mercoledì 22 luglio 2020

Un’altra “caserma degli orrori” Nei giorni dell’anniversario del G8 di Genova, a Piacenza un’intera caserma dei carabinieri è stata arrestata

Piacenza
GLOBAL PROJECT di Davide Drago
22 / 7 / 2020
In questi giorni, come da ormai tanti anni, abbiamo ricordato i giorni di Genova. Un momento fondamentale di conflitto sociale e globale che ha caratterizzato l’inizio del nuovo millennio. Dei giorni che, nel bene e nel male, hanno cambiato la storia personale e politica di tante e tanti e che ha lanciato dei “gridi di allarme” che nel corso degli anni sono purtroppo diventati realtà. I movimenti in quei giorni hanno parlato un linguaggio globale, e su questo non si è più tornati indietro.

Di contro, la gestione dell'ordine pubblico ha segnato uno spartiacque per i modelli repressivi, in Italia e non solo.
Si dice che non ci sia ferita, per quanto profonda, che il tempo non aiuti a cicatrizzare. Ma forse per quello che è successo al l G8 di Genova il tempo non è servito e non servirà.
Gli attacchi scomposti ai cortei autorizzati, la morte di Carlo Giuliani, la Diaz, Bolzaneto sono momenti che non si cancellano facilmente.
Quanto compiuto dalle forze dell'ordine italiane nell'irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 è stato stabilito dalla Corte europea dei diritti umani come un atto qualificato come tortura. Il vuoto legislativo, però, ha consentito ai colpevoli di restare impuniti. Questo risultato è dovuto alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura e di prevenirne altri.
All'origine del procedimento che portò alla sentenza della corte europea, c'era il ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, manifestante veneto che all'epoca aveva 62 anni e che rimase vittima del violento pestaggio da parte della polizia durante l'irruzione nella scuola Diaz.
Lo sgombero vide impegnati 346 poliziotti e 149 carabinieri, incaricati di circondare gli edifici della Diaz e di altre due scuole, la Pertini e la Pascoli. Durante l’irruzione, vennero selvaggiamente picchiati tutti i presenti, che stavano dormendo.
Quella notte vennero fermati 93 attivisti e portati in ospedale 61 feriti, dei quali 3 in prognosi riservata e uno in coma. I fermati vennero portati alla caserma di Bolzaneto, dove per ore vennero sottoposti a torture e umiliazioni di ogni tipo, nella più completa sospensione delle garanzie di difesa e dei diritti dell’uomo. Per quel che successe a Bolzaneto e alla Diaz, 125 poliziotti finirono sotto accusa per quella che fu definita dal vicequestore Michelangelo Fournier un pestaggio da «macelleria messicana». Le violenze vennero abbondantemente documentate dalle telecamere per le strade di Genova, ma anche della Diaz dove i giornalisti poterono vedere in prima persona il sangue “fresco” dei ragazzi portati via in barella, per le violenze di Bolzaneto non ci sono immagini. L'unico documento che ci è rimasto sono “soltanto” i referti dei medici e i racconti di chi ha scelto di testimoniare quanto subito durante i vari processi. La sentenza di appello, scritta dal giudice, racconta forse per questo con estremo dettaglio, quello che ancora potrebbe sembrare incredibile per un cosiddetto Paese democratico.
Nel corso di questi anni spesso ci si è interrogati su quanto successo. In Italia, negli ultimi anni, l'uso della forza, da parte dei vari corpi delle forze dell'ordine è stato spesso utilizzato in maniera arbitraria e poco “professionale”.
Le ferite di Genova tornano a sanguinare ogni volta che la cronaca ci racconta del caso Cucchi o Aldrovandi di turno. Il dibattito sull'uso spropositato della forza ci ha accompagnato fino al luglio del 2017, quando la Camera ha approvato il disegno di legge che ha introdotto il reato di tortura nell’ordinamento italiano con 198 voti favorevoli, 35 contrari e 104 astenuti. La legge prevede per i responsabili dai 4 ai 10 anni di carcere, che salgono a un massimo di 12 se a commettere il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei suoi doveri.
Da quel giorno, però, poco è cambiato. Il confine tra il ruolo di controllore della legalità ed il ruolo di suo primo violatore è sempre più sottile. In nome della sicurezza, spesso sono gli stessi cittadini che patiscono sui propri corpi le conseguenze. Spesso assistiamo a uno Stato che calpesta i diritti dei cittadini, talvolta fino a procurarne la morte. Quanto è sottile il confine tra “legalità” ed “illegalità” in un contesto che a volte può risultare tanto delicato quello del lavoro di polizia?
Delle domande che non troveranno una risposta immediata, ma che si ripongono quando la cronaca ci presenta notizie come quella di questa mattina: “Una caserma è stata arrestata”.
Sembra un titolo da romanzo, invece si tratta di realtà. Un'intera caserma dei Carabinieri è stata posta sotto sequestro e almeno sei militari arrestati. Il tutto è partito da un’inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Piacenza e che ha portato all’emissione di diverse ordinanze di custodia cautelare per i militari di una caserma della Compagnia di Piacenza. I reati contestati andrebbero dallo spaccio, all’estorsione, ad arresti compiuti in maniera illegale, fino alla tortura.
Mai come in questo caso, la locuzione latina “Quis custodiet ipsos custodes?” diventa attuale.

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