sabato 2 agosto 2014

Libri. Gioco d’azzardo: nel medioevo e oggi.

Gherardo Ortalli, Barattieri (il Mulino)Si fa un gran parlare di azzardo e di azzardopatia.
Ma non è una storia oggi, è che oggi il fenomeno è andato fuori controllo, complice la degenerazione del tessuto economico-sociale-culturale.


Il gioco d’azzardo infatti non è un fenomeno recente, si tratta di una pulsione vecchia quanto l’uomo e praticamente ineliminabile e in varie epoche è stato assai più diffuso di quanto si possa comunemente immaginare.
Molte lacune conoscitive le ha colmate il medievalista Gherardo Ortalli, col suo Barattieri. Il gioco d’azzardo fra economia ed etica. Secoli XIII- XIV  (il Mulino, 2012). Un testo brillante, una lettura ricca di sorprese e sorprendentemente attuale. Viene ricostruita la nascita del cosiddetto Gioco Pubblico, vale a dire l’istituzionalizzazione dell’azzardo nel tardo Medioevo (secoli XIII e XIV): la materia diventa in molti Comuni oggetto di concessioni, con relative tasse e tributi. Il tutto in un preciso contesto sociale ed economico, che porta al superamento delle interdizioni giuridiche e morali. Non per nulla Ortalli è il direttore di Ludica, annali di storia e civiltà del gioco (Fondazione Studi e Ricerche Benetton).

E invece nell’Italia di oggi, anche coloro che dei danni dell’azzardo si occupano, hanno spesso un approccio tipicamente “sanitario”, non prestano sufficiente attenzione al contesto (sociale, economico e culturale, appunto) che invece è il vero motivi di fondo che ha portato all’abnorme e distruttiva diffusione delle gaming machine fuori dai casinò. Una politica inetta e corrotta, direttamente responsabile, che non ha voluto e saputo governare la modernità.
Il libro di Ortalli è incentrato sulla figura dei “barattieri”, personaggi marginali ma nello stesso tempo funzionali al potere (vi ricorda qualcosa?) e ne emerge un mondo ai confini, fatto anche di violenza e disperazione dove c’era chi era pronto a giocarsi tutto, anche le mutande, letteralmente.
Ma in un certo senso, i Comuni del Duecento e del Trecento, gestivano (e traevano profitto) dall’azzardo in modo meno criminale di quanto faccia lo Stato Italiano oggi, che in pratica ha dato via libera all’ingresso delle mafie nel business.
All’epoca erano per esempio perfettamente in grado di distinguere nei loro decreti fra i giochi di abilità dove l’esito dipende dalla bravura dei contendenti (Scacchi), quelli di azzardo dove è la fortuna a governare (Dadi) e quelli intermedi, dove l’abilità serve a gestire eventi casuali (Tavole, predecessori dell’odierno Backgammon). Bisogna infatti ricordare che in quei secoli l’azzardo si identificava con i dadi, è infatti solo nel Quattrocento che si diffondono le carte da gioco (arrivano verso la fine del Trecento).
Si giocava soprattutto alla Zara (che deriva dall’arabo az-zahr, come la stessa parola azzardo), ma anche a tanti altri giochi. Ne sono descritti alcuni nel meraviglioso Libro de los Juegos (1283) di Alfonso X di Castiglia e Leon, detto – giustamente – il saggio.
Molti di questi giochi prevedevano l’uso di 3 dadi, e la cosa curiosa (non riesco proprio a capacitarmene) è che all’epoca non erano assolutamente in grado di calcolare tutti i possibili esiti del lancio di 3 dadi e per avere una risposta chiara bisognerà aspettare le considerazioni di Galileo: Sopra le scoperte dei dadi, che datano 1612. Ma questa della Zara è un’altra storia, e la racconterò in un altro post: ne accenna anche Dante nella sua Commedia!

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