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La notizia è cascata come una bomba puzzolente di carnevale sul milieu politico italiano: Di Maio lascia i Cinque stelle che con la sua vivida intelligenza e la sua etica adamantina ha contribuito ad affossare per impedire che Mario Draghi abbia difficoltà a mandare armi in Ucraina. Ma chissenefrega, cosa cambia per il Paese visto che questo ometto è per sua natura l’uomo sbagliato nel momento sbagliato., vale a dire una desolante nullità? ln un certo senso ero stato buon profeta in passato: la presenza di Di Maio o meglio la prevalenza di Di Maio dentro il movimento è stato uno degli elementi che mi ha sempre messo in sospetto riguardo alla sua consistenza e ai veri suoi obiettivi. Non solo di Maio di rivelava una persona di assoluta modestia, ma appariva come espressione quasi lombrosiana della democrazia cristiana meridionale, proveniente da un piccolo notabilato locale ontologicamente privo di progettualità politica, ma propenso unicamente all’eterna mediazione fra interessi spiccioli. Cosa ci faceva un tipo simile dentro la palingenesi che i cinque stelle o meglio la diarchia Grillo- Casaleggio annunciava? Veniva francamente il dubbio che non fosse vero niente. Ma adesso sappiamo anche, che Di Maio è come una procellaria, perché quando e dove appare porta stupidità e tempesta.: non appena ha scelto di essere il tamburino di Draghi quest’ultimo ha preso una terribile mazzata in Europa ed è stato sconfessato in maniera anche avvilente.
Guardare questo impiegatuccio dall’aria pigra e strafottente e pensare al futuro era come una bestemmia, un controsenso. Chi era dunque di Maio? Uno dei tanti giovanotti della Magna Grecia che voleva entrare nel futuro iscrivendosi ad ingegneria informatica, ma che poi viste le difficoltà della materia , aveva ripiegato sull’eterna giurisprudenza. Tuttavia anche quella di rivelò troppo complicata per cui il nostro tentò una carriera da giornalista sportivo e da steward allo stadio, un compendio quasi perfetto e poi si diede alla regia, mentre faceva l’agente di commercio: tutte cose che probabilmente si pensa di per affrontare dopo uno stage di mezzo pomeriggio. Ma sapeva che comunque aveva le spalle coperte, che dopo tutti i fallimenti avrebbe potuto trovare il suo posto nell’azienda edile di famiglia passando dalle cazzate alla cazzuola quella vera e non immaginava che avrebbe alla fine incontrato quella simbolicamente espressa da buona parte del potere italiano. . Disgraziatamente per tutti noi che oggi dobbiamo pagare a caso prezzo non solo la sua miserabile statura umana, ma sua incompetenza ontologica, nel 2007 incrociò la strada di Grillo che in quei tempi lanciava il vaffanculo. In poco tempo aprì un meetup e alla prima occasione si candidò come consigliere comunale di Pomigliano d’Arco, prendendola nei denti con 59 preferenze, famigliari e maestranze dell’azienda paterna si può immaginare. Tuttavia poco dopo ebbe modo di rifarsi e con un numero di preferenze minimo non lontano dalla cerchia personale, 189, riuscì a spuntarla nelle elezioni parlamentarie del Movimento, diventando candidato, venendo eletto deputato e diventando il più giovane vicepresidente della Camera dell’intera storia unitaria italiana. Tutto questo grazie a 189 voti e praticamente senza alcuna selezione politica, tanto per mostrare come sia stata feconda la politica fatta in rete.
Tuttavia egli è stato abbastanza abile a far trapelare la sua totale carenza di idee degne di queste nome, tanto che nel novembre 2014, quando già si stava preparando il tradimento o comunque si stava via via concretizzando il destino di un movimento in mano a un ex comico e a un visionario d’azienda, di Maio viene nominato membro del cosiddetto “direttorio” del movimento, costituito da cinque parlamentari scelti da Beppe Grillo non si capisce bene a quale titolo, su quali basi, con quale legittimità. Il resto del cursur disonorum lo conosciamo bene: l’arrivo al governo sul cavallo bianco della forza politica di maggioranza relativa, il cedimento a Mattarella sul ministro delle Finanze, l’improvvida scelta di Conte come premier che già era come vendere la primogenitura , la dissoluzione di ogni discorso critico sull’Europa, il voto salvifico per la von Der Leyen, insomma tutto la picchiata verso l’abisso in compagnia forzata dell’ambiguo Salvini. E adesso la dichiarazione di eterna fedeltà a Draghi, arrivata praticamente appena qualche giorno prima che Draghi prendesse la prima vera e pesantissima scoppola con la bocciatura del price cap sul gas, ovvero sulla delirante idea di mettere un tetto al prezzo del gas all’ingrosso. Una assoluta stronzata , perché che non puoi. rifiutare i bassi prezzi e in contratti a lungo termine della Russia, affidarti ai mercati e poi pensare di poter mettere un tetto ai prezzi. Draghi sapeva benissimo che era una follia, che non sarebbe mai passata, ma probabilmente ha voluto far credere di essere interessato alle bollette degli italiani. Però la bocciatura c’è stata e produrrà molte conseguenze. Di Maio
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