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La figura di Joe Biden è una figura tragica, che esprime perfettamente l’intima crudeltà e l'impietoso cinismo della politica liberale.
Le situazioni imbarazzanti e tragicomiche in cui nonno Biden è coinvolto con cadenza quotidiana, in mondovisione, travalicano il concetto di “gaffe”.
Si tratta di impudiche esibizioni di un anziano, gravemente senescente, con una manifesta condizione di avanzato deperimento mentale, qualcosa che meriterebbe solo la pietà dei suoi cari; nonno Biden meriterebbe di trascorrere i suoi ultimi anni in compagnia dei cani da compagnia o magari dei nipotini, che, se sufficientemente piccoli, potrebbero trovarsi perfettamente a loro agio.
In un’epoca che mostra sempre più apertamente l’essenza del liberalismo reale, Biden è l’epitome del modo in cui il liberalismo considera la politica: una manipolazione di fantocci i cui fili sono tessuti e tenuti fuori scena dagli interessi del capitale.
Già, perché il fatto che Biden fosse un pupazzo era chiaro come il sole da ben prima delle elezioni a chiunque avesse gli occhi per vedere e il sistema nervoso centrale cablato.
Lo sapevano tutti.
(No, ok, i piddini no, tutti gli altri).
Ma in un sistema liberale questo è un problema del tutto trascurabile, perché il politico idealmente è semplicemente un prestanome, eventualmente con doti attoriali (da Reagan a Zelensky esiste anche una brillante tradizione di trasferimenti diretti dallo schermo alla scena politica).
E così, anche questa volta nessuno ha perduto neanche un secondo a
considerare quali capacità dovesse avere Biden per recitare la parte de
“L’UOMO PIU’ POTENTE DEL MONDO”,
“IL COMANDANTE IN CAPO” dell’impero americano.
Non ci hanno pensato perché questo per il liberale è semplicemente l’ultimo dei problemi, visto che il politico è solo l'ultima rotella di una catena di trasmissione dell'interesse del capitale alla propria moltiplicazione.
Anzi, se qualcuno dovesse avere delle idee proprie, questo potrebbe rappresentare un problema: si potrebbe creare un attrito nel passaggio dei contenuti dalla sorgente al ricevitore. Il ruolo del politico liberale è idealmente quello di megafono stipendiato dei desiderata di chi paga il conto delle elezioni.
Il nocciolo della politica liberale sta infatti nel trovare i finanziamenti, canalizzarli, e garantire che chi paga veda tutelato il proprio investimento. Il resto, elezioni, discussioni, ecc. è vissuto con fastidio, come superfluo folclore.
Ed è precisamente questa cosa che, altri stipendiati dagli stessi
datori di lavoro, chiamano sui giornali "liberaldemocrazie
occidentali".
I cui valori eterni siamo tutti chiamati a difendere costi quel che costi.
Andrea Zhok
Professore di Filosofia Morale all'Università di Milano
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