micromega Sabina De Luca
Molto si è dibattuto nelle scorse settimane sull’ammontare delle risorse destinabili al rilancio del nostro Paese, dopo la crisi COVID-19; è di questi giorni la discussione sulla governance di queste risorse, in particolare di quelle legate alla Recovery and Resilience Facility. Stenta, invece, a decollare un confronto sul merito delle scelte da adottare e sul metodo da seguire per assicurarne il miglior utilizzo.
La proposta che il Forum Disuguaglianze e Diversità ha presentato nei giorni scorsi intende sollecitare questo confronto, nel convincimento che spendere bene queste risorse, per promuovere uno sviluppo più giusto, in grado di restituire fiducia nelle prospettive del nostro Paese, anche da parte di chi da tempo si sente abbandonato dalle politiche e dalle istituzioni, è una responsabilità alla quale nessuno si può sottrarre.
Prospettive di lavoro e di vita per tutti e tutte
È una proposta corredata da cinque approfondimenti tematici su scuola, salute, abitare, mobilità e spazi collettivi che muove dall’obiettivo di utilizzare queste risorse per giocarci una carta spesso sottovalutata dalle politiche pubbliche: quella dei saperi e delle capacità creative e imprenditoriali dei nostri territori, un potenziale che non possiamo più permetterci di trascurare se vogliamo dare solide basi a questo rilancio, offrire nuove e buone prospettive di lavoro, migliorare la qualità di vita dei cittadini e rafforzare la giustizia sociale e ambientale.
Liberare il potenziale dei nostri territori consente infatti di offrire nuove e solide prospettive di ricostruzione personale e collettiva alle milioni persone oggi impegnate a ridisegnare i propri progetti di vita e consente anche di riprogettare il destino di questi territori, chiamati alla sfida di costruire una nuova visione del proprio futuro più giusta, sostenibile e meno vulnerabile.
Senza farci dettare le ricette da altri ma, piuttosto, usando bene le tante frecce che abbiamo nel nostro arco, innovando metodi ormai superati.
È una proposta rivolta a tutti i nostri territori, ma che guarda soprattutto alle aree marginalizzate (periferie urbane, aree interne, campagne deindustrializzate) dove le risorse umane, culturali e naturali sono da tempo mortificate e dove, nonostante il chiarissimo dettato costituzionale, tuttora forti e persistenti sono gli ostacoli al pieno sviluppo delle persone.
Gli scenari aperti dalla crisi: nuove opportunità dai cambiamenti nelle nostre preferenze
Il punto di partenza di questa proposta è la lettura degli scenari aperti dalla crisi COVID 19 nei nostri territori: scenari di grandi sofferenze e crisi ma anche di nuove opportunità legate ai cambiamenti nella gerarchia dei valori, nelle nostre preferenze che hanno fatto emergere una nuova, potenziale domanda di beni e servizi che ora richiede di essere soddisfatta da una nuova offerta.
Cura e assistenza alla persona e a sua misura; apprendimento lungo l’intero arco di vita. Godimento del bello, e del paesaggio. Apprezzamento dei luoghi a bassa densità abitativa. Qualità abitativa. Nuova consapevolezza della prospettiva di genere. Un “lavoro a distanza” che ne innalzi la qualità, non la frammentazione e la subalternità. Mobilità flessibile e sostenibile. Alimentazione di qualità, sicura e a chilometro zero. Turismo di prossimità e “rarefatto”. Energia elettrica auto-prodotta. Riutilizzo e riciclo di materiali. Questi sono alcuni dei valori, e quindi delle attività e dei servizi e dei beni fondamentali, verso cui la crisi Covid-19 ha allertato e sospinto le nostre preferenze.
Intercettare e soddisfare la nuova domanda di beni e servizi da esse suscitata consentirebbe di attivare un circolo virtuoso che oltre a migliorare significativamente la qualità della vita dei cittadini può far da detonatore per nuova imprenditorialità, pubblica, privata e sociale e per la creazione di nuove e buone occasioni di lavoro.
Ma questo è un circolo virtuoso che non si attiva spontaneamente in tutti i territori. Saldare questa nuova domanda con una nuova offerta è possibile in assenza di interventi esterni solo laddove esistono già le condizioni perché questi nuovi bisogni siano paganti, ovvero dove una parte significativa della popolazione ha i mezzi finanziari per soddisfarli; dove le imprese hanno le risorse finanziarie e le tecnologie per rimodellarsi al nuovo contesto; dove maggiore è la capacità delle amministrazioni pubbliche di riadattare la propria azione, anche esprimendo creatività e innovazione.
Una politica di sviluppo moderna e democratica
Nelle aree marginalizzate, come in altre aree fortemente colpite dalla crisi, per promuovere questo circolo virtuoso, serve una buona politica di sviluppo, una politica di sviluppo “rivolta a luoghi” (place-based).
Di questa politica la proposta delinea i tratti essenziali: né grandi piani concepiti nel chiuso di stanze lontane dalle persone e dai territori cui sono destinati, né sussidi compensativi che inibiscono le autonome capacità di iniziativa, creando dipendenza e alimentando il parassitismo.
Serve piuttosto una combinazione di forti indirizzi nazionali settore per settore e strategie integrate territoriali che adattino questi indirizzi ai diversi contesti, governate da Comuni o da loro alleanze e partecipate con cittadini, lavoro e imprese.
Assieme alla capacità di assumere un duplice obiettivo: quello di migliorare la qualità dei servizi pubblici e delle infrastrutture fondamentali (istruzione, mobilità, salute, welfare locale, comunicazioni, energia, spazi verdi, luoghi della socialità) e quello di rimuovere gli ostacoli all’espressione delle capacità imprenditoriali, private, sociali e pubbliche. È questo l’insegnamento che ci viene dalle tante esperienze maturate nelle città metropolitane e medie, grazie soprattutto alla spinta della programmazione comunitaria, e dalla Strategia Nazionale Aree Interne.
Abbiamo oggi la possibilità di passare dalle singole sperimentazioni, da esperienze sostanzialmente isolate, ad una azione sistemica, guardando alle tante lezioni apprese da queste esperienze, che sono state oggetto di riflessioni e valutazioni.
I requisiti fondamentali
È da queste lezioni che la proposta trae precise indicazioni sugli errori da evitare e i principi da seguire. Assieme all’esplicitazione di due requisiti fondamentali. Una politica che eserciti il suo ruolo alto di costruzione del contesto, scelta delle priorità, definizione, attraverso il confronto, degli indirizzi, per poi mettere in gioco tutta l’intelligenza e la competenza dei territori affinché quelle priorità e indirizzi divengano i “fatti” che migliorano la vita delle persone. Un forte rinnovamento della PA, senza il quale nessun obiettivo può essere raggiunto.
Alcuni passi in questa direzione sono stati compiuti ma occorre intervenire con ancora più decisione e con sistematicità, sapendo che la semplificazione da sola non basta. Lo sblocco del turn-over è una grande opportunità in tal senso, ma solo a condizione di saperlo orientare, rifuggendo dal rischio di reiterare l’esistente, e di utilizzare la leva di missioni chiare e motivanti (una moderna politica di sviluppo può essere una di queste missioni) per sostenere questo rinnovamento.
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(foto heatheronhertravels.com)
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