mercoledì 29 luglio 2020

Il movimento No TAV è giovane!


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volere la luna chiara sasso
Venerdì 24 luglio si viene svegliati da un messaggio: «stanno sgomberando il presidio dei Mulini in Clarea, i ragazzi sono saliti sui tetti delle baite e sugli alberi, le ruspe avanzano con poliziotti antisommossa». Parte il tam tam, una telefonata a un amico: «c’è anche tuo figlio? sei preoccupato?». «Ma no, adesso salgo a vedere, faranno un po’ di esperienza».
La spiegazione è tutta lì. C’è il passaggio generazionale. Sono venuti su quasi all’improvviso, come funghi. Adesso i giovani sono davvero tantissimi e sempre presenti. Fino a qualche anno fa nelle manifestazioni erano presenti ma in sordina; da qualche tempo si sono presi lo spazio, si presentano in blocco, sono una potenza che si esprime negli occhi e nella determinazione.
Il presidio dei Mulini inaugurato il 20 giugno in occasione dell’allargamento del cantiere di Chiomonte è diventato in poco tempo un luogo vivo. Molti ragazzi e tende da campeggio colorate. Il bosco a proteggere quella radura: l’estate, il caldo, i giovani e meno giovani e la bellezza della Val Clarea, costituiscono un mix perfetto per sentirsi immortali. Se lo scenario nel quale i valsusini si muovono nel praticare l’opposizione non fosse stato da sempre di una bellezza così totale, con un senso collettivo e di comunità forte, forse non saremmo arrivati a trent’anni di lotta.
L’ennesima conferma di essere dalla parte della ragione si trova nella ridicola avanzata delle ruspe per rimuovere barricate di tronchi. I ragazzi sui tetti di losa, abbarbicati con provvigioni, antiche baite che ne hanno viste di ogni sorta e adesso anche questa. Un film: contrapporsi con poliziotti in tenuta antisommossa per tenere la posizione ha del surreale.
Un filmato registra, nel cambio turno, dieci auto della Digos, nove camionette e sei jeep della polizia, cinque camionette dei carabinieri, un’auto e quattro jeep dei carabinieri, due camionette della guardia di finanza, due bus dell’esercito. Una prova di forza incredibile per l’opera più inutile e militarizzata al mondo. Digos, Polizia e cacciatori di Sardegna. Inutile chiedere i costi.
Poi ci sono quelli fatti “prigionieri”. Lo Stato non perdona, una pericolosa settantatreenne insegnate di greco latino e un altrettanto pericoloso pescivendolo in pensione di 65 anni. Ma non mancano altre restrizioni. L’ultima arrivata ad Ermelinda un “avviso orale” dalla Questura di Torino su segnalazione della Digos, un avviso a tenere una condotta conforme alla legge. Il che significa non urlare con quanto fiato si ha in gola (almeno quello) il proprio disappunto (chiamiamolo così per stare sul forbito), di fronte ai cancelli che delimitano lo spazio al cantiere. Ermelinda è solita farsi sentire e l’elenco di altri contrasti, un oltraggio, un foglio di via dal Comune di Giaglione e altro ancora la rende persona “socialmente pericolosa”. Certo Erme non se ne perde una. È determinata come militante e come donna, non si risparmia e mette l’accento sulla questione di genere rivendicato anche con il gruppo fumne No TAV (donne No TAV). Nel 2006 un articolo la descrive così: «quando la stanchezza ha il sopravvento: quando il troppo caldo arrossa i visi, la mancanza di sonno stropiccia i lineamenti, il freddo congela le guance, lei rimane impassibile, nella bellezza vera, mediterranea. Niente di quello che succede attorno può ledere quella sua dignità calabrese, portata con grande orgoglio».    
L’accanimento sulle persone che continuano a tenere viva l’opposizione alla grande opera è davvero pesante e sproporzionato. Il TAV è un dogma. Guai a scalfirlo, si va avanti e basta, costi quel che costa (e proprio il caso di dirlo), passando su tutto: sanità in ginocchio, casse vuote dello Stato, Covid e pandemia.
«Gridatelo dai tetti» è una frase consegnata alla storia da Bartolomeo Vanzetti sulla sua innocenza. Forse deve passare ancora molto tempo prima che si faccia luce su questa storia di oggi con tutto il peso di quanto di inverosimile e di grottesco accade in questa valle alpina per niente pacificata. Ma arriverà.

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