lunedì 23 agosto 2021

Anche i Carabinieri contro il Green Pass

 https://comedonchisciotte.org

di Valentina Bennati
comedonchisciotte.org

E’ una vera e propria bomba il documento di 12 pagine pubblicato da UNARMA, il primo e più grande sindacato militare, ramificato in tutto il territorio nazionale, dedicato agli appartenenti dell’Arma dei Carabinieri. E’ una presa di posizione dura sul Green Pass rivolta a Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Ministro della Difesa e Presidente del Consiglio dei Ministri, invitati e diffidati:

“ 1. a non dare esecuzione al contenuto precettivo delle circolari emanate sulla scorta delle ‘indicazioni del Ministero della salute’ diramate a mezzo il sito istituzionale ovvero a mezzo delle usuali Faq, in quanto le conseguenti imposizioni si presentano prive di qualsivoglia copertura legale;

 2. a provvedere con immediatezza a non richiedere presso le mense di servizio l’esibizione delle certificazioni verdi, sulla scorta delle illegittime ed arbitrarie circolari emesse;

 3. infine, a risarcire l’istante per tutti i danni patrimoniali patiendi a causa della grave discriminazione subita sul luogo di lavoro.”

Nello  stesso documento UNARMA invita anche il Garante della Privacy  a contestare l’utilizzo e il trattamento dei dati personali e sensibili in contrasto con la normativa sulla privacy e con il regolamento GDPR, violazione dell’art. 36, par. 4, e D.L. del 22 aprile 2021, 52, adottato senza che il Garante sia stato consultato e della nota prot. 7742 del 6 maggio 2021 non recepita dell’art. 3 comma 4, del dl n. 105/2021”  e si rivolge al Segretario Generale del Consiglio d’Europa affinché prenda in esame “la situazione sopra descritta, affinché Ella – accertata la violazione degli articoli 2, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 2 Prot.4, 1 Prot. 1, 2 Prot. 1 della CEDU a causa dell’inapplicabilità dell’art. 15 CEDU – voglia assumere le iniziative ritenute opportune nei confronti dello Stato Italiano, ed informi gli altri Stati contraenti della presente denuncia di mancato rispetto dell’art. 15 CEDU e delle norme della Convenzione.”

E’ un documento articolato e denso di spunti di riflessione che non parla solo della problematica delle mense sui posti di lavoro recentemente salita alla ribalta delle cronache, ma di tutti i motivi per cui il Green Pass sarebbe fortemente discriminatorio, risultando così illegittimo e addirittura anticostituzionale. Particolarmente significativi sono i passaggi che mettono in evidenza la mancanza di dati sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci attualmente inoculati.

Lo sottoponiamo integralmente ai nostri lettori allegando alla fine il link al pdf originale.

 

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UNARMA- Associazione Sindacale Carabinieri

Roma 21/08/2021

Spett.le
Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri
Pec:CRM36736@pec.carabinieri.it

Spett.le
Ministero della Difesa
alla c.a. Ministro della Difesa
Pec: udc@postacert.difesa.it

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Pec: presidente@pec.governo.it

Alla c.a.
Garante della Privacy
P.zza Venezia n. 11
Pec: protocollo@pec.gpdp.it

Alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
alla c.a. dell’Ecc.mo
Segretario Generale del Consiglio d’Europa
CommissionerHR.Communication@coe.int

 

 

Oggetto: Diffida e messa in mora a non procedere alle limitazioni di cui al D.L. n. 105 del 6/08/2021 nei confronti delle mense sui posti di lavoro per grave Violazione del principio di legalità (articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale): trattamento illegittimo di dati personali e sensibili – Violazione dell’art. 16 e 32 Cost e dell’art. 2 della Cost. – Violazione dell’art. 15 CEDU con riferimento alla risoluzione n. 2361 (2021) del Consiglio d’Europa – Violazione della risoluzione n. 953 (2021) del Parlamento Europeo – Diffida ad eliminare ogni limitazione alla libertà personale.

 

Il sottoscritto Antonio NICOLOSI nato il 28/09/1966 a Genova e residente ad Acqui Terme in Via Cardinal Raimondi n. 18, in qualità di Segretario Generale dell’UNARMA Associazione Sindacale Carabinieri c.f.: 96430430585 con sede legale a Roma in viale Filarete 120

 

PREMESSO

 

1. Che l’ Art. 3 del D.L. 105/2021 ha introdotto l’impiego certificazioni verdi COVID-19 di cui al decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, dopo l’articolo 9 e’ inserito il seguente: «Art. 9-bis (Impiego certificazioni verdi COVID-19). – 1. A far data dal 6 agosto 2021, e’ consentito in zona bianca esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all’articolo 9, comma 2, l’accesso ai seguenti servizi e attivita’: a) servizi di RISTORAZIONE svolti da qualsiasi ESERCIZIO, di cui all’articolo 4, per il consumo al tavolo, al chiuso;

 

2. Che leggendo attentamente il DPCM del 2 marzo 2021 (art 27 c. 4) ed il DL nr 105 del 23 luglio 2021, “continuano ad essere consentite le attività delle mense…”. Invece, un’infondata interpretazione operata tramite indicazioni ministeriali, prive di alcun valore giuridico, ha assimilato le mense di servizio, dove si è obbligati a consumare il pasto previsto dal contratto di lavoro, a dei ristoranti, dove ci si reca per il piacere eno-gastronomico.

 

3. Che la norma sopra indicata non prevedeva espressamente le mese aziendali, nel novero delle attività sottoposte all’impiego della certificazione verde “de qua”. Nel caso di specie, l’estensione della norma di cui all’art. 3 del cit. DL 105/2021 è stata operata arbitrariamente, in assenza di qualsivoglia previsione di legge, ma solo sulla base di circolari diramate prima dallo Stato Maggiore della Difesa e poi a cascata da gli altri Uffici periferici, con conseguenti disposizioni imposte al personale sulla base, non di una norma autentica del legislatore, (come previsto) ma sulla scorta di un’interpretazione della norma del DL citato, pubblicata tramite una Faq news del Ministero della Salute, priva di qualsivoglia valore giuridico nell’ambito della gerarchia delle fonti.

 

4. Che nell’ultimo Provvedimento del 22 luglio 2021 – Avvertimento Regione Siciliana, del Garante della Privacy, nel cui contenuto richiama principi che qui sicuramente ci interessano. Afferma l’Autorità che “Per i profili di competenza dell’Autorità si rileva in via preliminare che il Garante ha recentemente chiarito che le certificazioni attestanti l’avvenuta vaccinazione (e, non diversamente la guarigione da Covid-19, o l’esito negativo di un test antigenico o molecolare) non possano essere ritenute una condizione necessaria per consentire l’accesso a luoghi o servizi o per l’instaurazione o l’individuazione delle modalità di svolgimento di rapporti giuridici se non nei limiti in cui ciò è previsto da una norma di rango primario, nell’ambito dell’adozione delle misure di sanità pubblica necessarie per il contenimento del virus SARS-CoV-2 (cfr. Provvedimento n. 229 del 9 giugno 2021, doc. web n. 9668064, recante il “Parere sul DPCM di attuazione della piattaforma nazionale DGC per l’emissione, il rilascio e la verifica del Green Pass”). Il legislatore è, dunque, successivamente intervenuto con il decreto legge del 1° aprile 2021, n. 44 (convertito in legge n. 76 del 28 maggio 2021 – Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), il cui articolo 4 ha previsto che, limitatamente agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario, la vaccinazione anti SARS-CoV-2 costituisce “requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative”.

 

5. Che nonostante il Dl 105/2021 non offra alcuna copertura legale all’imposizione del certificato verde all’interno dei luoghi di lavoro, mense di servizio comprese, va ribadito che il governo ha imposto provvisoriamente che la condizione di accesso a determinati luoghi pubblici è il possesso della carta verde ottenibile sulla base di 3 presupposti alternativi – che le certificazioni verdi COVID-19 si possono ottenere dopo (art. 9.2 in DL 52/21 convertito L 87/21): i) avvenuta vaccinazione anti-SARS-CoV-2; ii) avvenuta guarigione da COVID-19; iii) effettuazione di test antigenico rapido;

 

6. che nei moduli di liberatoria volontaria è ben precisato:

a. che “il vaccino potrebbe non proteggere completamente tutti coloro che lo ricevono”;

b. che anche dopo la somministrazione di entrambe le dosi del vaccino è necessario “continuare a seguire scrupolosamente le raccomandazioni delle autorità locali per la sanità pubblica, al fine di prevenire la diffusione del COVID-19”;

c. “Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”;

 

7. Che l’esibizione del pass al datore di lavoro inficerebbe in maniera lapalissiana il divieto di trattamento dei dati sanitari in materia vaccinale da parte del datore di lavoro, già ribadita dal garante nelle faq pubblicate il 17 febbraio 2021. Nelle Faq è spiegato che il datore di lavoro non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico compente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali. Ciò non è consentito dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro né dalle disposizioni sull’emergenza sanitaria. Il consenso del dipendente non può costituire, in questi casi, una condizione di liceità del trattamento dei dati. Il datore di lavoro può, invece, acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica redatti dal medico competente.

 

8. Che il Garante ha chiarito inoltre che in attesa di un intervento del legislatore nazionale che eventualmente imponga la vaccinazione anti Covid-19 quale condizione per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni – nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario, si applicano le disposizioni vigenti sulle “misure speciali di protezione” previste per tali ambienti lavorativi (art. 279 del d.lgs. n. 81/2008).

 

9. Che anche in questi casi, solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario e il contesto lavorativo, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti. Il datore di lavoro deve quindi limitarsi attuare, sul piano organizzativo, le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità.

 

TENUTO CONTO CHE

 

  • che la supposta limitazione della libertà personale si rende necessaria (art.1.) “… In considerazione del rischio sanitario connesso al protrarsi della diffusione degli agenti virali da COVID-19, lo stato di emergenza dichiarato con deliberazione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, prorogato con deliberazioni del Consiglio dei ministri del 29 luglio 2020, 7 ottobre 2020, 13 gennaio 2021 e 21 aprile 2021, e’ ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 2021.”;

 

  • che l’art. 3 del D.L. n. 44 del 1° aprile 2021 ha sancito la esclusione della punibilità “Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARSCoV-2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178”;

 

  • che l’Articolo 5 della “Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina: Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina” ratificata con legge 28 marzo 2001, n. 145, ha stabilito che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato”;

 

  • che l’art. 32 della Costituzione per i trattamenti sanitari, prescrive espressamente che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge

 

  • che l’art. 32 della Costituzione, nel precedere la riserva di legge per i trattamenti sanitari, prescrive che “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”;

 

  • che ad oggi non è stata approvata nessuna legge che impone l’obbligatorietà del “vaccino” contro il SARSCoV-2 e tanto meno il fatidico “green pass” per l’accesso ai luoghi di lavoro eccezion fatta per il personale scolastico, la cui posizione è a tutt’oggi in via di definizione;

 

  • che, inoltre, la Corte Costituzionale ha affermato che il trattamento, per non incorrere nell’incompatibilità costituzionale, deve inderogabilmente rispettare tre elementi:

– deve migliorare e/o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, nonché, e soprattutto, preservare lo stato di salute degli altri;

– deve essere sicuro. Cioè a dire non deve incidere negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato;

– deve essere prevista una equa indennità in favore dell’eventuale danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela.

 

  • che nel rango dei diritti costituzionalmente garantiti quello al lavoro, fondamento della Repubblica, rientrando tra i “principi fondamentali” è preminente rispetto alla tutela della salute che rientra nel titolo secondo sotto l’ambito dei rapporti etico-sociali;

 

  • che la tutela dalla possibilità di contrarre e diffondere il COVID è, per i lavoratori, assicurata non dal vaccino bensì dall’utilizzo rigoroso dei DPI, dei dispositivi medici prescritti, dell’igiene delle mani, e delle “altre precauzioni secondo la valutazione del rischio, indipendentemente dallo stato di vaccinazione” come attestato dalle “Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione anti-COVID-19 Gruppo di Lavoro ISS Prevenzione e Controllo delle Infezioni” (versione del 13 marzo 2021);

 

  • che tale obbligo è previsto solo per gli esercenti le professioni sanitari e gli operatori di interesse sanitario, con conseguente disparità di trattamento rispetto alle altre categorie di lavoratori (art. 3 Cost.);

 

  • che l’art. 24.3 del Dlgs del 2.1.2018 N.1 (Codice della Protezione Civile) determina che “La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi

 

  • che le prime misure del Governo adottate per determinare lo stato di emergenza risalgono al 22 gennaio 2020;

 

  • che l’art. 24.6 del Dlgs del 2.1.2018 N.1 determina che “Alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, … subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, … Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell’articolo 25, comma 7, siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati”;

 

  • che il giudice naturale delle questioni relative alle suddette responsabilità è la Corte dei Conti secondo l’art. 103 co. 2 Cost.;

 

  • che il Dlgs del 18 agosto 2000 n° 267 così recita: ”1. Per gli amministratori e per il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato”.

 

R I L E V A T O

 

  • che la Commissione ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata per 4 terapie sperimentali contro i sintomi del CoVID-19 e non contro il virus SARS-COV2;

 

  • che la stessa UE, nel proprio sito web, riconosce l’insussistenza di dati certi sull’efficacia delle terapie sperimentali, sulla durata della protezione e sulla evidenza scientifica circa la non contagiosità del soggetto vaccinato, tanto da fornire evidenti risposte elusive:

–   Si può ancora essere contagiosi una volta vaccinati?: Non lo sappiamo ancora. Sarà ancora necessario esaminare l’efficacia del vaccino nel prevenire infezioni asintomatiche, in particolare i dati delle sperimentazioni cliniche e quelli delle somministrazioni dopo l‘autorizzazione

–  “Pertanto, per il momento anche le persone vaccinate dovranno continuare a indossare le mascherine, a evitare assembramenti in luoghi chiusi, a rispettare il distanziamento sociale e tutte le altre norme. Anche altri fattori, tra cui il numero di persone vaccinate e le modalità di contagio nelle comunità, potranno portare a una revisione dei presenti orientamenti”.

–   “Dopo essere guariti dalla COVID-19, bisogna comunque vaccinarsi? Attualmente non vi sono informazioni sufficienti per stabilire se e per quanto tempo dopo aver contratto il virus una persona sia protetta da un ulteriore contagio; questo concetto è noto come immunità naturale. Dai primi dati sembra emergere che l’immunità naturale alla COVID-19 non duri molto a lungo, ma occorrono ulteriori studi per approfondire questo aspetto”.

 

  • che il presupposto logico-giuridico dell’imposizione di una vaccinazione obbligatoria è ovviamente che questa sia indispensabile per il perseguimento di un interesse pubblico;

 

  • che l’art. 32 della Costituzione prevede che un determinato trattamento sanitario possa essere imposto solo per legge e non procedure diverse quali Decreti-legge o Leggi derivate da conversioni di decreti-legge, poiché ciò elimina la discussione ampia e democratica, bicamerale per come prevista nel nostro attuale ordinamento democratico;

 

  • che nessuna legge ad oggi è approvata per imporre l’obbligo “vaccinale” contro il SARSCoV- 2 pertanto nessuna limitazione alle libertà personali può derivare da provvedimenti diversi;

 

  • che, in realtà, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha comunicato in modo ufficiale sul proprio sito web, nelle sezioni dedicate alle risposte alle domande più frequenti:

– Meccanismi d’azione e protezione dei vaccini Pfizer e Moderna

Le persone vaccinate posso trasmettere comunque l’infezione ad altre persone? Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di valutare l’efficacia dei vaccini mRNA sulle forme clinicamente manifeste di COVID-19, ma è necessario più tempo per ottenere dati significativi per dimostrare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone. Sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare a adottare le misure di protezione anti COVID-19.
I vaccini proteggono solo la persona vaccinata o anche i suoi familiari?
I vaccini proteggono la singola persona, ma se siamo in tanti a vaccinarci, potremmo ridurre in parte la circolazione del virus e quindi proteggere anche tutte le persone che non si possono vaccinare: la vaccinazione si fa per proteggere sé stessi, ma anche la comunità in cui viviamo. (Fonte: Aifa – Vaccini a mRNA: domande e risposte, ultima consultazione il 03/04/2021)

 

 – Efficacia e sicurezza della vaccinazione con Vaxzevria (ex COVID-19 Vaccine AstraZeneca)

Le persone vaccinate posso trasmettere comunque l’infezione ad altre persone? Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di valutare l’efficacia del vaccino Vaxzevria sulle forme clinicamente manifeste di COVID-19. È necessario più tempo per ottenere dati significativi per verificare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone. Sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare a adottare le misure di protezione anti COVID-19. (Fonte: Aifa – Vaccini a vettore virale: domande e risposte, ultima consultazione il 03/04/2021);

 

  • che, in altri termini, viene imposta una “vaccinazione” obbligatoria sulla base di una “plausibile” incapacità di trasmissione del virus da parte dei soggetti vaccinati, in evidente violazione del principio della c.d. “evidenzia scientifica” necessaria per imporre un trattamento sanitario obbligatorio di un vaccino, che ha ad oggetto, peraltro, la somministrazione di un farmaco dichiaratamente ancora in fase di studi e non ancora testato;

 

  • che il tema dell’evidente inadeguatezza delle sostanze attualmente immesse sul mercato (in via solo condizionata) a prevenire l’infezione con il virus SARS-CoV-2 non è stato proprio toccato, laddove, invece questo fatto ormai viene accertato su richiesta dei diretti interessati (sanitari accompagnati da avvocati nei centri vaccinali) giornalmente. Vedi l’articolo 11 Agosto 2021 su “La Nuova Ferrara” che riporta la verbalizzazione, da parte dei Carabinieri di Ferrara chiamati al centro vaccinale della fiera di Ferrara, del fatto che l’ASL risulta essere sprovvista di idoneo prodotto farmacologico previsto dalla legge (art. 4 D.L. 44/2021);

 

  • che non è dato comprendere come sia possibile ritenere rispettoso dei principi di cui all’art. 32 Cost. un Ordinamento Statale che imponga con una decretazione d’urgenza un trattamento sanitario per il solo fatto che sia “plausibile” trarne dei benefici per l’interesse pubblico;

 

  • che è del tutto illegittima l’imposizione, all’atto della vaccinazione, dell’obbligo di sottoscrivere il c.d. “consenso informato”, trattandosi di evidente violazione della facoltà di scelta del soggetto che si sottopone alla vaccinazione, il quale, non ha scelta di rifiutare la vaccinazione, pena l’applicazione della sospensione dell’attività sino al 31/12/2021;

 

  • che, comunque, tale decreto, privo dei necessari presupposti, contrasta apertamente con la risoluzione n. 2361 (2021) del Consiglio d’Europa che vieta agli Stati di rendere obbligatoria la vaccinazione Covid e vieta di usarla per discriminare lavoratori o chiunque decida di non avvalersi della vaccinazione;

 

  • che, comunque, tale decreto, privo dei necessari presupposti, contrasta apertamente con il regolamento n. 953 (2021) del Parlamento Europeo che vieta agli Stati di rendere obbligatoria la vaccinazione Covid e vieta di usarla per discriminare lavoratori o chiunque decida di non avvalersi della vaccinazione;

 

  • che, anzi, scopo della risoluzione è quello di “assicurarsi che i cittadini siano informati che la vaccinazione NON è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare, se non lo desiderano farlo da soli e di garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non voler essere vaccinato”;

 

  • che la stessa risoluzione, all’art 7.3.2 stabilisce che: “In caso di violazioni si potrà denunciare il fatto, come violazione delle regole a cui gli Stati membri si devono attenere, al Segretario del Consiglio d’Europa”;

 

  • che pertanto è evidente la violazione dell’art. 15 del CEDU che così dispone:
  1. In caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte Contraente può prendere misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale”.
  1. La disposizione precedente non autorizza alcuna deroga all’articolo 2, salvo per il caso di decesso causato da legittimi atti di guerra, e agli articoli 3, 4 (parag. 1) e 7.
  1. Ogni Altra Parte Contraente che eserciti tale diritto di deroga tiene informato nel modo più completo il Segretario Generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e sui motivi che le hanno determinate. Deve ugualmente informare il Segretario Generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure cessano d’essere in vigore e in cui le disposizioni della Convenzione riacquistano piena applicazione”;

 

  • che la durata massima dello stato di emergenza e della possibile proroga termina inderogabilmente il 21 gennaio 2022, pertanto, nessun decreto ha la possibilità di stabilire ulteriori proroghe e tantomeno imporre limitazioni derivanti dalla medesima;

 

  • che per l’art. 28 della Costituzione i Comandanti ed ogni personale dell’Istituzione è responsabile personalmente dei danni economici che dovessero derivare in conseguenza del comportamento che mette in atto a fronte dell’applicazione di norme illegittime;

 

  • che il citato decreto-legge esprime un modello divergente e dicotomico da quanto rappresentato nel su citato quadro ordinamentale europeo, pertanto sulla base degli artt. 11 e 117, comma 1 Cost. e della giurisprudenza della Corte costituzionale, tale D.L. andrebbe disapplicato dal giudice ovvero, in subordine, attivato il meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Infatti, non si tratterebbe di una divergenza minore e superabile nel quadro di un libero esercizio di discrezionalità politico-legislativa, ma saremmo in presenza della configurazione di un altro modello di governance della pandemia, fondato su forme discriminatorie, piuttosto che estensive dell’esercizio dei diritti.

 

  • Che, infatti, mentre il quadro normativo europeo configura un modello di governance basato sul ragionevole trattamento differenziato, teso ad agevolare la libertà di circolazione in sicurezza, nel modello de quo sembrano trovare spazio provvedimenti di carattere normativo e/o amministrativo, tali da generare irragionevoli e non proporzionati trattamenti differenziati al punto da incidere su ampie fette della vita sociale dei cittadini.

 

  • Che, inoltre, la normativa europea (il considerando 6 del Regolamento UE 2021/953) riconosce il potere degli Stati membri di stabilire limitazioni – sempreché proporzionali e non discriminatorie – al diritto di circolazione, ma occorre che esse siano “strettamente limitate nella portata e nel tempo”: anche sotto questo profilo si rivela stridente il contrasto con la normativa europea del Decreto-legge n. 105 del 2021, che prevede l’ulteriore proroga di sei mesi dello stato di emergenza – a dispetto delle precedenti proroghe tutte trimestrali – e l’estensione del possesso della certificazione COVID-19 all’accesso a un numero imprecisato di servizi commerciali, culturali e ricreativi.

 

  • Che, in relazione al secondo punto, con l’entrata in vigore del D.L. n. 105/2021 la certificazione diviene, ai sensi dell’art. 3, comma 1, il presupposto per adottare trattamenti differenziati in ordine all’utilizzo di determinati servizi ed all’accesso in luoghi aperti al pubblico. In questi casi, non si tratterebbe più soltanto di agevolare la libertà di circolazione in sicurezza, ma di imporre trattamenti differenziati, la cui ragionevolezza e proporzionalità andrebbe misurata caso per caso, stante l’assenza di un obbligo vaccinale.

 

  • Che, in tal caso, la certificazione verde finirebbe per costituire l’imposizione, surrettizia e indiretta, di un obbligo vaccinale per quanti intendano circolare liberamente e/o usufruire dei suddetti servizi o spazi. Ne conseguirebbe la violazione della libertà personale, intesa quale legittimo rifiuto di un trattamento sanitario non obbligatorio per legge, o comunque di continue e quotidiane pratiche invasive e costose quali il tampone.

 

  • Che da un’attenta lettura dell’art. 3 del Decreto-legge n. 105/2021, s’intende attribuire al Green pass la valenza di “lasciapassare” per l’accesso ai servizi (attività ricreative e/o sportive e/o culturali), riferendosi, dunque, più alla sfera della libertà personale, intesa quale diritto di svolgere attività che sviluppino la propria dimensione psicofisica (art. 2 in combinato disposto con l’art. 13 Cost.), piuttosto che alla sfera della libertà di circolazione. Infatti, quest’ultima non subirebbe limitazioni dall’introduzione del Green pass, ben potendo i non vaccinati circolare “liberamente” sul territorio nazionale, fintantoché l’indice regionale dei contagi lo consentirà.

 

  • Che, in ogni caso, anche a voler ritenere il Green pass uno strumento limitativo della libertà di circolazione, la questione si infrange sulla carenza del presupposto giustificativo della natura prescrittiva dello stesso, che non potrebbe collegarsi esclusivamente alla “sua” fonte di produzione (il decreto-legge), ma che andrebbe identificato nella preventiva imposizione dell’obbligo vaccinale con legge, nel rispetto del parametro del principio di legalità sostanziale e formale.

 

  • Che lo Stato Italiano passa dunque da un modello europeo che propone di agevolare la libertà di circolazione in sicurezza, impostato su un concetto di responsabilità individuale e collettiva, ben riconducibile, nei suoi aspetti strutturali e funzionali, ad i modelli liberal-democratici, ad un modello prescrittivo e discriminatorio, nel quale la dimensione della doverosità, pur presente in Costituzione, si troverebbe priva di un fondamento giuridico costituzionale, ed in ogni caso apparirebbe sproporzionata rispetto alle esigenze tese a garantire l’esercizio responsabile di libertà individuali.

 

  • Che, in assenza della generalizzata obbligatorietà del vaccino, è costituzionalmente discutibile, o comunque necessaria di seri e rigorosi approfondimenti, non solo in virtu’ della natura sperimentale dei vaccini utilizzati, ma anche dalla mancanza di prova circa la sua capacità di limitare il contagio (effetto sull’ infezione e non solo sulla malattia), rendere il patentino verde requisito necessario per esercitare il diritto alla circolazione o per accedere a determinati luoghi/servizi, comporterebbe, di fatto, in violazione dell’art. 32 Cost., la scelta tra il vaccinarsi o il sottoporsi a continui test o, peggio ancora, rinunciare a priori all’esercizio di propri diritti.

 

  • Che appare evidente che non può ritenersi legittimo e conforme alla Costituzione che un Decreto-legge attribuisca al certificato verde valore normativo e doverosità giuridica, comprimendo un complesso di libertà individuali, in assenza di obbligo vaccinale. Il diritto alla salute può determinare, come del resto è, ed è stato, limiti ad altri diritti costituzionalmente garantiti; può legittimamente con legge, nei limiti dell’art. 32 Cost., prevedere l’obbligo del vaccino, ma non giustificherebbe, né legittimerebbe, in assenza di una interpositio legislatoris (obbligo vaccinale ex lege) atti sproporzionati ed irragionevoli che possano determinare ingiustificati trattamenti differenziati.

 

  • Che si aggirerebbe così, nella sostanza, la riserva di legge assoluta, con una serie di atti che porterebbe al medesimo obiettivo, nell’ assenza di una base fattuale ragionevole per l’imposizione vaccinale (esclusa in tutti i Paesi europei anche per le categorie a rischio).

 

  • Che il decreto legge non rappresenti un’idonea base giuridica per l’introduzione e l’utilizzo dei certificati verdi è stato fatto presente anche dal Garante per la Protezione dei dati personali proprio in relazione alla questione del trattamento sistematico e non occasionale dei dati personali anche relativi alla salute su larga scala comunicati attraverso il Green pass: richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 21 febbraio 2019, secondo cui deve esistere proporzionalità tra finalità di interesse pubblico perseguita e trattamento dei dati personali.

 

  • Che il Garante nel parere n. 156 del 21 aprile 2021 ha ritenuto con riferimento al dl n. 52/2021 – tra l’altro adottato in dispregio delle procedure previste dalla normativa sulla privacy – che “soltanto una legge statale può subordinare l’esercizio di determinati diritti o libertà all’esibizione di tale certificazione”.

 

  • Che anche il decreto-legge n. 105/2021, che presenta una pluralità di contenuti non omogenei (proroga dello stato di emergenza, proroghe in materia processuale, misure di organizzazione sanitaria, certificazione verde, misure in materia di impiego pubblico, ecc.) mantiene il medesimo livello di opacità lamentato dal Garante per la Protezione dei dati personali: l’art. 3, che modifica le condizioni di impiego del Green pass secondo la tecnica del ritaglio normativo, nulla dice in merito alle specifiche finalità per le quali posso essere utilizzate le dette certificazioni, non consentendo, in tal modo, di verificare se i trattamenti dei dati introdotti dalle certificazioni covid siano proporzionati o meno.

 

  • Che un trattamento differenziato, ragionevole e proporzionato, sarebbe dunque possibile, ma dovrebbe trovare il proprio fondamento giuridico in una fonte legislativa certa, coerente con il bilanciamento di cui all’art. 32 Cost., e fondata su ragionevoli e sperimentate basi scientifiche.

 

  • Che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400/1988 stabilisce che “I decreti [legge] devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”. Sul requisito dell’omogeneità del decreto-legge va precisato che la giurisprudenza costituzionale individua tale requisito tanto nell’omogeneità dell’oggetto quanto nell’omogeneità dello scopo: “la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto legge non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere dell’urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità”.

 

Preso atto di leggi e regolamenti di rango superiore e ritenuto altresì che

 

  1. L’art. 32 della Costituzione sancisce il principio per il quale nessuno può essere sottoposto a trattamenti medici contro la sua volontà mentre l’art. 5 del C.C. vieta gli atti di disposizione del proprio corpo.

 

  1. L’art. 32 della Costituzione sancisce che solo per Legge può essere imposto un trattamento medico, non per decreto-legge o legge convertita da decreto-legge poiché lesiva dei poteri bicamerali del nostro ordinamento.

 

  1. Infine, il Regolamento UE 2021/953 ha fissato I PRINCIPI PER CUI

a. i cittadini NON possono essere discriminati in relazione al possesso di una categoria specifica di certificato (considerato 20).

b. è essenziale “l’accesso universale, tempestivo e a prezzi abbordabili ai vaccini anti COVID-19 e ai test per l’infezione da SARSCoV-2“(considerato 21);

c. è obbligo dei Paesi membri «evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate.».

 

CONSIDERATO

 

  • che i farmaci immunizzanti contro il contagio da SarsCov-2, come detto, sono in fase di sperimentazione;

 

  • che nessuna ASL risulta essere provvista di idoneo prodotto farmacologico previsto dalla legge (art. 4 D.L. 44/2021);

 

  • che non sono noti del tutto gli effetti sulla salute a breve e medio termine e del tutto ignoti gli effetti a lungo termine, consegue la impossibilità della espressione di un consenso informato;

 

  • che le stesse ASL dichiarano di non conoscere gli effetti collaterali a breve e lungo termine derivanti dalla vaccinazione di cui sopra;

 

  • che l’imposizione dell’obbligo di sottostare al trattamento terapeutico, è posta sotto la minaccia della preclusione dell’esercizio del diritto alla consumazione del pasto spettante per motivi di servizio, in senso affatto lato e quindi della lesione del diritto al lavoro tutelato dagli art.li 1, 3 e 4 dei Principi Fondamentali della Costituzione e, senza nemmeno assicurare che il vaccinato non sia fonte di contagio verso i terzi;

 

  • che vi è una chiara violazione del Reg. UE 2016/679, già segnalata dal Garante della Privacy;

 

  • che la situazione descritta può astrattamente configurare la fattispecie dall’art. 650 c.p.p.,

 

per i motivi di cui sopra,

SI INVITA E DIFFIDA le Autorità in epigrafe indicate, per quanto di competenza:

 

  1. a non dare esecuzione al contenuto precettivo delle circolari emanate sulla scorta delle “indicazioni del Ministero della salute” diramate a mezzo il sito istituzionale ovvero a mezzo delle usuali Faq News, in quanto le conseguenti imposizioni si presentano prive di qualsivoglia copertura legale a causa dell’impossibilità di estendere in maniera interpretativa le previsioni dell’art. 3 del citato decreto legge, che in ogni caso presenta delle evidenti violazioni dei principi costituzionali e della Comunità Europea, stante il diritto del singolo lavoratore di scegliere liberamente se vaccinarsi o meno, al predetto del decreto, senza che ciò comporti la violazione della privacy in materia di trattamento dei dati sanitari sul luogo di lavoro, disapplicando e/o annullando le conseguenti circolari emesse o che nel frattempo sono state adottate e dovessero essere adottate in tal senso;

 

  1. a provvedere con immediatezza a non richiedere presso le mense di servizio l’esibizione delle certificazioni verdi, sulla scorta delle illegittime ed arbitrarie circolari emesse;

 

  1. infine, a risarcire l’istante per tutti i danni patrimoniali patiendi a causa della grave discriminazione subita sul luogo di lavoro.

 

 

Si invita altresì

il Garante della Privacy a contestare l’utilizzo e il trattamento dei dati personali e sensibili in contrasto con la normativa sulla privacy e con il regolamento GDPR, violazione dell’art. 36, par. 4, e D.L. del 22 aprile 2021, 52, adottato senza che il Garante sia stato consultato e della nota prot. 7742 del 6 maggio 2021 non recepita dell’art. 3 comma 4, del dl n. 105/2021.

 

 

Si sottopone, infine, all’esamedell’Ecc.mo Segretario Generale del Consiglio d’Europa

la situazione sopra descritta, affinché Ella – accertata la violazione degli articoli 2, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 2 Prot.4, 1 Prot. 1, 2 Prot. 1 della CEDU a causa dell’inapplicabilità dell’art. 15 CEDU – voglia assumere le iniziative ritenute opportune nei confronti dello Stato Italiano, ed informi gli altri Stati contraenti della presente denuncia di mancato rispetto dell’art. 15 CEDU e delle norme della Convenzione.

 

 

Con osservanza,
Antonio Nicolosi
(Segr. Gen. UNARMA a.s.c.)

 

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FONTE: https://www.unarma.it/
https://www.unarma.it/diffida-e-messa-in-mora-a-non-procedere-alle-limitazioni-di-cui-al-d-l-n-105-del-6-08-2021/

IL COMUNICATO IN FORMATO PDF – COMUNICATO UNARMA 21.08.2021

 

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