giovedì 28 agosto 2014

Internet e istituzioni: quante sono le leggi in Italia? Meglio chiederlo a Google che a Normattiva

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Cosa pensereste di un Paese nel quale non c’è nessuno in grado di dire con certezza quante siano le Leggi, i Decreti e gli altri provvedimenti aventi forza di legge in vigore? Cosa pensereste di uno Stato nel quale vige una regola secondo la quale l’ignoranza di una legge non ne giustifica la violazione da parte di cittadini ed imprenditori ma che, al tempo stesso, non pone questi ultimi nella condizione di conoscerla per davvero?
Qualsiasi cosa pensereste, iniziate a pensarla del nostro Paese.
In Italia, infatti, non c’è Istituzione – Presidenza della Repubblica, Parlamento e Governo inclusi – che sia in grado di dire con certezza quanti atti aventi forza di legge – e destinati, dunque, ad incidere sulla vita dei cittadini e dello Stato medesimo – sono in vigore in questo momento.
Secondo Normattiva, un progetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Senato e della Camera dei Deputati – in collaborazione con la Corte Suprema di Cassazione, l’Agenzia per l’Italia Digitale e l’Istituto poligrafico della Zecca dello Stato – che ha, proprio, l’obiettivo di classificare e rendere accessibile al cittadino la normativa vigente, nel 2009, in Italia, il corpus normativo statale dei provvedimenti numerati (leggi, decreti legge, decreti legislativi, altri atti numerati), dalla nascita dello Stato unitario poteva essere valutato in “circa 75.000″ unità.

Un numero immenso – anche se successivamente al 2009 sforbiciato da una serie di provvedimenti di semplificazione che hanno abrogato decine di migliaia di vecchie leggi, decreti e regi decreti – solo “stimabile” ma non definibile con certezza al quale, peraltro, per avere un quadro di tutte le norme che regolano la vita di un cittadino e di un’impresa, occorrerebbe aggiungere quelle di matrice regionale, i provvedimenti comunali oltre ai regolamenti di un’interminabile sequenza di enti ed Autorità di regolamentazione.
E non esiste – nel senso che non ne dispone la Presidenza della Repubblica, né il Governo, né il Parlamento – una banca dati, né un altro qualsiasi strumento di ricerca che consenta ad un cittadino o ad un’impresa di conoscere quanti e quali sono gli atti – non importa di che livello – dei quali si debba tener conto prima di porre in essere una qualsiasi condotta o avviare una qualsiasi attività.
I grandi editori giuridici privati e, forse, persino Google, sono, probabilmente, la fonte più attendibile per chi cerchi una risposta ad una domanda di questo genere.
Lo stesso progetto Normattiva – che è pure un mirabile esempio di informatica applicata al diritto o di “informatica giuridica” come si chiamava una volta questa scienza nella quale l’Università italiana ha, a lungo, rappresentato un’eccellenza universalmente riconosciuta – non ha neppure l’ambizione di risolvere il problema giacché il suo perimetro è “limitato” alla classificazione e gestione del corpo normativo nazionale.
L’accesso, ad esempio, alla disciplina regionale è garantito attraverso semplici link ad un numero di database pari al numero delle regioni italiane, tutti caratterizzati – ovviamente – da interfacce di ricerca diverse l’una dall’altra. Non esiste, invece, proprio nessun modo attraverso il quale un cittadino o un’impresa possa accedere a tutte le regole vigenti in una determinata materia salvo, ovviamente, rassegnarsi ad un “porta a porta” normativo, attraverso i siti web – quando ci sono e quando sono aggiornati – della miriade di enti di regolamentazione che producono norme e regolamenti nel nostro Paese.
Le leggi sono le fondamenta della vita di qualsiasi società ed a guardare alla nostra da questa caotica prospettiva, vien da chiedersi come possa lo Stato reggersi ancora in piedi e vien voglia di gridare al miracolo etico, morale e culturale italiano. E’ solo il fatto – al contrario di ciò che normalmente si pensa – che, tutto sommato, siamo, nella media, brava gente che consente al Paese di non essersi già da tempo accartocciato su stesso o di non essere imploso, vittima delle sue stesse regole.
Ma è fuor di dubbio che una tanto caotica situazione regolamentare è all’origine della più parte delle disfunzioni della macchina democratica giacché la conoscenza delle regole costituisce un privilegio straordinario del quale, pochi, approfittano in danno di molti. La riforma dello Stato, quella della quale sempre più stesso si sente parlare, dovrebbe, forse, cominciare proprio da qui: offrire al cittadino una porta di accesso unica, semplice, intuitiva, esaustiva e democratica a tutte le regole che ne regolano la vita nello Stato.
Ma a guardare agli ultimi dati pubblicati da Senato e Camera dei Deputati sul fenomeno della normazione – e parliamo solo di quella statale – viene il sospetto che anziché iniziare a preoccuparci sul serio di “mettere ordine” si continui a produrre disordine.
Prendiamo la XVII legislatura del nostro Parlamento nel corso della quale, Deputati e Senatori, in carica solo dal 15 marzo 2013, hanno già presentato 3877 tra disegni e progetti di legge che se sommati a quelli presentati ad iniziativa dei Governi che si sono succeduti alla guida del Paese, delle Regioni, dei cittadini e, persino, del Cnel, arrivano alla cifra di 4094 disegni di legge in meno di un anno e mezzo.
Ma, probabilmente, il dato più significativo è quello relativo al numero di disegni di legge, tra le migliaia presentati, che, nello stesso periodo, è diventato legge: appena 62. Numeri che danno la sensazione di un Parlamento che “gira in tondo” o, forse, più correttamente di un Parlamento ormai esautorato del primato della funzione legislativa che la Costituzione gli assegna.
Una sensazione ancora più preoccupante della precedente che, purtroppo, affonda le sue radici nei numeri: dei 62 disegni di legge approvati nel corso della legislatura, infatti, ben 52 sono stati ad iniziativa Governativa. Un numero di per sé significativo cui deve aggiungersi quello non meno rilevante dei 45 decreti legge complessivamente presentati in Parlamento per la conversione, dei quali 39 già convertiti.
Dati che portano ad una sola inequivocabile conclusione che, peraltro, non rappresenta certamente una “scoperta”, ma solo la conferma aritmetica di una percezione diffusa: la potestà normativa è ormai appannaggio pressoché esclusivo del Governo – e non si tratta di quello attuale o di quello precedente ma della totalità dei Governi che si succedono, da anni, alla guida del Paese – che, in realtà, la Costituzione vorrebbe la esercitasse solo in via eccezionale rispetto al Parlamento.
E la fotografia non sarebbe diversa se si disponesse dei dati relativi alla produzione normativa regionale ed a quella dei diversi Enti ed Autorità che, ormai – all’insegna della delegificazione da un lato e del federalismo dall’altro – esercitano, in modo ogni giorno crescente, poteri che competerebbero al Parlamento o, meglio ancora, che non competerebbero a nessuno giacché, in molti casi, educazione, cultura, buon senso ed etica sarebbero sufficienti a governare fenomeni che ci si ostina, invece, a voler normare.
E’ una situazione democraticamente insostenibile. Il Paese rischia di morire prigioniero di un labirinto regolamentare nel quale cittadini ed imprese non riescono ad orientarsi.
Forse la riforma dello Stato dovrebbe cominciare proprio da qui.

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