venerdì 27 giugno 2014

La lunga corsa dell´ex tupamaro. Un libro su Pepe Mujica

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VIVE IN UNA CASA di campagna, con una cagnetta zoppa e un maggiolino azzurro. E con la compagna di tutta una vita, durante la quale ha cercato d’incidere sulla realtà del paese. Con tutti i mezzi, politici e militari. Parliamo di José Mujica, detto «Pepe», attuale presidente dell’Uruguay. Un ex dirigente del movimento guerrigliero Tupamaros che, come la moglie Lucia Topolansky, ha trascorso una parte della sua esistenza in carcere. Il presidente impossibile, lo definisce il libro di Nadia Angelucci e Gianni Tarquini, in questi giorni in libreria per Nova Delphi con una prefazione di Erri De Luca. Una biografia veloce e precisa che spazia fra aneddoti, attualità e storia. L’intervista a Lucia Topolansky, attuale presidente del parlamento, dà il tocco finale a un libro che stimola un arco di temi ben oltre il contesto e i personaggi. «Pepe Mujica, da guerrigliero a capo di stato», recita il sottotitolo del volume. Com’è potuto accadere, in quale mutamento di scenario, con quali costi e ricavi? Qual è il discorso di Mujica oggi, a chi si rivolge davvero? Le sue parole, pronunciate a braccio al G20 del 2012 in Brasile hanno infiammato la rete e i movimenti: «La grande crisi non è ecologica, ma politica – ha detto ai capi di stato – L’uomo non governa oggi le forze che ha scatenato, sono le forze che ha scatenato a governare l’uomo». Una radicalità molto lontana, però, dalla realtà politica dell’Uruguay. A chi fa gioco, in fondo, il «presidente più povero», che affascina stuoli di giornalisti ed è persino in odore di Nobel? Con rispetto, ma senza omissioni, i due autori scavano nella storia recente dell’Uruguay e in quella dei Tupamaros, inquadrandone nascita, sviluppo e parabola nello scenario internazionale.
La scelta delle armi avviene sull’onda della rivoluzione cubana, vittoriosa e decisa a estendersi nel continente attraverso la teoria guevarista del «foquismo», fuochi di guerriglia da innescare in ambito rurale. All’Avana, nell’agosto del 1967, durante la Conferenza dell’Organizzazione latinoamericana di solidarietà (Olas) è stato votato a maggioranza un documento che sostiene «la necessità della lotta armata nel continente». Ma, come ricordano gli autori, il leader del Partito comunista uruguayano, Rodny Arismendi – come altri Pc latinoamericani – ha espresso il suo disaccordo. I Tupamaros nascono all’interno di quella rottura e dei suoi effetti (Che Guevara morirà in Bolivia il 9 ottobre di quell’anno), e nonostante i dubbi avanzati dallo stesso Fidel Castro: «Il tuo paese – dice Fidel a un giornalista uruguayano – non possiede le condizioni geografiche per la lotta armata. Non ha montagne. Non ci sono boscaglie. Non si può realizzare una guerriglia. Ci sono, certo, masse attive e politicizzate... alcune condizioni ci sono... ma è circondato da due colossi, non durerebbe più di due giorni». I Tupa scommettono sulla guerriglia urbana, agendo su quelle «masse attive e politicizzate», forti del ciclo di lotte che attraversa fabbriche e campagne e al cui interno hanno già iniziato a fare esperienza di azioni illegali. Centrale per la fondazione del Movimiento de Liberacion Nacional- Tupamaros (1965), è il movimento di massa organizzato da Raul Sendic con i lavoratori della canna da zucchero (i cañeros). Con l’appoggio dei braccianti, Sendic – figura storica dei Tupa, ex militante del Partito socialista, morto nell’89 – lotta per recuperare la terra al latifondo e assegnarla alle cooperative dei contadini. Il movimento nasce quindi al punto di più alta confluenza tra lotte sindacali e lotte rurali, e compie la sua prima azione di esproprio a favore dei cañeros: non proprio un successo sul piano militare, ma l’avvio di una sperimentazione in crescendo. Allora è il 1962. Mujica (nato nel ’35) fa lavoro legale nel quartiere ma al contempo organizza la logistica per l’azione. Per sfuggire alla repressione, diversi gruppi si stanno preparando alla clandestinità pur mantenendo, come Sendic, un piede nel lavoro legale e anche elettorale. Poi, dopo un periodo di rapine e piccole azioni, si fa strada la storia dei Tupamaros, che raggiunge il picco di forza e consenso tra il 1970 e il ’71. Nelle «prigioni del popolo» finiscono impopolari pezzi da novanta del sistema politico o giudiziario. Il 31 luglio del 1970, il sequestro di Dan Mitrione, torturatore della Cia che sta applicando la «scuola di Washington» nel continente latinoamericano, porta i Tupa all’attenzione internazionale. «Il dolore preciso, nel momento preciso, nella quantità necessaria all’effetto desiderato», insegna Mitrione agli allievi mentre tortura mendicanti rapiti per strada. Il regista Costa Gravas ne ha raccontato la fine nel film L’Amerikano, del ’73. A Montevideo, Mitrione dirige l’Oficina de Seguridad Publica. Ufficialmente si tratta di un ufficio dell’Agenzia per lo sviluppo Internazionale degli Usa (Usaid), ma dipende da Byron Engle, alto dirigente della Cia a Washington . Un episodio emblematico nel quadro dello scontro senza quartiere tra due mondi inconciliabili che ha animato il grande Novecento. E che ha rimesso al centro del gorgo vecchi e nuovi temi. Washington punta sulle dittature sudamericane degli anni ’70-’80 per mantenere il suo «cortile di casa». Nella guerriglia, già provata, emergono conflitti e problemi. L’accumulo di forze realizzato, il suo impossibile impiego al di fuori e all’interno delle strutture armate, diventa un invaso in un imbuto. La storia dei Tupamaros si sviluppa e si consuma durante la crescita del potere militare che s’impadronisce del paese nel luglio 1973. Gli squadroni della morte impegnano il movimento in una lotta senza quartiere, la maggior parte del quadro dirigente va in carcere o muore. Il mese successivo al colpo di stato, i Tupamaros formano la Giunta Coordinata Rivoluzionaria con altri gruppi della sinistra politica che continuano le azioni di guerriglia urbana nel Cono Sur. L’anno dopo si scatena in tutto il continente l’Operazione Condor, l’organizzazione criminale a guida Cia volta a raggiungere gli oppositori politici alle dittature ovunque si trovino. Mujica viene arrestato per la quarta volta nel ’72, dopo essere fuggito dalla prigione di Punta Carretas l’anno prima. Sotto il governo di Jorge Pacheco Areco, che ha sospeso le garanzie costituzionali, viene rimandato in carcere da un tribunale militare. Dopo il golpe, viene trasferito in una prigione militare insieme agli altri dirigenti Tupa. Per 11 anni, sei mesi e sette giorni, nel completo isolamento di un buco sotterraneo, saranno i rehenes, gli ostaggi da uccidere in caso di azioni militari del movimento fuori. Nel 1985, con il ripristino della democrazia costituzionale, vengono liberati da un’amnistia che rende intoccabili i golpisti. Costruiscono allora il proprio rientro nella vita politica, che porterà Mujica alla presidenza, all’interno del Frente Amplio, il 1° marzo del 2010. Oggi, Mujica e i suoi ex compagni parlano di «complementarietà delle parti sociali», di «governo del mercato», di microcredito e di «Tupa bank». E, dall’impostazione del volume, si capisce che agli autori piace recuperare il lato libertario e mutualista di Mujica, da lui stesso messo in avanti in diverse dichiarazioni pubbliche. In controluce, un filo lega «l’impossibile» presidente all’influenza esercitata su di lui da un vecchio anarchico carcerato, il riscatto dei cañeros alle cooperative costruite oggi in Uruguay, e interpretate come embrione di «autorganizzazione operaia». Resta che, nel piccolo paese sudamericano (tre milioni di abitanti) le conquiste in campo sociale (aborto, marijuana legalizzata e matrimoni omosessuali), fortemente volute da Pepe, non rispecchiano un cambio di indirizzo strutturale a favore delle classi popolari. Mujica ha finito il suo mandato. Alle elezioni del 26 ottobre, il Frente Amplio torna a candidare il più moderato ex presidente Tabaré Vazquez, già contrario all’aborto e più vicino al Fondo monetario internazionale. Ai primi di giugno, le primarie hanno registrato l’altissima disaffezione degli uruguayani per la politica elettorale. «Siamo al governo in rappresentanza di una forza molto eterogenea... Il mio obiettivo è quello di lasciare un Uruguay un po’ meno ingiusto, di aiutare i più deboli e creare un nuovo modo di far politica», ha dichiarato Pepe in una delle sue versioni più «realiste». Pepe Mujica è il Mandela vivente dell’America latina – scrive Erri De Luca –, lui e il «suo nuovo Uruguay democratico inaugurano il tempo moderno e il futuro praticabile». Pepe è il compagno rimasto integro, «che ognuno avrebbe voluto a fianco e che molti hanno conosciuto sotto diversi nomi». Nel secolo delle rivoluzioni. Il libro sarà presentato a Roma il 3 luglio alla libreria Arion di Palazzo delle Esposizioni (via Milano, 15/17) ore 18. Saranno presenti gli autori.

IL PRESIDENTE IMPOSSIBILE
Nadia Angelucci e Gianni Tarquini
Nova Delphi, 2014, 12,50 euro

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