La
storia dei carabinieri di Piacenza, che avevano trasformato la stessa
caserma in una centrale di spaccio e in sale di tortura, è un classico della cronaca nera italiana. Ed anche il “trattamento” che la notizia riceve da parte dei media ufficiali.
La
metafora della “mela marcia” in un cesto di “mele sane” è sempre lì, a
disposizione del cronista sfaticato, che neanche cerca i precedenti.
Eppure sono decine, coinvolgono centinaia e forse migliaia di “mele
marce”. I link in questo articolo permettono di ricordare solo i casi
più rilevanti degli ultimi anni, senza alcuna ambizione di completezza.
Numeri
che, a v
oler essere semplicemente accorti, rovesciano come un guanto
una narrazione edificante stesa a copertura di un “virus criminale” di grandissima diffusione tra chi indossa una divisa
(e una pistola) e solo per questo si sente investito di un’autorità
sovra-umana. In senso letterale: sopra gli altri esseri umani.
L’unica
principio riconosciuto, in quei corpi separati, è quello gerarchico.
Per cui si deve obbedienza – o fingere di averla – nei confronti dei
“superiori”. In cambio si ha “diritto sovrano” sui civili, untermenshen, senza divisa (e senza pistola).
E’ un diritto che viene loro riconosciuto dai superiori
(e dai media, che vivono di relazioni incestuose con i “corpi
separati”: le “soffiate” che vengono dalle questure e dalle caserme sono
infatti il pane quotidiano della cronaca nera, ed esserne esclusi
significa perdere “primizie”, lettori, copie vendute o ascolti).
L’impunità come condizione standard favorisce ogni deviazione. Dall'”eccesso di uso legittimo della forza” fino agli “interessi privati in atti d’ufficio”, fino alla vera e propria attività criminale in proprio.
E l’impunità standard concessa a tutti i militari (forze dell’ordine ed
esercito “professionista”) ha come ovvio contraltare la necessità di separare sempre “responsabilità individuali” e “bontà assoluta del corpo”. O, in questo caso, dell’Arma…
Così
leggiamo o ascoltiamo ogni volta la stessa storiella, come se non fosse
uguale a tutte le altre. Quelle trattate nello stesso modo e
rapidamente cancellate dalla memoria pubblica. Questo commento di Turi
Comito, a suo modo, centra parte del problema della “relazione
incestuosa” tra corpi militari e informazione mainstream.
Buona lettura.
*****
Il parroco, il sindaco, il maresciallo e il provincialismo
Non
mi è chiaro il perché le foto dei tizi arrestati a Piacenza siano
oscurate sui media né perché non se ne conoscano i nomi. Chi ha oscurato
foto e nomi? La guardia di finanza che ha proceduto agli arresti? La
procura che indaga? I media?
E
perché? Sono minorenni? Sono testimoni di giustizia sotto protezione?
Sono padri di famiglia ingiustamente incolpati che non si vuole dare in
pasto alla folla pronta al linciaggio mediatico?
Com’è
che quando arrestano un qualunque rubagalline le foto circolano manco
fossero selfie della Ferragni agli Uffizi e adesso non conosciamo né
facce né nomi degli arrestati?
Il
dubbio che si fa strada è che questa cosa accada per un malinteso senso
di “rispetto” per l’Arma. Come a dire che in pasto alla suburra dei
social si può dare chiunque tranne il Maresciallo dei carabinieri, ché
quello rappresenta l’ultima cosa buona che resta in questo paese, visto
che della sacra trimurti – l’arciprete, il sindaco e il maresciallo
appunto – il primo è pedofilo e il secondo è corrotto.
Non vorrei che le cose stessero così (ho diversi amici avvocati qui, saranno d’aiuto a sciogliere questo mistero, se vorranno).
Perché
se questa fosse la ragione dell’oscuramento ci troveremmo di fronte,
per l’ennesima volta, ad un caso classico di provincialismo mediocre,
fatto da mediocri, ad uso e consumo di mediocri.
Una disgrazia, quella del provincialismo, che è lo specchio del mediocrismo di questa epoca.
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