1. L’ESTATE DEL MALTEMPO VI HA DELUSO? TRANQUILLI, LANDINI PREDICE UN AUTUNNO CALDO - 2. “SE IL GOVERNO NON DIMOSTRA DI AVER CAPITO CHE SENZA INVESTIMENTI NON C’È LAVORO, RISCHIAMO DI TROVARCI IN UNA SITUAZIONE ESPLOSIVA. SONO ENTRATI IN CRISI TUTTI I SETTORI STRATEGICI DELL’INDUSTRIA. DALL’AUTO ALLA SIDERURGIA, DAGLI ELETTRODOMESTICI ALLE TLC. IL CAPITALISMO FAMILIARE DEL NOSTRO PAESE È GIUNTO AL CAPOLINEA. GLI EREDI DELLE GRANDI FAMIGLIE VANNO VIA O FALLISCONO. TRE NOMI PER TUTTI: AGNELLI, MERLONI, RIVA” - 3. “RENZI SA CHE UNO DA SOLO NON CAMBIA UN PAESE. SOPRATTUTTO SE VUOLE METTERE IN CAMPO LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E QUELLA DEL MERCATO DEL LAVORO” - 4. AUTUNNO CALDO: SONO OLTRE MILLE LE VERTENZE APERTE IN TUTTI I SETTORI STRATEGICI -
Paolo Griseri per La Repubblica
I prossimi mesi saranno molto difficili: «Se il governo e la politica non dimostrano di aver capito qual è la gravità dei problemi, rischiamo di trovarci in una situazione esplosiva», dice Maurizio Landini, leader della Fiom-Cgil. E promette «una mobilitazione per proporre al governo interventi concreti a sostegno del lavoro e gli investimenti».
Landini, perché la situazione rischia di esplodere?
«Perché sono ormai entrati in crisi tutti i settori strategici dell’industria di questo paese.
Dall’auto alla siderurgia, dagli elettrodomestici alle Tlc, l’elenco delle aziende in crisi è un campo di battaglia. Tutti i nodi stanno venendo al pettine».
Che cosa proponete per evitare l’esplosione?
«Un cambiamento radicale che faccia tornare gli investimenti. Senza investimenti non c’è lavoro, questo è il vero nodo».
Eppure proprio voi siete accusati di aver contribuito a far fuggire gli investitori potenziali con una linea troppo intransigente...
«Questa è una pura sciocchezza. In questo Paese non si investe o si investe molto poco perché il capitalismo familiare italiano è giunto al capolinea. Sono gli eredi delle grandi famiglie che vanno via o falliscono. Tre nomi per tutti: Agnelli, Merloni, Riva».
Al netto del capitalismo familiare, voi siete comunque accusati di non firmare mai gli accordi. Come risponde?
«Seconda sciocchezza. Noi firmiamo accordi eccome. Lo abbiamo fatto alla Electrolux, scongiurando il trasferimento della produzione e accettando un accordo che scambiava riduzioni di orario con il mantenimento dell’occupazione. Lo abbiamo fatto nell’auto alla Lamborghini e alla Ducati, società del gruppo Volkswagen, accettando, in cambio di nuove assunzioni e orari settimanali ridotti, anche un aumento dell’utilizzo degli impianti su sei o sette giorni lavorativi».
Lei parla di cambiamento radicale. A che cosa si riferisce?
«Le crisi possono diventare l’occasione per cambiare finalmente verso nella politica industriale. Penso a una riconversione ecologica delle nostre produzioni industriali. Penso a un piano per tre settori strategici: la siderurgia, i trasporti, la logistica. Con governo, aziende e sindacati che si danno degli obiettivi e un arco di tempo entro cui realizzarli ».
La politica industriale non piace alle aziende. Dicono che così si mina la libertà d’impresa. Come rispondete?
«In Germania c’è un piano per l’automobile concordato da governo, aziende e sindacati. Da noi non c’è mai stato nulla di simile. In Germania l’economia va. Noi invece con l’iperliberismo siamo arrivati al punto che vivono sotto la soglia di povertà anche quelli che il lavoro ce l’hanno».
Questo governo è un interlocutore credibile per il piano che voi proponete?
«Sì, se lo vuole. Questo governo ha ottenuto una importante legittimazione alle ultime elezioni. E’ buona regola fare i conti con i governi che ci sono. Noi non ci sottraiamo».
Ma forse si sottrae il governo. Che ha mostrato di non avere grande voglia di incontrare i sindacati in questi mesi. Vi considera un po’ una zavorra del sistema..
«Anche Renzi saprà, mi immagino, che uno da solo non cambia un Paese. Soprattutto se vuole mettere in campo la riforma della Pubblica amministrazione e quella del mercato del lavoro».
Voi siete d’accordo a riscrivere lo Statuto dei lavoratori?
«Se riscrivere lo Statuto significa allargare anche ai precari i diritti che oggi riconosce ai lavoratori dipendenti, certo che sono d’accordo. Se riscrivere significa tagliare drasticamente i 46 tipi di contratti diversi, quasi tutti precari, che ci sono oggi, sono ovviamente d’accordo. Se significa che tutti i lavoratori, anche quelli delle piccole aziende, possono avere la cassa integrazione e che la cassa è pagata da tutte le aziende, anche quelle piccole, certo che sono d’accordo».
E se vuol dire abolire l’articolo 18 sulla libertà di licenziamento?
«Non sono d’accordo perché questo non allarga diritti, ne toglie».
Le aziende dicono che l’articolo 18 è un freno alle assunzioni. Sostengono che nel mondo di oggi ormai nulla è per sempre. Non si vede perché deve essere per sempre un’assunzione...
«Ecco un’altra sciocchezza. I soloni che teorizzano questo provino ad andare in banca a chiedere un mutuo dicendo: ‘Oggi sono assunto a tempo indeterminato. Ma domani chissà? Del resto nulla è per sempre’. Secondo lei che cosa risponde la banca?».
Autunno caldo dunque. Scioperi contro il governo?
«Nelle condizioni di oggi non credo che si tratti di scioperare contro ma di mobilitarsi per un pacchetto di proposte. Noi come metalmeccanici lo faremo. Altre categorie lo faranno a loro volta. Questo è il modo per cambiare verso nelle fabbriche e negli uffici. E forse evitare l’esplosione sociale».
Autunno caldo? Sì, per la crisi delle aziende. «Chi si immagina una stagione fatta di guerre ideologiche su questo o quel punto di una delle riforme annunciate dal governo, si sbaglia di grosso», dicono in Cgil. La vera emergenza infatti si chiama lavoro che non c’è. Il calendario delle prossime settimane sarà scandito da appuntamenti ai ministeri per provare a trovare una soluzione alle oltre 1.000 crisi aperte.
Ad aprile i lavoratori coinvolti dai tavoli di crisi aperti al solo ministero dell’industria erano 285 mila. Ma i senza lavoro o i dipendenti di aziende in cassa integrazione da lunghi mesi sono molti di più. L’elenco delle aziende in difficoltà abbraccia praticamente tutti i settori strategici: l’Ilva a Taranto, Piombino, e la Thyssen di Terni, l’Alcoa in Sardegna, l’Indesit, la Coca-Cola, i siti Eni di Gela, Ravenna e Ferrara, l’auto con i casi di Termini Imerese e la De Tomaso a Torino. La cassa integrazione sta riducendo il Pil per 2 miliardi all’anno: soldi che non solo vengono sottratti ai dipendenti ma che non entrano in circolo nel sistema economico.
Sul piano delle riforme lo scontro potrà essere duro. I capitoli sono tre: le pensioni, la pubblica amministrazione e la riforma del lavoro. Le proposte di intervento sulle pensioni medio alte per far quadrare il bilancio dello Stato hanno provocato la rivolta. Non solo perché i pensionati sono la metà degli iscritti ai sindacati ma anche perché c’è il rischio che quella misura finisca per penalizzare pesantemente i redditi familiari, sempre più spesso aggrappati alla pensione dei nonni piuttosto che al precario salario dei nipoti.
La riforma della pubblica amministrazione ha già provocato come reazione un documento unitario dei sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil in cui si accusa il ministro Madia di non aver scritto una norma a favore dei cittadini ma solo una serie di articoli che tendono ad accentrare nelle mani di Palazzo Chigi l’organizzazione del sistema pubblico. Infine il nodo della riforma del mercato del lavoro. La leader della Cgil, Susanna Camusso, ha detto chiaramente che la sua organizzazione è favorevole al contratto a tutele progressive ma che al termine ci deve comunque essere la tutela dell’articolo 18, punto che divide il governo.
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