sabato 25 luglio 2020

La produttività in arresti giustificava tutto nella "caserma degli orrori" di Piacenza.

Troppi silenzi e troppe omissioni. Delle due l’una: o sapevano e coprivano; o non avevano capito nulla. In ogni caso molti dovrebbero lasciare a tutela dell’Arma dei Carabinieri.

La caserma dei Carabinieri sequestrata a Piacenza, 22 luglio 2020. ANSA/Pierpaolo

Gregorio De Falco Senatore
Quanto sta emergendo dalle indagini sulla “Caserma degli orrori” di Piacenza, lascia sconcertati, ma non deve soprendere se si riflette con un minimo di attenzione.
Non siamo di fronte a “mele marce”, ed è del tutto inutile dire “stiamo coi Carabinieri”, con l’istituzione.
Si deve essere chiari: sta emergendo l’atteggiamento “produttivistico” che da anni innerva l’azione di tutta la P.A. dall’alta dirigenza, giù giù fino al singolo impiegato e non risparmia nemmeno le forze dell’ordine. Applicare criteri di valutazione e metodi mutuati dal settore privato ai compiti, alle funzioni ed ai servizi dello Stato e della Pubblica Amministrazione è causa di danni devastanti.
Si dice, infatti, che se non si fanno arresti non si giustificano indagini, e, in pratica, si stabilisce un numero di arresti minimo per evidenziare la “qualità” dell’azione stessa.
E quando il concetto spurio di “produttività” si incista nella Amministrazione e scalza la Funzione specifica ed il Servizio in genere, si produce una torsione, una formazione cancerosa per i fini pubblici, di cui pur si giova l’immagine di apparente efficienza del Corpo e che nessuno ha interesse a contrastare.

Anzi, questa metastasi rimane alimentata dalla incoscienza dei protagonisti, i quali sono al contempo privi di senso morale, ma privi anche di qualsiasi controllo da parte delle proprie gerarchie, le quali preferiscono giovarsi dei risultati, ma immediatamente fingere di non aver capito quando le cose volgono al peggio.
Fin dal 2013 infatti era evidente che fosse necessario fare attenzione a quanto stava succedendo a Piacenza, soprattutto poiché un piccolo reparto territoriale si metteva in mostra ripetutamente per attività di indagine che di norma vengono svolte da altre componenti, in borghese e sotto copertura e solo occasionalmente in divisa, quando il sospetto resiste o usa violenza.Ora il quadro è più chiaro, dopo che il Maggiore Papaleo della Compagnia di Cremona, sentito dalla Polizia Municipale ha consegnato un file audio con alcune intercettazioni che aveva deciso di fare conoscere, prima o poi (e anche qui ci troviamo di fronte all’anomalia di un ufficiale delle forze dell’ordine che registra di sua iniziativa delle conversazioni e le tiene sin quando gli sembra venuto il momento di rivelarle!).
Eppure i vertici tributavano a quegli infedeli encomi e premi, nonostante -si diceva- qualche “esagerazione” visto l’altissimo numero di arresti utile agli ufficiali in Comando ad alimentare buone prospettive di carriera.
Questi concetti spuri pervadono, abusivamente tutta la PA e tutte le Forze dell’ordine.
La “produttività” in arresti giustificava tutto, persino che uno spacciatore ricevesse il permesso, durante il lockdown, di lasciare il territorio di residenza per andare in altra Regione a recuperare la droga.
Un’azione che potrebbe avere una giustificazione solo se fosse stata seguita dallo smantellamento di una banda di spacciatori; ma non era quello lo scopo e nulla del genere è avvenuto.
Nessuno nell’Arma ha detto una parola al riguardo.
Nessuno ha denunciato nulla, nemmeno quando si verificava una serie di “arresti fotocopia” che avrebbero dovuto allarmare i superiori circa il fatto che tutti i fermati avessero reagito violentemente all’azione dei militari.
Nessuno si è mai mosso pure se molto era già noto, ad esempio, le amicizie di Giuseppe Montella con elementi della criminalità non erano certo nascoste, ma addirittura rese pubbliche su Facebook.
Eppure nessun superiore ha avuto nulla da ridire su queste amicizie ostentate e che non potevano che apparire in contrasto con lo status rivestito e l’attività svolta dal Carabiniere.
Questo silenzio raggiungeva non solo la stazione, la compagnia ed il provinciale, ma risaliva fino ai vertici che da anni tributavano, invece, come detto, onori agli infedeli.
Delle due l’una: O sapevano e coprivano; o non avevano capito nulla.
In ogni caso è bene che ciascuno tragga le proprie conclusioni e le rassegni pubblicamente, a tutela dell’istituzione.
Sarebbe una posizione di responsabilità di grandissimo valore morale, che non potrebbe che avere ricadute positive sulla credibilità dell’Arma tutta.
Con un gesto di responsabilità istituzionale del massimo vertice, nessuno potrebbe nascondere le proprie mancanze, chiamarsi fuori e conservare quell’ignavia che spesso è più grave dell’azione.
Il vertice di una gerarchia non è privilegio, ma responsabilità.
Sarebbe inammissibile che tutto si risolvesse sulle spalle dell’appuntato Montella, che dovrà rispondere delle sue colpe specifiche ma che non può essere alla fine l’unico colpevole di un sistema canceroso.
Quanto accaduto nella caserma Levante deve far riflettere anche andando oltre i singoli, gravissimi, fatti.
Un senso di totale impunità, un potere assoluto e senza controllo; non a caso, a quanto sembra, molti dei crimini di cui sono accusati i protagonisti sarebbero avvenuti nella fase di lockdown, quando di fatto l’arbitrio delle forze dell’ordine era massimo.
È, inoltre, evidente una mancanza di senso del limite sia dal punto di vista soggettivo, che evidenzia una vera e propria devianza culturale del Paese, sia da quello della mancata imposizione di un limite da parte di coloro che ne avevano potere e che dovevano intervenire, e che, invece, tacendo hanno favorito una vera e propria deriva autoritaria.
E proprio sulla necessità di un controllo attento e costante insiste oggi, in un’intervista al Corriere della Sera il Procuratore Generale militare Marco De Paolis, il quale ribadisce la necessità di severi controlli sulle inclinazioni personali, aggiungendo che non si diventa malfattori da un giorno all’altro, sia che s’indossi la divisa o meno.
Nessun militare indegno potrà, afferma ancora – giustamente- il Procuratore de Paolis, essere fermato se vige una catena di connivenze coperta da un malinteso spirito di corpo e dalla solita, dannosissima (non soltanto fra i Carabinieri) ambizione alla carriera degli ufficiali, fatta soprattutto di ignavia.
Parole chiare e condivisibili che richiedono una presa di responsabilità che parte dal vertice dell’Arma e che discenda a tutti i gradi e responsabili.
Solo così si difende il prestigio dei Carabinieri e, soprattutto, si difende l’ordinamento democratico del Paese e la libertà dei cittadini.

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