica "war by proxy", uno scontro delegato a terzi che combattono per nostro conto. E l'arrivo degli advisor americani in Kurdistan ha riproposto infatti idee, immagini e tattiche di molti conflitti dell'ultimo mezzo secolo, dal Vietnam, al Centro America, all'Afghanistan.
I cristiani, come molte altre popolazioni, sono una piccola, anche se dolorosissima, drammatica, pedina di questo grande gioco.
Aiutarli è assolutamente necessario, ma qualunque cosa noi faremo per loro, e per i curdi, ci fa sbarcare dentro l'inferno mediorientale.
Penso che questa verità sia ben chiara a tutti - altrimenti non mi spiegherei la drammatica evocazione di una terza guerra mondiale da parte del Papa, la improvvisa e rilevante visita del Premier nel cuore del conflitto, a Bagdad e in Kurdistan; o la decisione dei leader europei che molto raramente hanno prima deciso invio di "armi" a gruppi in zone di Guerra.
Ma ci diranno tutti loro questa verità? Intervenire in Medio Oriente (e sulla Russia, e in Libia, dove operiamo già con nostre operazioni "segrete") è più che mai urgente, e forse l'azione militare, in una forma o l'altra, non è più rimandabile.
Ma sicuramente non rimandabile è un chiarimento con le nostre opinioni pubbliche sulle conseguenze delle decisioni che la classe dirigente sta prendendo.

Nessun commento:

Posta un commento