Per contrastarla domani l’Usb ha dichiarato uno sciopero
generale di 24 ore e scenderà in piazza in 13 città, da Torino a
Cagliari, passando per Milano, Napoli e Roma (corteo alle 10 dapiazza
della Bocca della verità a piazzetta Vidoni, sede del
ministero).L’obiettivo è sollecitare la riapertura dei contratti
economici; la stabilizzazione dei precari, contrastare la
«mobilità selvaggia» dei dipendenti purché nell’ambito dei 50
chilometri dalla sede di lavoro e il demansionamento in deroga ai
contratti. Si chiede inoltre la reinternalizzazione dei precari e
dei servizi. Tutti elementi che mancano nella riforma annunciata.
Dopo il ferale annuncio di venerdì scorso da parte del governo Renzi, i sindacati confederali hanno letto le carte, sparato qualche cannonata,rivelando critiche e molta insoddisfazione. Ma sono pronti ad affrontare i problemi al tavolo.Dall’altra parte, non passa giorno che il governo respinga le loro critiche, solleticando il senso comune cresciuto sulla retorica del merito contro i «fannulloni» del pubblico impiego. Il ministro Madia, ieri all’Unità ha detto che i sindacati le hano rivolto «critiche ingenerose»: a suo avviso nella riforma non ci sarebbe «una norma contro i lavoratori e non ci sono esuberi».
La mobilità entro i 50 chilometri «la facciamo proprio per evitarer tagli del personale». Su quella dei dirigenti, pilastro degli annunci dell’esecutivo, deciderà una «commissione super partes». Sulle loro nomine «ci sarà un concorso unico» non più gestito dai singoli ministeri.Quanto alla promessa dell’assunzione di 15 mila persone, Madia ha riscoperto la prudenza.
Sa bene che non ci saranno assunzioni, o saranno pochissime, e ha messo da parte l’enfasi contenuta negli annunci del governo: «Numeri certi non ce ne sono e a me non piace dire bugie. Le varie misure possono avere delle platee potenziali».
Più che all’enfasi di un testo fantasma, («lo stiamo scrivendo» ha detto ieri a «OttoeMezzo» il sottosegretario Angelo Rughetti al segretario Cgil Camusso) ai sindacati si oppongono al taglio del 50% dei distacchi e vogliono riavviare il contratto fermo al 2009, decisione che permetterebbe ai dipendenti pubblici di recuperare il potere di acquisto.
Sono infatti cinque anni che lo Stato si finanzia anche grazie ai loro stipendi, tra i più bassi d’Europa. «Sono misure punitive — ha detto ieri Michele Gentile, responsabile dei settori pubblici della Cgil a Radio articolo 1- La ministra Madia non ha letto bene il suo decreto: con queste misure il governo vuole asservire l’amministrazione alla politica».
Risultano più chiare le parole di Renzi contro la burocrazia che impedisce, a suo avviso, l’applicazione delle riforme. Una tesi di qualche successo, oggi. Il potere esecutivo vuole centralizzare le decisioni, con quali esiti si vedrà. Per i sindacati, quello del Pd è invece un attacco alla democrazia, oltre che uno show-down contro i «corpi intermedi» di sapore neo-thatcheriano. «Ricordo — ha aggiunto Gentile — che i permessi che si vuole tagliare sono dei lavoratori, non delle loro organizzazioni».
I confederali hanno chiesto un tavolo di confronto «ma il governo sembra dire faccio una riforma ma non voglio discutere con nessuno» ha ammesso Gentile. L’Usbdenuncia la trasformazione neoliberale dello Stato: «L’obiettivo è cancellare i diritti, il Welfare e i servizi. La P.A. è ridotta a sportello per le imprese. Con il contratto bloccato le retribuzione di 3,3 milioni di lavoratori sono tornate a 30 anni fa».
Dopo il ferale annuncio di venerdì scorso da parte del governo Renzi, i sindacati confederali hanno letto le carte, sparato qualche cannonata,rivelando critiche e molta insoddisfazione. Ma sono pronti ad affrontare i problemi al tavolo.Dall’altra parte, non passa giorno che il governo respinga le loro critiche, solleticando il senso comune cresciuto sulla retorica del merito contro i «fannulloni» del pubblico impiego. Il ministro Madia, ieri all’Unità ha detto che i sindacati le hano rivolto «critiche ingenerose»: a suo avviso nella riforma non ci sarebbe «una norma contro i lavoratori e non ci sono esuberi».
La mobilità entro i 50 chilometri «la facciamo proprio per evitarer tagli del personale». Su quella dei dirigenti, pilastro degli annunci dell’esecutivo, deciderà una «commissione super partes». Sulle loro nomine «ci sarà un concorso unico» non più gestito dai singoli ministeri.Quanto alla promessa dell’assunzione di 15 mila persone, Madia ha riscoperto la prudenza.
Sa bene che non ci saranno assunzioni, o saranno pochissime, e ha messo da parte l’enfasi contenuta negli annunci del governo: «Numeri certi non ce ne sono e a me non piace dire bugie. Le varie misure possono avere delle platee potenziali».
Più che all’enfasi di un testo fantasma, («lo stiamo scrivendo» ha detto ieri a «OttoeMezzo» il sottosegretario Angelo Rughetti al segretario Cgil Camusso) ai sindacati si oppongono al taglio del 50% dei distacchi e vogliono riavviare il contratto fermo al 2009, decisione che permetterebbe ai dipendenti pubblici di recuperare il potere di acquisto.
Sono infatti cinque anni che lo Stato si finanzia anche grazie ai loro stipendi, tra i più bassi d’Europa. «Sono misure punitive — ha detto ieri Michele Gentile, responsabile dei settori pubblici della Cgil a Radio articolo 1- La ministra Madia non ha letto bene il suo decreto: con queste misure il governo vuole asservire l’amministrazione alla politica».
Risultano più chiare le parole di Renzi contro la burocrazia che impedisce, a suo avviso, l’applicazione delle riforme. Una tesi di qualche successo, oggi. Il potere esecutivo vuole centralizzare le decisioni, con quali esiti si vedrà. Per i sindacati, quello del Pd è invece un attacco alla democrazia, oltre che uno show-down contro i «corpi intermedi» di sapore neo-thatcheriano. «Ricordo — ha aggiunto Gentile — che i permessi che si vuole tagliare sono dei lavoratori, non delle loro organizzazioni».
I confederali hanno chiesto un tavolo di confronto «ma il governo sembra dire faccio una riforma ma non voglio discutere con nessuno» ha ammesso Gentile. L’Usbdenuncia la trasformazione neoliberale dello Stato: «L’obiettivo è cancellare i diritti, il Welfare e i servizi. La P.A. è ridotta a sportello per le imprese. Con il contratto bloccato le retribuzione di 3,3 milioni di lavoratori sono tornate a 30 anni fa».
Nessun commento:
Posta un commento