La relazione annuale della Direzione investigativa antimafia mette in luce un sistema di criminalità organizzata radicato sul territorio. Allarme del sindacato: "Solo venti uomini nonostante il terremoto abbia dato il via a cantieri e appalti pubblici considerati a rischio". Libera: "Gravi carenze di risorse".
Una
presenza mafiosa che in Emilia Romagna è sempre più radicata, e un
pugno di uomini con poche risorse per combatterla. E’ un quadro che ha
per soggetto una situazione di forte difficoltà estesa a tutte le forze
dell’ordine quello dipinto da Libera Emilia Romagna e dalla Cgil di Modena, in merito alla relazione annuale della Dia, la Direzione investigativa antimafia,
diffusa poco prima di Ferragosto, e relativa al 2013. Se la regione,
infatti, mantiene la sua posizione in vetta alle classifiche come terra
ambita dai clan mafiosi – Camorra, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Sacra
corona unita –, tra operazioni di riciclaggio, investimenti in attività
imprenditoriali, traffici illeciti, contraffazione e usura, chi dovrebbe
contrastarne le operazioni criminali, dalla Dia stessa alla Polizia,
alla magistratura, a tutte le forze dell’ordine, si trova spesso a fare i
conti con la mancanza delle risorse necessarie a condurre le indagini.
“La sezione operativa della Dia – spiega Franco Zavatti, coordinatore legalità e sicurezza Cgil Emilia Romagna – in regione può contare solo su una ventina di uomini,
e questo nonostante il terremoto abbia dato il via a cantieri e appalti
pubblici, moltiplicando il bacino di interesse della criminalità
organizzata”.
Poi ci sono le forze dell’ordine, come la Polizia, che città per città, in Emilia Romagna conta pochi uomini nei reparti dedicati alla criminalità organizzata delle squadre mobili, anche nelle provincie ‘preferite’ dai clan, come la Riviera. “A Parma, ad esempio – fa i conti Lino Elia, segretario Siulp dell’Emilia Romagna – la sezione che si occupa di criminalità organizzata contra 3 agenti, a Rimini sono 5, a Modena sono 4”. Al sottorganico, inoltre, si sommano “gravi carenze di risorse, pur essendo, le forze dell’ordine, le uniche in grado di individuare i reati spia” aggiunge Daniele Borghi, referente di Libera Emilia Romagna. Come fatti di minacce, incendi intimidatori, corruzione e tipologie di lavoro sempre più irregolare, che alle loro spalle nascondono una mano mafiosa. Un fenomeno in crescita, secondo la relazione della Dia, “e che oggi, quindi, richiede una maggiore attenzione”, sottolinea Borghi. “Un tempo, ad esempio, l’incendio di un’auto o un negozio era classificato come un fatto singolo, oggi, però, con la criminalità mafiosa sempre più forte in regione, bisogna approfondire, perché spesso a quell’accadimento ne segue un altro, e i due sono collegati”.
Eppure chi dovrebbe cogliere quel nesso, e condurre quelle indagini, non sempre riesce a intervenire come vorrebbe. “La Polizia non ha abbastanza uomini – spiega Tonino Guglielmini, del Sap, il Sindacato autonomo di Polizia, di Bologna – e poi c’è il problema dei mezzi: la benzina nelle auto, che non c’è, le auto stesse, che sono di numero insufficienti, oltre a una serie di altre carenze che di fatto ci impediscono di svolgere il nostro incarico”.
“La relazione annuale della Dia – riassume Zavatti – conferma il consolidarsi degli affari di Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa nostra nei territori dell’Emilia Romagna, intrecciando efficaci patti di convivenza e ripartizione dei traffici”. Ad esempio, “numerose indagini hanno accertato il sempre maggior coinvolgimento di professionisti compiacenti nell’attuazione delle strategie economiche, dei sodalizi, e la diffusa tendenza a creare schermi societari per dissimulare la reale titolarità delle aziende. Soprattutto, per quanto riguarda i clan campani, tra le provincie di Modena e Bologna”. Poi c’è il riciclaggio, per cui l’Emilia Romagna vanta il quarto posto per numero di segnalazioni raccolte dalla Banca d’Italia, il 20% delle quali è finito nel mirino della Dia. Ancora, continua Zavatti, “la regione mantiene la posizione anche per le indagini giudiziarie, per numero dei fatti di reato, dei soggetti denunciati e/o arrestati, e di questi, oltre il 25% sono stranieri”. E se la regione rossa per eccellenza è anche “la seconda, a nord del Lazio, per soggetti implicati nell’impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita” scrive la Dia, episodi di usura e raket sono aumentati.
A parlare di indagini, però, la Polizia scuote il capo. “Il 27 agosto siamo scesi in piazza a Roma per protestare, perché ormai tra un governo e l’altro ci hanno tolto tutto, e ci rimane solo il sangue – racconta Guglielmini – stamani un collega della Squadra mobile è dovuto rimanere in ufficio a tagliare fogli di dimensioni A3 per renderli A4, perché ci manca anche la carta per le stampanti. Pattuglie? Poche. Uomini? In sette anni in Italia abbiamo perso 13.000 unità, circa il 15%”. E infine, aggiunge Borghi, “a livello nazionale l’Italia ha bisogno di una normativa antimafia più stringente, che dia alle forze dell’ordine la possibilità di intervenire a tutto campo. Un esempio? Riportare in vigore il falso in bilancio”. Concorde la Polizia, che sotto molti aspetti sente di avere le mani legate. “Stamattina – racconta Guglielmini – ci è arrivata persino una circolare che ci permette, sì, di indagare su reati minori in borghese, ma che ci impone di mostrare il distintivo quando ad esempio saliamo sugli autobus per prevenire il borseggio dei passeggeri. Il che di fatto ci preclude la possibilità di cogliere il malfattore in flagranza. Come si fa a lavorare così? Se non abbiamo le forze e i mezzi per intervenire sui reati minori, figuriamoci la lotta alla mafia”.
Poi ci sono le forze dell’ordine, come la Polizia, che città per città, in Emilia Romagna conta pochi uomini nei reparti dedicati alla criminalità organizzata delle squadre mobili, anche nelle provincie ‘preferite’ dai clan, come la Riviera. “A Parma, ad esempio – fa i conti Lino Elia, segretario Siulp dell’Emilia Romagna – la sezione che si occupa di criminalità organizzata contra 3 agenti, a Rimini sono 5, a Modena sono 4”. Al sottorganico, inoltre, si sommano “gravi carenze di risorse, pur essendo, le forze dell’ordine, le uniche in grado di individuare i reati spia” aggiunge Daniele Borghi, referente di Libera Emilia Romagna. Come fatti di minacce, incendi intimidatori, corruzione e tipologie di lavoro sempre più irregolare, che alle loro spalle nascondono una mano mafiosa. Un fenomeno in crescita, secondo la relazione della Dia, “e che oggi, quindi, richiede una maggiore attenzione”, sottolinea Borghi. “Un tempo, ad esempio, l’incendio di un’auto o un negozio era classificato come un fatto singolo, oggi, però, con la criminalità mafiosa sempre più forte in regione, bisogna approfondire, perché spesso a quell’accadimento ne segue un altro, e i due sono collegati”.
Eppure chi dovrebbe cogliere quel nesso, e condurre quelle indagini, non sempre riesce a intervenire come vorrebbe. “La Polizia non ha abbastanza uomini – spiega Tonino Guglielmini, del Sap, il Sindacato autonomo di Polizia, di Bologna – e poi c’è il problema dei mezzi: la benzina nelle auto, che non c’è, le auto stesse, che sono di numero insufficienti, oltre a una serie di altre carenze che di fatto ci impediscono di svolgere il nostro incarico”.
“La relazione annuale della Dia – riassume Zavatti – conferma il consolidarsi degli affari di Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa nostra nei territori dell’Emilia Romagna, intrecciando efficaci patti di convivenza e ripartizione dei traffici”. Ad esempio, “numerose indagini hanno accertato il sempre maggior coinvolgimento di professionisti compiacenti nell’attuazione delle strategie economiche, dei sodalizi, e la diffusa tendenza a creare schermi societari per dissimulare la reale titolarità delle aziende. Soprattutto, per quanto riguarda i clan campani, tra le provincie di Modena e Bologna”. Poi c’è il riciclaggio, per cui l’Emilia Romagna vanta il quarto posto per numero di segnalazioni raccolte dalla Banca d’Italia, il 20% delle quali è finito nel mirino della Dia. Ancora, continua Zavatti, “la regione mantiene la posizione anche per le indagini giudiziarie, per numero dei fatti di reato, dei soggetti denunciati e/o arrestati, e di questi, oltre il 25% sono stranieri”. E se la regione rossa per eccellenza è anche “la seconda, a nord del Lazio, per soggetti implicati nell’impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita” scrive la Dia, episodi di usura e raket sono aumentati.
A parlare di indagini, però, la Polizia scuote il capo. “Il 27 agosto siamo scesi in piazza a Roma per protestare, perché ormai tra un governo e l’altro ci hanno tolto tutto, e ci rimane solo il sangue – racconta Guglielmini – stamani un collega della Squadra mobile è dovuto rimanere in ufficio a tagliare fogli di dimensioni A3 per renderli A4, perché ci manca anche la carta per le stampanti. Pattuglie? Poche. Uomini? In sette anni in Italia abbiamo perso 13.000 unità, circa il 15%”. E infine, aggiunge Borghi, “a livello nazionale l’Italia ha bisogno di una normativa antimafia più stringente, che dia alle forze dell’ordine la possibilità di intervenire a tutto campo. Un esempio? Riportare in vigore il falso in bilancio”. Concorde la Polizia, che sotto molti aspetti sente di avere le mani legate. “Stamattina – racconta Guglielmini – ci è arrivata persino una circolare che ci permette, sì, di indagare su reati minori in borghese, ma che ci impone di mostrare il distintivo quando ad esempio saliamo sugli autobus per prevenire il borseggio dei passeggeri. Il che di fatto ci preclude la possibilità di cogliere il malfattore in flagranza. Come si fa a lavorare così? Se non abbiamo le forze e i mezzi per intervenire sui reati minori, figuriamoci la lotta alla mafia”.
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