domenica 20 luglio 2014

Il Pil è “slow”? Manca la ricetta.


Ripresa impossibile. Rischioso affidarsi alla "flessibilità" che dovrebbe concedere la Ue. Servono investimenti e una vera politica industriale.
 
Il Manifesto Roberto Romano - Paolo Pini
Qual­cosa non fun­ziona nella poli­tica eco­no­mica euro­pea, e in quella ita­liana in par­ti­co­lare. Errare è umano, ma per­se­ve­rare è dia­bo­lico. Dif­fi­cile capire se il governo ita­liano ci sia o ci fac­cia. L’insistenza sulle riforme strut­tu­rali e isti­tu­zio­nali cosa ci azzecca con le neces­sa­rie riforme di strut­tura di cui il Paese avrebbe bisogno?
Riforme strut­tu­rali e riforme di strut­tura non sono sino­nimi. Per imma­gi­nare una qual­che cre­scita eco­no­mica l’Italia deve inter­ve­nire sul motore della pro­pria mac­china senza fer­marla, men­tre le riforme strut­tu­rali si limi­tano a fare un tagliando alla mac­china. La crisi ita­liana è tutta in que­sta meta­fora. Le riforme strut­tu­rali si sono sus­se­guite nel tempo con effetti andati ben oltre le peg­giori aspet­ta­tive. Di riforme di strut­tura nep­pure un abbozzo. Quando mai si è discusso di poli­tica indu­striale, di inve­sti­menti pub­blici che anti­ci­pano la domanda, di ricerca pub­blica per la nostra industria?
I mesi estivi sono “stres­santi” per il governo. Tutti gli isti­tuti di ricerca pos­sono valu­tare l’effetto dei prov­ve­di­menti adot­tati e regi­strare le impli­ca­zioni macroe­co­no­mi­che e finan­zia­rie. Come un oro­lo­gio, arri­vano stime rivi­ste al ribasso rispetto a sce­nari ini­ziali e si ripete la solita litur­gia da sette anni: con le misure adot­tate, il pros­simo anno il paese vedrà la luce in fondo al tunnel!

Il mini­stro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e il pre­si­dente del con­si­glio Mat­teo Renzi non la rac­con­tano giu­sta: se cre­dono a quello che dicono sono col­pe­voli, se “ci fanno” è tutta un’altra storia.
Andiamo con ordine. La prima cosa da sot­to­li­neare è la dina­mica del Pil. Sape­vamo che le pre­vi­sioni del governo erano oltre ogni ragio­ne­vo­lezza, +0,8% per il 2014, ma le ultime indi­ca­zioni di Istat, Banca d’Italia e Fmi supe­rano le nostre peg­giori intui­zioni. A fine anno la cre­scita eco­no­mica potrebbe anche essere ancora nega­tiva, o nelle migliori delle ipo­tesi di poco sopra lo zero. Una dif­fe­renza di quasi 1 punto di Pil rispetto alle pre­vi­sioni è pesan­tis­sima sugli equi­li­bri di bilan­cio pub­blico e, peg­gio ancora, sui livelli di occupazione.
Abbiamo un grave pro­blema di distri­bu­zione del red­dito, ma altret­tanto grave e dram­ma­tica è la con­di­zione di inoc­cu­pa­bi­lità di 6 milioni di per­sone, che tec­ni­ca­mente con­su­mano solo lo stretto neces­sa­rio, nei migliori dei casi. O creiamo nuovo lavoro, oppure ci scor­diamo qual­siasi cre­scita di red­dito, occu­pa­zione, benessere.
Ma i pro­blemi non si esau­ri­scono qui. La mano­vra eco­no­mica che verrà sarà in due tappe. La prima per cor­reg­gere i conti pub­blici rela­ti­va­mente alla dina­mica del Pil per il 2014: una mano­vra cor­ret­tiva non infe­riore a 7 miliardi. La seconda inte­res­serà il 2015 per il rag­giun­gi­mento del quasi pareg­gio di bilan­cio strut­tu­rale, con prov­ve­di­menti pari a 15–17 miliardi, sem­pre che la cre­scita del Pil per il 2015 torni in ter­ri­to­rio positivo.
È cer­ta­mente vero che il governo bene­fi­cerà di 2,5 miliardi sul ser­vi­zio del debito, con spread e tassi ai livelli attuali, ma i prov­ve­di­menti da adot­tare asso­mi­gliano tanto alla sca­lata del K2. Da un lato le spese indif­fe­ri­bili che non sono infe­riori a 4–5 miliardi, dall’altro la neces­sità di sta­bi­liz­zare il bonus fiscale di 80 euro – altri 6 miliardi – sem­pre che la pla­tea di rife­ri­mento rimanga la stessa, a sca­pito delle pro­messe per pen­sio­nati e incapienti.
Non abbiamo la più pal­lida idea di come il governo intenda pro­ce­dere. Si con­ti­nua a rifiu­tare l’ipotesi di mano­vra cor­ret­tiva, men­tre ci si affida a una ipo­te­tica fles­si­bi­lità per il pareg­gio di bilan­cio gra­zie ai prov­ve­di­menti strut­tu­rali intra­presi. L’Europa non sem­bra dispo­sta a soste­nere que­sta linea, con­tra­ria­mente a quanto riten­gono Renzi e Padoan. Al momento i docu­menti uffi­ciali euro­pei dicono altro, men­tre il neo­pre­si­dente della Com­mis­sione con­ti­nua a par­lare di cre­scita nella sta­bi­lità. I 300 miliardi annun­ciati da Junc­ker sono, in realtà, legati ai fondi strut­tu­rali e alla pos­si­bi­lità di raf­for­zare la Bei.
Ser­vi­rebbe corag­gio, ma non basta. Senza una sana con­sa­pe­vo­lezza dei pro­blemi di strut­tura del Paese, si rischia di discu­tere di arti­colo 18 o di altre dia­vo­le­rie simili, oppure di Jobs Act, o ancora di riforma della pub­blica ammi­ni­stra­zione, pro­getto che nei fatti pre­vede una con­tra­zione della stessa con un ridi­men­sio­na­mento del sindacato.
Ci aspetta un autunno dif­fi­cile. Dif­fi­cile per­ché il governo è del tutto incon­sa­pe­vole di quello che attra­versa il Paese. Non è il tempo delle tem­pe­ste in un bic­chier d’acqua, piut­to­sto di prov­ve­di­menti appropriati.

Nessun commento:

Posta un commento