lunedì 23 agosto 2021

Classe dirigente. Bonomi: licenziare si può.

L’attacco sferrato sabato da Carlo Bonomi dal meeting di Rimini di Comunione e Liberazione a governo e sindacati racconta qualcosa di più delle solite alzate di voce del presidente di Confindustria: non si arrenderà fino a quando non prevarrà la sua logica, il far west.


(pressreader.com) di Patrizia De Rubertis Il Fatto Quotidiano 

L’attacco sferrato sabato da Carlo Bonomi dal meeting di Rimini di Comunione e Liberazione a governo e sindacati racconta qualcosa di più delle solite alzate di voce del presidente di Confindustria: non si arrenderà fino a quando non prevarrà la sua logica, il far west. Dove licenziare in un’ora via Whatsapp “sarà pure brutto” (sic), ma va fatto perché poi non è mica vero che in Italia c’è stata una “valanga di licenziamenti”. Insomma, licenziare si può, costi quel che costi, tanto a pagare saranno sempre i lavoratori. Nella sua sfuriata Bonomi se l’è presa con il ministro Pd del Lavoro, Andrea Orlando e con la vice ministra M5S dello Sviluppo economico Alessandra Todde, colpevoli di aver annunciato misure anti-delocalizzazioni dopo i casi di licenziamenti collettivi da parte di alcune multinazionali. Anche se “l’industria manifatturiera – ha tuonato Bonomi – ha tenuto il Paese insieme, altrove tutti avrebbero avuto un occhio di riguardo”. E invece per Bonomi “Orlando e Todde pensano di colpire con un decreto le imprese sull’onda dell’emotività di due o tre casi che hanno ben altre origini”.

Eppure, quando il presidente di Confindustria ne ha parlato sul palco, era già consapevole che dalla bozza del provvedimento anti-delocalizzazioni erano state depennate le due misure più stringenti per le imprese: la multa del 2% del fatturato dell’ultimo esercizio e la creazione di una black list dove iscrivere le aziende che hanno delocalizzato in modo da bloccare per tre anni finanziamenti, incentivo pubblici e cassa integrazione. Misura che per la crisi Covid nell’ultimo anno e mezzo è stata pagato dallo Stato. La norma sulla black list è stata congelata perché per la sua attuazione sarebbe servito un passaggio al ministero della Giustizia, competente in materia, che avrebbe allungato i tempi di approvazione del decreto. Così come una linea più morbida del testo finale non dovrebbe incontrare né le ostilità di Lega e Forza Italia né violare le norme comunitarie sui licenziamenti. Un attacco così forte da parte di Confindustria, sono arrivati ad ammettere ieri Pd e M5s, non se lo aspettavano neanche loro. I due partiti continuano a professare di lavorare in accordo cercando una sintesi veloce per riuscire a portare il prima possibile il decreto legge nel primo consiglio dei ministri che potrebbe essere convocato per fine agosto. “Il focus è sulla responsabilità sociale d’impresa”, fanno notare fonti governative che seguono il dossier.

Insomma, se “non c’è nessuna logica punitiva”, cosa teme Bonomi? Per il presidente di Confindustria, che ha rinfacciato al governo i 58 miliardi di debiti che la Pa ha nei confronti dei fornitori, il provvedimento è troppo “punitivo” per un altro aspetto ancora presente nella bozza: la preclusione ai finanziamenti pubblici alle aziende che non seguono le “procedure per mitigare l’impatto delle delocalizzazioni”. In pratica, per avviare una procedura di licenziamento le aziende sopra i 250 addetti sono tenute a seguire un percorso obbligato: comunicare la decisione ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, alla Regione dove si trova il sito produttivo e ai sindacati. Da quel momento la società ha tre mesi di tempo per mettere sul tavolo un piano di salvaguardia dei posti di lavoro, come la ricollocazione, i servizi di orientamento o riqualificazione. Ma non solo Bonomi non ne vuol sapere. Questa procedura ha pure un paletto: se non si rispetta il nuovo iter, viene precluso l’accesso a contributi, finanziamenti o sovvenzioni pubbliche per 5 anni. Così chi ha ribattezzato l’Italia “Sussidistan”, prendendosela con i governi che danno solo soldi a pioggia per sostenere i lavoratori, è ora lo stesso che teme che le imprese possano perdere improvvisamente denaro pubblico. Basta ricordare che la Gkn, che a giugno ha cacciato 442 lavoratori via e-mail, ha ricevuto 3 milioni di finanziamenti pubblici. Poi, preso il malloppo, ha deciso di delocalizzare.

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