I manovali dovevano restituire metà del compenso e il Tfr. La rete gestita da un imprenditore campano trasferito in Abruzzo.
repubblica.it di GIUSEPPE CAPORALE
L’AQUILA– Gli operai della ricostruzione
dell’Aquila pagavano il pizzo. Il pizzo sullo stipendio. Era un’impresa
legata al clan dei casalesi a imporre lo sfruttamento in dieci cantieri
della città terremotata.
Metà del compenso, il trattamento di
fine rapporto e i soldi della cassa edile passavano sul conto di
quaranta manovali arruolati nel casertano, ma poi finivano nelle tasche
di Alfonso Di Tella, imprenditore campano da anni residente all’Aquila
ed esponente di spicco del gruppo di imprenditori legati a Michele
Zagaria.
Oggi Di Tella insieme al fratello (Cipriano), al figlio
(Domenico), a quattro imprenditori aquilani (Elio Gizzi, Michele
Bianchini, Dino e Marino Serpetti) è stato arrestato dalla Guardia di
Finanza dell’Aquila. Gravi le accuse mosse dal sostituto procuratore
David Mancini e dal procuratore Fausto Cardella: sfruttamento ed
estorsione con l’aggravante di voler finanziare il clan.
"Oltre
alla ricostruzione degli edifici pubblici che, per la normativa di
riferimento, offre determinate garanzie di evidenza e prevede un sistema
di controlli che consente un più efficace contrasto a forme di
illegalità – scrive nell’ordinanza il gip Marco Billi - ha assunto
particolare importanza anche la ricostruzione privata, ossia
quell’insieme di interventi edilizi (spesso complessi) realizzati con
denaro pubblico ma volti a ricostruire immobili di proprietà privata. A
differenza di quella pubblica, la ricostruzione privata non prevede un
metodo efficiente attraverso il quale la pubblica amministrazione possa
imporre all’appaltatore di indicare in anticipo la quota di lavori che
intende dare in subappalto e individuare in anticipo le imprese
subappaltatrici, né contempla forme sanzionatorie o comunque
recuperatorie del denaro pubblico nel momento in cui si accerti che
l’appalto è stato eseguito in maniera difforme da quanto pattuito
nell’affidamento”.
E aggiunge: “Questa condizione di sostanziale
scarsa trasparenza ha consentito all’Aquila ad alcune società (ad es.
Todima s.r.l. e Domus dei F.lli Gizzi s.r.l.) di acquisire
contemporaneamente un numero di appalti superiore alle proprie
possibilità, affidandosi ad imprenditori in grado di organizzare tutte
le attività di cantiere (che le suddette società hanno delegato ai Di
Tella) ed in grado di reclutare manodopera a basso costo (sottoposta a
sfruttamento attraverso condotte estorsive). Attraverso l’abbattimento
dei costi realizzato, grazie all’intervento dei Di Tella, con le
condotte estorsive poste in essere nei confronti dei lavoratori
sfruttati, le società aquilane si sono garantite cospicui guadagni. I
legali rappresentanti di queste società aquilane hanno consapevolmente e
scientemente collaborato con i Di Tella in quest’opera di abbattimento
dei costi in quanto le buste paga emesse della Todima s.r.l. e della
Domus dei F.lli Gizzi s.r.l. erano regolari ma poi venivano consegnate
in copia ai Di Tella che attivavano una sorta di contabilità parallela
per conteggiare le restituzioni in denaro estorte ai lavoratori”.
“Il
sistema orchestrato dagli indagati – prosegue il gip - oltre a creare
un intero settore economico nel quale è riscontrabile un pesante
sfruttamento dei lavoratori, ha anche alterato profondamente le regole
della concorrenza ed ha inquinato sensibilmente il settore della
ricostruzione privata. La riduzione dei costi è stata ottenuta
attraverso il ricorso a un metodo intimidatorio nei confronti dei
lavoratori attuato dai reclutatori di manodopera che hanno sfruttato
connivenze ed amicizie con personaggi di spicco del clan casalese di
Michele Zagaria. I lavoratori percepiscono una retribuzione solo
apparentemente completa e regolare, ma sono obbligati a restituire parte
di quanto ricevuto. Viene creata, in tal modo, la disponibilità di
ingenti somme di denaro
liquido. Attraverso l’opera dei Di Tella, infine, il clan casalese di
Michele Zagaria si presenta sul territorio di riferimento come soggetto
in grado di garantire concrete e rapide opportunità di lavoro”.
L’indagine
coordinata dal comandante provinciale della gdf Giovanni Domenico
Castrignanò è durata oltre due anni per far emergere come i casalesi in
affari con imprenditori aquilani sfruttavano operai e soldi della
ricostruzione.
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giovedì 26 giugno 2014
Camorra, i casalesi chiedevano il pizzo agli operai della ricostruzione dell’Aquila
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