Il libro best seller dell'economista francese Piketty spiega come mai la disuguaglianza tra classi è destinata a crescere. Ed è difficile dargli torto.
Come è possibile che un libro di 700
pagine, pieno di cifre, note di chiusura e qualche equazione qui e là
diventi negli Stati Uniti un best seller, più popolare su Amazon.com dei
gialli o delle storie di spionaggio? Parte della risposta è che
“Capital in the 21st century” (Capitale nel XXI secolo) del francese
Thomas Piketty è un capolavoro di analisi storica ed economica, un libro
che, per ambizione e originalità, può mirare a diventare un classico
dell’economia.
Inoltre, il tema – la disuguaglianza di reddito – è un tema centrale in questo momento nella politica americana. Il libro è istruttivo ma intrattiene. Poggia su dati storici assemblati con cura e tratti non solo dalla ricerca di Simon Kuznets e Milton Friedman, ma anche dalle vicissitudini delle élite nel XIX secolo in Inghilterra e Francia, così come descritte nei romanzi di Jane Austen e di Honoré de Balzac.
I messaggi centrali di Piketty sono semplici: guadagnando una parte della popolazione almeno 30 o 40 volte il salario medio e possedendo essa una ricchezza - la combinazione di proprietà immobiliari e attività finanziarie - ancora più distante da quella media, la disuguaglianza di reddito tra le élite e il resto delle persone è da considerarsi storicamente molto alta.
Mentre il 10 per cento più ricco possiede il 60 per cento della ricchezza nazionale, e talvolta addirittura il 90 per cento, il resto della popolazione non possiede praticamente nulla. Il punto è che, almeno negli ultimi due secoli - da quando si dispone di dati affidabili, prima in Francia e poi in Inghilterra, da poco dopo la rivoluzione francese - il tasso di rendimento della ricchezza, che è del 4-5 per cento, ha superato con un ampio margine il tasso di crescita dei redditi nazionali, che si attesta attorno al 2 per cento, con l’eccezione del periodo delle Due guerre e della Depressione tra il 1914 e il 1945.
Poiché i ricchi possono vivere molto bene senza consumare quantità significative della propria ricchezza, ne consegue che la quota del reddito nazionale rappresentata dalla ricchezza e dal reddito che essa genera tenderà ad aumentare. Piketty dimostra che oggi il rapporto tra ricchezza e reddito, che è di circa 6 volte, non è lontano dai record toccati nel 1920, e che il suo crescente peso implica che i redditi siano destinati a diventare in futuro sempre più disuguali.
A complicare le cose, la parte della ricchezza ereditata supera quella guadagnata. Secondo Piketty, una crescente e sempre più estrema disparità di reddito sarebbe incompatibile con la democrazia e il punto di rottura politico potrebbe essere raggiunto presto, com’è accaduto nel passato durante i periodi di estrema disparità.
Piketty sostiene che la risposta politica più efficace sia l’imposizione di una tassa progressiva sul patrimonio e che tale tassa dovrebbe essere applicata a livello globale per evitare l’evasione. Egli riconosce la sua proposta come utopica, ma vi insiste ritenendola necessaria e notando che, peraltro, il momento potrebbe essere arrivato, forse a partire da un accordo tra i Paesi europei.
La tesi di Piketty è accuratamente documentata anche negli argomenti più suscettibili di essere confutati ed è pertanto difficile da attaccare, tranne ovviamente per chi opina senza prendersi il disturbo di leggere attentamente il libro, come purtroppo accade spesso. Quando i trattamenti sono così ampi, è più facile che un dato numero di fatti o di ipotesi sia messo in discussione (lo ha fatto un giornalista del “Financial Times” senza molto successo), ma credo che le principali conclusioni di Piketty saranno difficilmente smentite.
Il principale punto critico delle sue argomentazioni è che il rendimento sul capitale potrebbe non restare superiore al tasso di crescita delle economie nazionali per sempre, soprattutto se si espanderà, come egli afferma, il volume del capitale. È una possibilità che Piketty riconosce, ma che considera una prospettiva remota. Come osservatore dei trend economici, personalmente ritengo poco probabile che nell’era del capitale mobile, dei grandi passi avanti dell’information technology e dell’entrata nel commercio mondiale di lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, il rendimento sul capitale scenda nel breve periodo.
Così, se, da una parte, si può essere in disaccordo con le ricette politiche di Piketty, dall’altra, la sua analisi è probabilmente corretta e ciò passa ai politici di ogni colore una gigantesca patata bollente.
traduzione di Guiomar Parada
Inoltre, il tema – la disuguaglianza di reddito – è un tema centrale in questo momento nella politica americana. Il libro è istruttivo ma intrattiene. Poggia su dati storici assemblati con cura e tratti non solo dalla ricerca di Simon Kuznets e Milton Friedman, ma anche dalle vicissitudini delle élite nel XIX secolo in Inghilterra e Francia, così come descritte nei romanzi di Jane Austen e di Honoré de Balzac.
I messaggi centrali di Piketty sono semplici: guadagnando una parte della popolazione almeno 30 o 40 volte il salario medio e possedendo essa una ricchezza - la combinazione di proprietà immobiliari e attività finanziarie - ancora più distante da quella media, la disuguaglianza di reddito tra le élite e il resto delle persone è da considerarsi storicamente molto alta.
Mentre il 10 per cento più ricco possiede il 60 per cento della ricchezza nazionale, e talvolta addirittura il 90 per cento, il resto della popolazione non possiede praticamente nulla. Il punto è che, almeno negli ultimi due secoli - da quando si dispone di dati affidabili, prima in Francia e poi in Inghilterra, da poco dopo la rivoluzione francese - il tasso di rendimento della ricchezza, che è del 4-5 per cento, ha superato con un ampio margine il tasso di crescita dei redditi nazionali, che si attesta attorno al 2 per cento, con l’eccezione del periodo delle Due guerre e della Depressione tra il 1914 e il 1945.
Poiché i ricchi possono vivere molto bene senza consumare quantità significative della propria ricchezza, ne consegue che la quota del reddito nazionale rappresentata dalla ricchezza e dal reddito che essa genera tenderà ad aumentare. Piketty dimostra che oggi il rapporto tra ricchezza e reddito, che è di circa 6 volte, non è lontano dai record toccati nel 1920, e che il suo crescente peso implica che i redditi siano destinati a diventare in futuro sempre più disuguali.
A complicare le cose, la parte della ricchezza ereditata supera quella guadagnata. Secondo Piketty, una crescente e sempre più estrema disparità di reddito sarebbe incompatibile con la democrazia e il punto di rottura politico potrebbe essere raggiunto presto, com’è accaduto nel passato durante i periodi di estrema disparità.
Piketty sostiene che la risposta politica più efficace sia l’imposizione di una tassa progressiva sul patrimonio e che tale tassa dovrebbe essere applicata a livello globale per evitare l’evasione. Egli riconosce la sua proposta come utopica, ma vi insiste ritenendola necessaria e notando che, peraltro, il momento potrebbe essere arrivato, forse a partire da un accordo tra i Paesi europei.
La tesi di Piketty è accuratamente documentata anche negli argomenti più suscettibili di essere confutati ed è pertanto difficile da attaccare, tranne ovviamente per chi opina senza prendersi il disturbo di leggere attentamente il libro, come purtroppo accade spesso. Quando i trattamenti sono così ampi, è più facile che un dato numero di fatti o di ipotesi sia messo in discussione (lo ha fatto un giornalista del “Financial Times” senza molto successo), ma credo che le principali conclusioni di Piketty saranno difficilmente smentite.
Il principale punto critico delle sue argomentazioni è che il rendimento sul capitale potrebbe non restare superiore al tasso di crescita delle economie nazionali per sempre, soprattutto se si espanderà, come egli afferma, il volume del capitale. È una possibilità che Piketty riconosce, ma che considera una prospettiva remota. Come osservatore dei trend economici, personalmente ritengo poco probabile che nell’era del capitale mobile, dei grandi passi avanti dell’information technology e dell’entrata nel commercio mondiale di lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, il rendimento sul capitale scenda nel breve periodo.
Così, se, da una parte, si può essere in disaccordo con le ricette politiche di Piketty, dall’altra, la sua analisi è probabilmente corretta e ciò passa ai politici di ogni colore una gigantesca patata bollente.
traduzione di Guiomar Parada
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