sabato 1 maggio 2021

Hanno fatta la festa al Lavoro

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Anna Lombroso per il Simplicissimus

Cara Rosa, ti scrivo  per darti brutte notizie.

Tu, Karl, Leo, Lev, e poi Leone, Carlo, Giacomo, Nello,  Antonio, oggi oggetto di consumo pagano in forma di citazioni, stati su Facebook, poster in camera,  siete morti invano.

E due volte, per giunta, se i rappresentanti eletti dai popoli dei vostri Paesi vi hanno condannati alla damnatio memoriae e alla riprovazione perenne,  alla pari coi vostri carnefici.

I proletari di tutto il mondo non si sono uniti e la lotta di classe l’hanno vinta gli altri, i ricchi e quelli che aspirano a divenirlo con la loro fedeltà, l’obbedienza e il cinismo diventate qualità irrinunciabili della politica, come ha imparato Antonio che odiava gli indifferenti, a vedere che adesso la militanza partecipe è di chi si schiera entusiasticamente con i regimi, ripete i loro messaggi, partecipa dei loro miserabili dividendi, mentre gli altri, gli sfruttati e i diseredati insieme a chi lo sarà presto ma non vuole rendersene conto, esausti e depredati anche di desideri, sogni di riscatto e utopie disdicevoli, stanno muti, con il capo chino, a aspettare che succeda qualcosa, che arrivi qualcuno a salvarsi, forse gli extraterrestri o il suicidio del dominio che li ha soggiogati.

Quando poi sono esasperati vengono loro in soccorso l’invidia e il risentimento orizzontali, a conferma che il ceto egemone, oligarchia o cleptocrazia vince sempre con il dogma del divide et impera.

Così i lavoratori dipendenti se la prendono con le partite Iva,  i precari con i “parassiti” del reddito di cittadinanza, gli insegnanti coi ristoratori, i pensionati coi baristi, anche grazie ai traditori che hanno fatto abiura dei vostri ideali  deplorando la violenza e stigmatizzando il conflitto, vedi mai che si trasformi in lotta di classe, adesso che ci hanno convinti che le classi non ci sono e nemmeno la lotta, visto che il ceto “operaio” è quasi estinto, isolato e abbandonato al destino di sopravvissuti del “lavoro” manuale, presto sostituiti da più comodi robot, da più solerti automi iperdotati di intelligenza artificiale e immuni da malattie professionali e dalla rischiosa pretesa di dignità e remunerazioni civili, ancora più bendisposti dei nostri figli riders e pony o pizzaioli a Londra, dopo il master, a prestarsi a nuove forme di cottimo.

E dire che sono così chiari ed espliciti gli intenti della belva feroce scatenata contro i popoli per convertirli in eserciti mobili da collocare davanti al pc, da far circolare dove il sistema vuole, da selezionare grazie a provvidenziali incidenti della storia che provvedono alla soluzione finale per cancellare gli improduttivi e sfruttare fino all’esaurimento quelli che ancora  occorrono e che a milioni continuano a essere servi della gleba per mandarci il mango e la papaya, minatori per scavare le materie prime dei nostri cellulari,  taglialegna per valorizzare le foreste tropicali in forma di parquet.

Sono  anche quelli assimilabili al capitale umano al servizio della crescita illimitata, necessaria a premiare l’avido istinto all’accumulazione predatoria di chi ha e vuole sempre di più,  posseduto da un orgoglio cieco e tracotante, quell’hybris incontrollabile al possesso e al predominio che esprimono perfino attraverso le loro opere di bene discriminatrici e le loro fondazioni compassionevoli.

E dire che basterebbe dare retta alle tue parole per sapere che dietro a ogni dogma c’è un affare da difendere e per sospettare che dietro alla  pietà si nasconda l’interesse   in forma di beneficio fiscale o di propaganda per fini opachi e sopraffattori.

Come non capirti e solidarizzare quando a volte ti prendeva la voglia di desistere, il desiderio di appartarti, benchè tu ti sentissi a casa in tutto il mondo,  “ovunque ci siano nubi e uccelli e lacrime umane”, per ritirarti “in un campo tra i calabroni e l’erba piuttosto che a un congresso di partito”, confessione che oggi ti farebbe apostrofare da radical chic, da quelli che – a parole- sono pronti a morire alla guida delle masse, ma mai a marciare con esse, che preferiscono starci un po’ avanti, un po’ dietro ma mai al loro fianco, perché sono animati da un senso di superiorità sociale, culturale e morale inattaccabile e che si nutre della esplicita condanna di chi sta sotto, della sua ignoranza, della sua permeabilità alla penetrazione di ideologie barbare, razzismo, xenofobia.

Sono quelli a costituire ancora la nomenclatura dei funzionari che ti toccava incontrare a quei congressi, che costituiscono il ceto dirigente di formazioni che da anni hanno disdetto l’appartenenza politica alla “sinistra” come fosse il contratto imprudentemente sottoscritto e che fa perdere punti nella progressione di carriera, nella stabilità del posto che si è conquistato a suon di compromessi, delazione, tradimenti. Sono gli stessi che si sono guadagnati riconoscimenti per il servizio svolto in veste di strozzini, kapò, sorveglianti, tecnici col camice bianco che stanno a contare quante volte quelli in tuta vanno a far la pipì, contabili che calcolano come ridurre le paghe e favorire l’occupazione licenziando o sottoscrivendo contratti capestro.

E davvero oggi Primo maggio verrebbe voglia di essere delle “cinciallegre”, come dicevi tu che pure hai scelto “di morire sulla breccia, in una battaglia di strada o in carcere”, di fare merenda pacificamente in quei campi e su quell’erba primaverile.

Ma anche questo ci siamo negati, la primavera è silenziosa senza ronzii della api, l’aria è avvelenata da quelle fabbriche che hanno dimostrato che il sapore inebriante dell’onnipotenza produttiva e tecnologica è velenoso, l’umore è grigio come il cielo da quando le uniche scelte per chi ci lavorava in quelle fabbriche era il salario o la salute, un’alternativa adesso riproposta in modo generalizzato a milioni di individui, persuasi e poi costretti alla rinuncia a diritti primari, lavoro, istruzione, libertà di circolare e anche di esprimere critica, per tutelare una sopravvivenza minacciata da decenni di sfruttamento delle risorse, dalla cancellazione del sistema di assistenza e cura, da un sistema economico nel quale sicurezza, prerogative, garanzie sono beneficio esclusivo di una selezione di privilegiati che si sono aggiudicati potere e rendite, benessere e bellezza, e quella libertà che può esistere solo quando non ci sono la necessità e il bisogno.

Così anche qua, niente merenda con le fave e il pecorino, che anche le licenza sono oggetto di discriminazione e soggette a ostacoli, meglio tenerci a casa, governati dalla paura, che è il deterrente più potente e che ci condanna a stare isolati, distanti. E fermi, perché chi non si muove, come dicevi tu, non sente il peso della catene e non si ribella.

 

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