La prostituta ha diritto ad un giusto profitto, il suo è un lavoro come un altro, non c’è più da tirare in ballo la questione del buon costume e della pubblica morale e il punto chiave di tutto è che non esiste una legge che regoli, a beneficio della prostituta, questo suo diritto.
di Eretica
In più, nella sentenza che riguarda un processo contro una prostituta che esigeva il pagamento non corrisposto, c’è il fatto di aver legittimato la liceità dei proventi dal sex work. Quel guadagno è lecito. Già lo dicono gli esattori che stanno inviando alle prostitute le cartelle per esigere le tasse nonostante alle sex worker non sia riconosciuto alcun diritto.
Ricordo che ancora una prostituta, in Italia, diversamente da altri paesi, non può realizzare cooperative autonome con altre donne, non può autodeterminare e autogestire quella attività, non può lavorare in un appartamento con più persone perché rischiano l’accusa di favoreggiamento e se lavora per strada non può neppure stare in zone visibili perché le ordinanze dei sindaci sceriffi le marginalizzano in periferia sovraesponendole a un maggiore rischio di violenza e sfruttamento.
Tutto ciò non sarebbe così complicato se solo, per esempio, le abolizioniste non continuassero ad opporsi ad una regolarizzazione per quelle che il sex work lo vogliono fare per scelta. Ricordo che le abolizioniste calano sul mondo la propria obsoleta, puritana e moralista, oltreché puttanofoba, visione morale. Loro dicono che tutta la prostituzione sarebbe violenza e che non esiste donna che può aver scelto liberamente quella professione. Dunque impongono leggi censorie, sovradeterminanti, che di fatto mischiano le vittime di tratta alle prostitute che fanno il mestiere per scelta finendo per punire queste ultime.
La loro maniera di esporre la questione è fuorviante e negano, costantemente, gli abusi che le prostitute subiscono grazie all’industria del salvataggio, ai tutori che le controllano, rastrellano, deportano, se sono migranti, perfino se vittime di tratta, e nell’applicazione delle leggi le isolano, le rendono vittime di una persecuzione istituzionale senza pari, obbligandole, di fatto, a consegnarsi agli sfruttatori. Perciò nel mondo le richieste di regolarizzazione si moltiplicano.
Tantissime organizzazioni di sex workers che vogliono parlare per se stesse e non farsi rappresentare da abolizioniste borghesi che spesso hanno una visione anche neocolonialista del problema – la bianca che deve salvare la migrante nigeriana per esempio – e sono tantissimi i ricercatori e le ricercatrici e le associazioni e organizzazioni umanitarie, quelle anti/tratta, le stesse organizzazioni contro la violenza sulle donne o perfino l’Organizzazione mondiale della sanità o Amnesty international che al proprio interno discutono di petizioni e proposte in quella direzione.
Dall’altro lato trovano un cordone compatto fatto da abolizioniste, femministe radicali, tutori e patriarchi e puritani d’ogni genere, i quali pur di imporre un proprio punto di vista sostanzialmente mettono a tacere le voci delle sex workers autodeterminate, le sovradeterminano, diffondono una falsa propaganda e in qualche caso le diffamano pur di sostituirsi a loro.
Ricordo, infine, che in Italia esiste una proposta di regolarizzazione a cura della senatrice del Pd Spilabotte e poi proposte che però le stesse sex workers trovano meno condivisibili che a
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