giovedì 23 luglio 2020

Chi ha ucciso Malcolm X?

Una docu-serie riapre il caso dell'omicidio del leader afro-americano. Illuminando il suo rapporto con Martin Luther King e svelando retroscena e connivenze.


L’unica volta che Malcolm X incontrò Martin Luther King – nel Campidoglio degli Stati uniti nel marzo del 1964 – gli disse: «Adesso finirai sotto indagine». A quel punto, King aveva combattuto e si era guadagnato un posto nella coscienza statunitense; Malcolm aveva appena rotto con il suo maestro e con la Nation of Islam, e sperava di dare vita a un fronte unito di gruppi di liberazione dei neri che passasse anche da un riavvicinamento con King. L’incontro ebbe luogo un anno prima della morte di Malcolm, mentre entrambi attraversavano un periodo di viaggi e discorsi intensi, tra la questione della legge sui diritti civili e gli alti livelli di sorveglianza.

Ma mentre Malcolm scherzava con King, neanche lui era consapevole del grado di controllo cui le varie agenzie statali stavano sottoponendo il più famosa apostata della Nation of Islam. Nei suoi ultimi mesi di vita, Malcolm aveva ammorbidito il suo antagonismo all’approccio non violento di King e parlava apertamente con gli amici di minacce di morte quasi costanti. Una serie uscita dallo scorso inverno su Netflix suggerisce che il ruolo svolto dalle forze dell’ordine statunitensi nell’omicidio di Malcolm è stato sottovalutato, e si avvicina come non era mai successo a dare la colpa alle radici del governo statunitense stesso.
Il protagonista di Chi ha ucciso Malcom X? è Abdur-Rahman Muhammad, un giornalista, padre e ammiratore di Malcolm che, in sei episodi, guida lo spettatore nelle sue ricerche decennali per rivelare che due dei tre uomini condannati per l’omicidio di Malcolm erano innocenti. Prosegue dimostrando che l’Fbi lo sapeva ma non ha presentato prove per scagionare queste persone. Durante un episodio chiave, medita sul perché. Interloquendo coi veterani della Nation of Islam, storici dell’Fbi e vincitori di Premio Pulitzer, Muhammad stabilisce infine che questa svista non è casuale. Come protagonista e guida nei meandri della storia della revisione del caso Malcolm X, Muhammad è così convincente che il caso dell’omicidio di Malcolm è stato riaperto.
Quest’anno, l’omicidio di Malcolm ha compiuto cinquantacinque anni. In occasione dell’anniversario, la serie include tra i suoi esperti lo studioso Peniel Joseph, il cui The Sword and the Shield, una biografia incrociata di Malcolm X e Martin Luther King, Jr, è uscito all’inizio di aprile. Mentre la serie Netflix enfatizza l’importante relazione con il leader di Nation of Islam Elijah Muhammad, Joseph fornisce il contesto attorno all’altra importante relazione – con King – che sarebbe potuta maturare ulteriormente. Sebbene fosse spesso conflittuale, il rapporto tra i due presentava le caratteristiche di una collaborazione implicita che rendeva ognuna delle parti un migliore interprete della storia e un attivista più efficace. Questa relazione, inoltre, turbava i sonni del capo dell’Fbi J. Edgar Hoover. Era preoccupato che una figura carismatica potesse «unificare e elettrizzare il movimento nero», figuriamoci per due radicali neri che lavorano insieme.

 Screditare Malcolm

Abdur-Rahman Muhammad è un giornalista e un orgoglioso lavoratore come guida a Lower Manhattan. Sullo schermo, sembra un burocrate casual con un viso affabile, un sorriso ironico e una voce calda e ferma. Da adolescente, venne preso di mira dalla polizia per essere uscito con una ragazza bianca. La polizia lo insultò, lo portò in giro per la città, lo derise e lo minacciò. Ciò lo ha reso diffidente della polizia e ammiratore di Malcolm X. «Sono diventato un attivista militante nero… Che non avrebbe più accettato questa merda».
Quando Malcolm è stato ucciso, non ha creduto alla versione ufficiale. Molto più tardi, ha iniziato a scavare. Presto il suo dossier si è ingrossato e il suo lavoro è stato presentato in A Life of Reinvention, una biografia di Malcolm del 2011 del defunto Manning Marable. «Nessuno in vita ha fatto di più per risolvere l’omicidio di Malcolm di Abdur-Raman», afferma lo storico vincitore del Premio Pulitzer David Garrow.
La storia ufficiale dell’omicidio di Malcolm X è che lui e il suo maestro, il leader spirituale della Nation of Islam Elijah Muhammad, a volte noto come il Messaggero, avevano litigato. Lo scontro venne dopo un’osservazione fatta da Malcolm dopo l’assassinio di Kennedy. Muhammad gli aveva chiesto di non accusare o criticare il presidente ucciso ed era sempre più diffidente nei confronti dell’abilità politica di Malcolm. Alla fine di un comizio, una settimana dopo l’assassinio, tuttavia, qualcuno tra il pubblico ha chiesto l’opinione di Malcolm. Dato lo stato di violenza che gli Stati uniti hanno presieduto a casa e in tutto il mondo, ha affermato che quell’assassinio ricordava «le pecore che tornano all’ovile». Essendo consapevole della popolarità di Kennedy, Elijah Muhammad sospese, o «mise la museruola», a Malcolm per novanta giorni. I membri della Nation of Islam (Noi) iniziarono a schierarsi. La faida si intensificò con Elijah Muhammad e Malcolm impegnati in uno scontro verbale che comprendeva anche le minacce del Messaggero spesso nascoste in immagini religiose.
Il 21 febbraio 1965, Malcolm fu ammazzato a colpi di fucile sparati a distanza ravvicinata nella sala da ballo Audubon di New York, di fronte a sua moglie, Betty Shabazz, e ai suoi figli. Sebbene a sparargli siano stati in diversi, la morte venne attribuita alle ferite causate dai colpi di un fucile a canne mozze (usato da un uomo che indossava un lungo cappotto apparso in prima fila). Un altro uomo con una pistola, Talmadge Hayer, della Newark, New Jersey, moschea nota ai seguaci della Noi come Moschea n. 25, venne arrestato sulla scena del crimine; gli spararono alle gambe in mezzo alla calca, poi la polizia lo tirò fuori dalla folla e alla fine confessò di essere uno dei cospiratori.
Altri due uomini, Norman 3X Butler e Thomas 15X Johnson, furono arrestati. Entrambi hanno sempre dichiarato la loro innocenza. La polizia non aveva prove contro di loro, ma le accuse nei loro confronti, più deboli, vennero sommate a quelle di Hayer, e furono condannati tutti e tre a vent’anni. Attraverso una serie di documenti che demoliscono le accuse contro Johnson e Butler, Abdur-Raman Muhammad sostiene che questi uomini dicevano la verità: loro due erano innocenti e solo Hayer, che aveva confessato, era colpevole.
La famosa storia dell’omicidio di Malcolm X non è vera, Abdur-Raman Muhammad afferma nel primo episodio di Chi ha ucciso Malcolm X?. La versione di Muhammad inizia con J. Edgar Hoover, professionista della repressione dei movimenti radicali di sinistra. Hoover era terrorizzato dall’arrivo di un «Messia nero», e una volta insistette
l’obiettivo deve essere quello di fermare una coalizione di gruppi nazionalisti neri militanti, di impedire l’ascesa di una [figura che] può unificare e rinvigorire il movimento nazionalista nero, oltre quello di impedire a gruppi e leader nazionalisti neri militanti di ottenere rispettabilità, screditandoli nella comunità.
Un memorandum interno dell’FBI, in questa chiave, ha chiesto che cosa si stesse facendo per «fermare Malcolm X».

Il fucile a pompa

Il dipartimento di polizia di New York (Nypd) era a conoscenza delle minacce alla vita di Malcolm. Ma non c’era un agente di sicurezza che controllava le armi alla porta della sala da ballo Audubon la notte in cui Malcolm avrebbe parlato. Nessun ufficiale di polizia in uniforme è entrato all’interno del locale per sorvegliare il famoso leader durante i suoi discorsi. Invece, il Nypd aveva messo poliziotti sul tetto e sul marciapiede di fronte all’edificio.
L’atteggiamento sconsiderato non finisce qui. Quando la polizia arrivò sulla scena del crimine, secondo quanto riferito si aggirò per la sala da ballo, come se si trattasse di una passeggiata domenicale. Dopo la cattura di Hayer, i resoconti dei testimoni oculari hanno confermato che c’erano cinque uomini armati, uno dei quali, secondo quanto afferma il documentario, potrebbe essere scivolato via tra la folla. In qualche modo, dopo aver catturato Hayer e poi Johnson e Butler, la polizia ha ridotto arbitrariamente il numero di sospetti da cinque a tre, una decisione che non hanno mai spiegato. Oltre a scattare alcune fotografie di fori di proiettile sul podio, sul petto e sul mento dello stesso Malcolm, la polizia ha a malapena assicurato la stanza o le sue prove; quella notte stessa, hanno permesso ai proprietari di tenere una festa da ballo.
Dopo la spaccatura sui commenti a proposito di Kennedy, Malcolm aveva scritto scuse al suo insegnante, ma non aveva ricevuto risposta. La docu-serie afferma che l’Fbi aveva sfruttato questo scisma nei mesi precedenti l’uccisione. Hanno fornito storie ai media sulla spaccatura e potrebbero aver usato gli informatori per diffondere voci sull’animosità di ciascuna figura verso l’altra.
Gli informatori noti per essere penetrati nella Nation of Islam hanno creato la paranoia, uno degli obiettivi espliciti del Cointelpro dell’Fbi, o Programma di controspionaggio, che ha spiato progressisti e gruppi dissidenti, mettendoli gli uni contro gli altri. John Ali, il segretario nazionale con sede nella residenza di Chicago dell’organizzazione, è stato spesso accusato di essere stato un informatore, oltre ad aver contribuito ad alimentare l’odio tra i due ex collaboratori. Risponde alle domande degli autori della serie su queste accuse con frasi strane come «Potrei averlo fatto» e insiste nel dire che l’Fbi non lo aveva accettato come informatore.
Alcune interviste mostrano l’affabile Abdur-Raman Muhammad che fa domande ai testimoni, annuendo e alzando la fronte prima che proseguano. Dopo essere diventato amico di testimoni che gli dicono di aver considerato il caso chiuso, chiede: «Ma come potrebbe essere fatta giustizia se due innocenti neri scontano la pena?». Il regista della serie Rachel Dretzin conduce un altro tipo di intervista. Entrambi gli intervistatori sono abili nell’elaborare i loro argomenti, ma le interviste di Dretzin sono filmate più come interrogatori della polizia, la telecamera puntata sulla questione, mentre Muhammad ha voglia di intavolare una conversazione. La sua intervista a Cory Booker, che ha un legame inquietante e incidentale con il presunto assassino attraverso un video della campagna, è avvincente.
Quando i faldoni devono essere esaminati, Muhammad li sfoglia con un altro storico o archivista, oppure indica frasi chiave che appaiono sullo schermo. Così veniamo a sapere che Johnson è stato arrestato come l’uomo che ha premuto il grilletto, per esempio, nonostante ciò non corrispondesse alla descrizione del vero assassino in un file dell’Fbi.
Il primo episodio finisce con Abdur-Rahaman Muhammad che trova un documento che descrive l’uomo che aveva il fucile da caccia come robusto, dalla pelle scura e proveniente dalla moschea di Newark. Nessuna di queste descrizioni collima con Johnson, che era di carnagione chiara e proveniva dalla moschea di Harlem di Malcolm. Perché alla polizia non se ne sono accorti?

Kennedy attaccò l’Islam

A questo punto, la serie si trasforma in una riflessione sulla sorveglianza dell’Fbi e del Cointelpro. Garrow racconta agli spettatori con quanta meticolosità l’ufficio avesse infiltrato la Nation of Islam, citando «diversi informatori umani pagati per stare nelle alte sfere dell’organizzazione». «Potrebbe essere –- chiede con stile romanzesco – che gli informatori pagati dall’Fbi fossero stati coinvolti nell’omicidio di Malcolm X? Quasi certamente».
La necessità di vendetta della Nation of Islam, secondo la serie, potrebbe essere stata la copertura per i membri che si sono uniti agli informatori o che, grazie ai soldi offerti dopo essersi uniti, si sono corrotti mentre divenivano dirigenti. Presto vediamo che la necessità di vendetta stessa potrebbe essere stata manipolata. Chi ha fatto pressioni per cosa?
Mentre l’Fbi sorvegliava Malcolm, il Nypd spedì l’Ufficio dei servizi speciali e delle indagini – noto come Bossi, o Red Squad – ai suoi raduni e a registrare le sue telefonate. Bossi era effettivamente un’unità di polizia trasformata in una rete di spie. Uno dei suoi agenti si vanta di conoscere così bene le abitudini di Malcolm che avevano attivato la loro intercettazione sul secondo squillo, quando Malcolm rispondeva sempre, quindi non sentiva il clic. Tony Bouza, uno degli agenti del Bossi più ironicamente dispiaciuti, confessa: «Non credo che abbia capito che stavamo toccando il filo e ascoltando i nastri. . . Ci siamo intromessi nella privacy? Sì. Ma mi andava bene».
Se Malcolm parlava davanti a un pubblico più vasto, allora potevano partecipare agenti dell’Fbi (tutti bianchi). In caso contrario, individuavano uomini di colore per le strade e li incontravano nei cinema per organizzare la sorveglianza o scambiare informazioni.
Una serie come questa – o Wormwood di Erroll Morris (2018, anche questa su Netflix) – ti costringe ad ammettere che la paranoia, come modalità, non è poi così pittoresca o patologica. Così è stato per Malcolm, che ha iniziato a rivolgersi alle folle a partire da «Signor moderatore, amici… Nemici…». Mentre il pubblico si guardava attorno e rideva con imbarazzo, Malcolm continuava, «Tutti sono qui». In The Sword and the Shield, Joseph cita Malcolm ammettendo che, quando «parlo pubblicamente, immagino quali siano le facce dell’Fbi o di altri agenti tra il pubblico».
Una nota dell’Fbi del 1962 mostra che l’Fbi era a conoscenza delle molteplici relazioni extraconiugali di Elijah Muhammad, spesso con ragazze minorenni, con le quali in molti casi concepiva bambini. Gli agenti hanno programmato di inviare «lettere anonime a [sua moglie] Clara Muhammad». Tutto ciò finì nel calderone per avvelenare il rapporto tra i due uomini. Avere a che fare con l’ipocrisia dilagante del suo maestro avrebbe offeso il padre di quattro figli felicemente sposato, specialmente mentre questo si scagliava contro la sua schiettezza.
Un evento accaduto sotto l’amministrazione Kennedy offre uno squarcio sul crescente conflitto. Nel 1962, l’amico di Malcolm e membro della Nation of Islam Ronald Stokes, venne ucciso da agenti di polizia di Los Angeles. Fu l’unica volta in cui sua moglie, Betty Shabazz, ricorda di aver visto Malcolm piangere. Il filmato di un discorso fatto da Malcolm all’indomani dell’omicidio mostra l’attivista con alcune fotografie della scena, una raffigurante la parte posteriore della testa di Stokes con un foro di proiettile. Un memo dell’Fbi descrive la sua condanna senza appello, che ha confrontato le azioni del Lapd [Los Angeles Police Departement, Ndr] a quelle della Gestapo:
La dichiarazione di apertura del soggetto diceva che «…Sette innocenti uomini neri disarmati sono stati abbattuti a sangue freddo dal capo della polizia William J. Parker della polizia della città di Los Angeles». Il… il soggetto si riferiva all’incidente come a «una delle atrocità più feroci e disumane mai inflitte in una società cosiddetta ‘democratica’ e ‘civile’ e il soggetto si riferiva all’omicidio di Stokes come ‘un assassinio brutale e a sangue freddo di Parker e delle truppe d’assalto armate’»
Quando Muhammad ha intimato a Malcolm di ridimensionarsi, secondo quanto riferito Malcolm provava vergogna per il fatto che la Nation of Islam non sarebbe insorta per difendere i propri membri. Parte del motivo per cui Muhammad voleva impedire a Malcolm di spingersi troppo in là, tuttavia, era legata al fatto che aveva interessi commerciali redditizi a Los Angeles. Questi finanziarono il suo lavoro ministeriale e arricchirono Elijah Muhammad e la sua famiglia, e una guerra con il Lapd avrebbe messo a repentaglio gli affari.
La serie descrive bene questo e altri dettagli. Ma Joseph offre un contesto più ampio sulla schiettezza politica di Malcolm e gli affari di Maometto. Malcolm era sempre stato esplicito politicamente e ha contribuito a rafforzare i membri dell’organizzazione, facendo funzionare la propaganda e riempiendo i posti. Per quello, Muhammad gli sarebbe stato grato. A Malcolm veniva spesso ordinato di parlare con Elijah Muhammad: l’oratore geniale e l’accolito che scaldava le platee, per così dire, con il Messaggero come evento principale. Ma Muhammad aveva problemi polmonari; con il progredire degli anni Sessanta, dovette disertare molti eventi a causa della malattia.
Nelle sue numerose apparizioni davanti ai media o a un pubblico dal vivo, Malcolm è stato spesso incaricato di spiegare come la politica di separatismo della Nation of Islam si differenziasse dalla segregazione. Gli esperti si aspettavano di screditare Malcolm e la Nation paragonando questo separatismo a una specie di razzismo al contrario. Ma il separatismo aveva poco a che fare con l’accettazione della segregazione com’era, spiegò Malcolm. La segregazione era il controllo dei neri, ha detto, mentre il separatismo della Nation «era la promozione volontaria dell’autodeterminazione per una comunità nera alla ricerca del suo posto nel mondo». Per Malcolm, il vangelo della non-violenza di King portava a contrattare da una posizione di debolezza, era come chiedere ai bianchi il permesso per la libertà piuttosto che prendersela. Malcolm vedeva le richieste di integrazione di King come «ammissioni di inferiorità, sta ammettendo di voler entrare a far parte di una ‘società superiore’»
Ben prima dei suoi commenti su Kennedy, ma soprattutto dopo essere uscito dalla Nation, Malcolm  girò attorno all’idea di una coalizione più ampia. Respinse gli inviti a lavorare al fianco di King con una raffica costante di critiche di inefficacia alla non violenza. Forse era per questo che King tendeva a rifiutare o non rispondere agli inviti di Malcolm, come nel suo Harlem Freedom Rally del 1961. Tuttavia, i due leader ingaggiarono una conversazione affascinante e indiretta, che Joseph tratta bene in una doppia biografia che in modo sorprendente completa le singole biografie di ciascuno.
Da virtuoso nell’articolazione delle correnti sotterranee del black power, inclusa nella sua altrettanto meticolosa biografia di Stokely Carmichael (Stokely: A Life, 2014), Joseph colloca abilmente i due leader in contrasto l’uno con l’altro come in un duetto contrappuntistico. Questo duetto evidenzia il terribile silenzio che proveremmo se mancasse solo una delle loro voci, come è avvenuto dopo la morte di Malcolm tre anni prima della morte di King, e figuriamoci quando mancarono entrambi, dopo il 1968.
La parte più affascinante della loro performance complementare è rappresentata dal modo in cui Malcolm usava costantemente la sua retorica per amplificare i termini in cui King poteva lavorare, e viceversa. Se uno ha combattuto per la cittadinanza nera e l’altro per la dignità nera, il loro disaccordo sulla non-violenza è stato un disaccordo solo sulla tattica, ha detto Malcolm in una fase di ammorbidimento nei confronti di King. Nella loro relazione socialmente distante, qualcosa potrebbe echeggiare dall’uno all’altro. Prima Malcolm, come per l’uccisione di Stokes del 1962, e poi King (a Birmingham) potevano accostare i metodi della polizia a quelli della Gestapo. Malcolm ovviamente seguiva i movimenti e i discorsi di King (e viceversa; a volte King rispondeva al discorso di Malcolm lo stesso giorno).
A volte Malcolm avrebbe persino discusso con King per via indiretta, come quando avvenne tramite Bayard Rustin, uno dei principali organizzatori della marcia su Washington. I due discussero in modo spietato sul palco, ma si divertirono così tanto che presto accettarono di ripetere l’esperienza. Il loro primo dibattito, alla Howard University, aveva impressionato gli studenti, come il giovane Carmichael, e anche i docenti. Rustin accusò i musulmani di non avere «nessun programma politico, sociale o economico», ma secondo Malcolm
i discorsi di orgoglio razziale, autodeterminazione politica e solidarietà nera hanno motivato una generazione di giovani attivisti ad assimilare molta storia nera, a indagare sul significato della decolonizzazione africana e a reimmaginare il significato dell’identità afroamericana nella cultura occidentale.
Gran parte della curiosità reciproca, almeno quella di Malcolm, girava intorno a Kennedy (immagina Malcolm guardare King, che guarda Kennedy, che guarda King). Quando il commissario di pubblica sicurezza Bull Connor stava pestando gli attivisti per i diritti civili a Birmingham, in Alabama, liberando i cani su bambini piccoli e le loro madri e puntandogli contro le manichette antincendio, Malcolm si arrabbiò. Ma a parte lamentarsi privatamente per la brutalità della polizia «mi hanno fatto star male», Kennedy non aveva fatto nulla. Ciò «gli valse l’inimicizia permanente di Malcolm X, che ha criticato il presidente per aver autorizzato la forza solo quando erano a rischio la proprietà e la vita dei bianchi, piuttosto che quella delle donne e dei bambini neri».
Per quanto riguarda King e Kennedy, King aveva aspettato un incontro per i primi sette mesi del mandato di Kennedy e, indipendentemente dal fatto che King lo vedesse o no, le critiche di Malcolm a Kennedy gli fornivano una copertura. Malcolm sapeva anche che la visione originale della Marcia su Washington – che A. Philip Randolph aveva immaginato per la prima volta decenni prima, negli anni Quaranta – era più radicale, aveva come obiettivo il blocco totale della capitale. Malcolm si lamentò del fatto che quando il presidente vide che non poteva fermarla, si unì a essa. Una volta che ebbe la benedizione di Kennedy, Malcolm sentì che era diventata troppo timida, meno focalizzati sul blocco del traffico, sulla sospensione del lavoro e sulla esibizione del black power, ci si occupava invece di fornire luoghi in cui urinare e svenire.
Prima di incontrare alcuni giornalisti, Kennedy denigrò i musulmani come un ricettacolo di estremisti. «Invece di attaccare il Ku Klux Klan e il Consiglio dei cittadini bianchi – disse Malcolm – Kennedy ha attaccato l’Islam, una religione». Inoltre, Malcolm non accusava Kennedy per l’assassinio del leader congolese Patrice Lumumba, ucciso pochi giorni prima dell’inaugurazione di Kennedy? O per l’invasione della Baia dei Porci a Cuba, nell’aprile del primo mandato di Kennedy? Indipendentemente da ciò, la battuta di Malcolm su Kennedy e la violenza è stata rappresentata come una dichiarazione di crudeltà – ma aveva un suo retroterra.

Cortese ma non collaborativo

Secondo la docuserie, John Ali, segretario di Elijah Muhammad, chiamò Chicago e riferì al Messaggero che Malcolm aveva fatto la battuta su Kennedy. I giornali e le reti televisive distorsero la metafora – fatta con ironica indignazione per l’ipocrisia degli Stati uniti – riportandola come se Malcolm avesse espresso gioia per la morte di Kennedy. Malcolm lavorò duramente per far pace con Muhammad, ma le sue lettere di umiltà e rimpianto furono intercettate dai figli del Messaggero (eredi del suo impero) o da altri che da Malcolm sarebbero stati minacciati. Venne sospeso.
All’indomani dell’incidente, la stampa continuò a riferirsi a Malcolm come «erede apparente» di Muhammad. Ciò infastidì Malcolm, poiché sapeva che avrebbe solo accentuato l’animosità dei veri eredi. Preoccupato per la perdita del proprio sostentamento attraverso un’organizzazione che aveva costruito e ampliato come nessun altro, Malcolm trascorse l’inverno correggendo gli intervistatori, dicendo che non era erede di nessuno, sottolineando che era stato sospeso per le sue azioni e che l’onorevole Elijah Muhammad gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva. È stato un momento di vera umiltà per l’attivista e il predicatore, con un tocco di istinto di sopravvivenza.
A due mesi dalla spaccatura, l’Fbi fece visita a Malcolm a casa sua. Lui li accolse. In un interrogatorio esplorativo, si offrirono di pagarlo per avere informazioni sulla Nation of Islam. Parlarono, in tono informale, di documenti a cui poteva avere accesso. Erano lì per testare la psicologia di Malcolm durante la frattura, una frattura che questi agenti avevano tranquillamente predisposto. Negando di avere tale accesso, Malcolm registrò segretamente i due agenti, uno dei quali si chiamava Fulton, che parla a Dretzin ma si rifiuta di mostrare la sua faccia sulla telecamera.
«Il denaro fa emergere le informazioni», disse Fulton a Malcolm, rendendosi conto all’istante che aveva commesso un errore. «Insulti la mia intelligenza», obiettò Malcolm. «In effetti, insulti te stesso, non sai in anticipo cosa sto per dire». Sottolineò che non era un Quisling [collaborazionista dei nazisti durante occupazione della Norvegia, Ndt] o un idiota, e che «nessun ente governativo dovrebbe mai aspettarsi informazioni da me». Uno degli agenti descrisse Malcolm durante la visita come «gentile e cortese, ma non troppo collaborativo».

Sulla scena globale

Per farlo tranquillizzare, la squadra di Malcolm lo portò a Miami, dove Sam Saxon, membro del Noi, gli fece conoscere Cassius Clay. I due diventarono rapidamente amici. Malcolm convertì Clay, che stava per diventare campione dei pesi massimi combattendo contro Sonny Liston. Malcolm sperava che reclutando la star del pugilato avrebbe aiutato a restituire «orgoglio razziale» agli afroamericani, cosa che era parte del programma di dignità nera di Malcolm. Cercava ancora di tornare all’ovile, e sperava di offrire il campione come offerta di pace a Elijah Muhammad.
Ma Muhammad scavalcò Malcolm. Dopo che Clay si aggiudicò il titolo, Muhammad tenne un ricevimento pubblico, elogiò Clay e gli diede il suo nome musulmano, Muhammad Ali. Joseph racconta che Malcolm non era bravo a gestire la politica di potere come Muhammad: «Elijah Muhammad giocava a scacchi e Malcolm giocava a dama».
George Plimpton, famoso letterario dell’alta società di New York, incastrò Malcolm per un’intervista a Miami. All’epoca Plimpton stava scrivendo di Ali per Sports Illustrated (e per il suo successivo libro Shadow Box). Descrivendo Malcolm come una speranza che nel giro di poco tempo «non avrebbe avuto limiti», Plimpton attribuisce la morte di Malcolm alla frattura tra i due, anche se continua a ridicolizzare con leggerezza la maggior parte dell’indignazione di Malcolm sulle brutali ingiustizie storiche. Plimpton mette in evidenza contraddizioni di Malcolm, e alla fine allude al fatto che un retroterra di antisemitismo aveva contaminato il lavoro dei musulmani. Tuttavia, dopo lo scontro con Muhammad, Malcolm sapeva che non sarebbe stato reintegrato. Tony Gouza, membro della Bossi, se ne dice soddisfatto: «Ho pensato che era una gran cosa. Meraviglioso. Elijah Muhammad stava rinunciando al suo più grande vantaggio e stava indebolendo la sua organizzazione. È come se una squadra di baseball si privasse del suo più grande campione. Cosa potevamo sperare di meglio?».
L’8 marzo, in mancanza della pace negoziata con il Messaggero, Malcolm annunciò il divorzio. Fu anche il suo ultimo anno, ed era attivo e perseguitato. Aveva lanciato la sua nascente Nation of Islam (che aveva chiamato Muslim Mosque, Inc.) e si era reinventato come ambasciatore itinerante – alcuni lo hanno chiamato il presidente – dell’America nera. In tournée in Africa e Medio Oriente, aveva fondato anche l’Organizzazione dell’Unità afroamericana (Oaau). L’Oaau aveva messo in relazione una minoranza negli Stati Uniti con un’enorme platea mondiale.
Malcolm aveva operato una sorta di cambiamento tattico, riformulando i diritti civili come diritti umani globali nella sua ricerca di un campo d’azione morale e storica più ampia, che aveva portato i movimenti nazionalisti e anticolonialisti in Africa a dare solidarietà ai movimenti di liberazione americani. Dal punto di vista degli Stati uniti, questo è stato un tentativo di metterli in difficoltà sulla scena globale, mettendo il modo in cui venivano trattati i neri americani contro l’immagine degli Usa come patria della libertà.

Iperboli o minacce di morte?

Mentre venivano presentate queste nuove organizzazioni, Malcolm e la Nation of Islam ingaggiarono una nuova battaglia a proposito della piccola casa nel Queens. Muhammad aveva cercato di sfrattarlo e il caso era finito in tribunale. Malcolm aveva trascorso dodici anni della sua vita contribuendo a far crescere gli adepti alla Nation of Islam e aveva ragione di pensare che, visto il suo efficace lavoro organizzativo, fosse indispensabile. Dibattersi in tribunale per difendere il modesto rifugio della sua famiglia, mentre Elijah Muhammad risiedeva nelle dimore sontuose di Chicago e Phoenix, lo aveva ulteriormente amareggiato. Il documentario non dice in che modo Malcolm sia venuto a conoscenza delle vicende del suo maestro e se l’Fbi abbia avuto un ruolo. Ma i filmati lo mostrano ribollire fuori dal tribunale dopo aver perso la sua casa e denunciare Muhammad per avere «otto figli di sei ragazze adolescenti che erano le sue segretarie private».
Per molti musulmani, come James Shabazz, ministro della Moschea di Newark n. 25 del gruppo, questo è stato un tradimento imperdonabile dell’uomo che aveva portato Malcolm a raddrizzare la sua vita dopo la prigione e gli aveva dato una vocazione. Un intervistatore televisivo della Cbs chiese a Shabazz, si vede in un  filmato d’archivio, se avesse mai consentito che alcuni dei suoi seguaci attaccassero Malcolm (parla di influenzare i testimoni). «Non accetterei che un cristiano – rispose Shabazz – dia un pugno a qualcuno per aver parlato di Gesù».
Altri membri della moschea hanno detto, «non mi è mai nemmeno venuto in mente che Malcolm avesse ragione» visto che era un uomo che «aveva voltato le spalle a suo padre». Il filmato mostra Malcolm, ormai senza casa, che alza l’asticella della faida e dice: «Elijah Muhammad è impazzito, è assolutamente uscito di senno. Inoltre, non puoi avere settant’anni e circondarti di un gruppo di ragazze sedicenni, diciassettenni o diciottenni e starci con la testa. Non puoi farlo». La folla ride. Malcolm credeva che Elijah Muhammad fosse dietro le minacce contro di lui: «Muhammad ha dato l’ordine ai suoi seguaci, vuole vedermi paralizzato o ucciso».
Ed essendo Elijah Muhammad il bersaglio più intercettato del Cointelpro dell’Fbi, usato durante questo periodo illegalmente per spiare i civili, Abdur-Rahman Muhammad cerca nel registro del governo un ordine in codice o esplicito per far uccidere Malcolm. «Elijah ha affermato che a questi ipocriti, quando li trovi, si taglia la testa», legge in un memorandum dell’Fbi del 1964, da una intercettazione della casa di Phoenix di Muhammad. Da musulmano, decodifica per Garrow il messaggio, spiegando che la frase «tagliare la testa» si riferisce agli insegnamenti del fondatore del Noi, Wallace Fard Muhammad, che aveva detto che chiunque avesse tagliato la testa a quattro diavoli sarebbe andato alla Mecca. Un successivo riferimento a Mosè in un altro memorandum potrebbe essere un’altra minaccia di morte codificata contro Malcolm. «È molto chiaro ciò che sta chiedendo. Non avrebbe dovuto dirlo».
The fruit of Islam era la forza di sicurezza di Elijah Muhammad. Ma può anche essere vista come la sua polizia, di cui le autorità si preoccupavano perché poteva essere convertita in una forza paramilitare. Lo storico Zak A. Kondo spiega che potevano dire: «Vogliamo che lo benediciate», ma poteva benissimo significare portare qualcuno nel parco e picchiarlo. La leadership della Nation of Islam stava «necessariamente dicendo cose che davano alla gente l’idea che [loro] volevano morto Malcolm X». Uno dei giornali della Nation mostrava una striscia a fumetti con la testa di Malcolm che rotolava per strada e le corna che gli crescevano a ogni rimbalzo. Una campagna di calunnie si intensificava, con suggerimenti come «Amico, se tu sapessi cosa diceva Malcolm sul leader, lo avresti ucciso tu stesso». Talmadge Hayer, assassino confesso condannato per il suo omicidio, sentì di dover riparare alle diffamazioni di Malcolm, ma dichiarò anche che non aveva bisogno di un ordine diretto. Norman Butler – in seguito noto come Muhammad A. Aziz – ricorda il figlio di Elijah Muhammad, noto a molti semplicemente come «Junior», dire in pubblico parole tipo: «Dovreste tagliare la lingua [di Malcolm], io ci metterò il timbro ‘Approvato’, e la spedirò a mio padre». Ma disse che queste erano solo «iperboli».

L’uomo col fucile

Dopo essere stato ritenuto colpevole dell’omicidio di Malcolm, Butler assunse William Kunstler, che pubblicizzò in televisione la deposizione giurata firmata da Hayer. Lo scopo del documento era di scagionare gli innocenti Butler e Johnson. Nella sua deposizione, Hayer nomina quattro uomini della moschea di Newark che si mossero con lui. Nei dettagli su come il crimine è stato pianificato ed eseguito, Hayer scrive che era «William» che «aveva il fucile», l’arma che aveva ucciso Malcolm. «Vuoi sapere chi ha ucciso Malcolm? – riassume Abdur-Rahman Muhammad – è stato l’uomo con il fucile». Secondo Hayer, quell’uomo si chiama William X. Quando i tribunali rigettarono la richiesta di Kunstler di riaprire il caso, Kunstler ha presentato una petizione al Congresso, ma senza risultato. Nella sua dichiarazione giurata, Hayer ha descritto William X come ventisettenne, di corporatura robusta, alto circa 1 metro e 80 «con carnagione scura e capelli corti». Membro della moschea di Newark e del Fruit of Islam, il suo cognome era Bradley.
Nel quinto dei sei episodi della serie, Muhammad dichiara che se Bradley è l’assassino, vuole affrontarlo faccia a faccia. Ma prima deve trovare il suo nome musulmano. In una discussione informale, ha un colpo di fortuna. Qualcuno gli dice con disinvoltura: Al-Mustafa Shabazz. Viaggia a Newark e incontra un gruppo di veterani di Newark che lo esortano a non evocare fantasmi. Si scopre che il coinvolgimento di Shabazz era un segreto di Pulcinella. Questa stessa consapevolezza, oltre al fatto che non è mai stato condannato, porta a sospetti di impunità, la condizione centrale sottostante la corruzione americana. Quella stessa impunità ha portato Shabazz, sotto il nome di Bradley, ad accumulare una lunga serie di precedenti penali: minacce terroriste, aggressioni sessuali, rapine a mano armata.
«Lascialo in pace, lascialo in pace, lascialo in pace – dice un membro della comunità – Perché probabilmente è protetto dallo stato». Molti a Newark sapevano chi era Shabazz e cosa si dice che avesse fatto nel 1965. In realtà, era così ben introdotto nella comunità di Newark da comparire nel video della campagna di rielezione del sindaco del 2010 di Cory Booker.
Il video si apre con Booker che dice agli elettori di Newark: «La violenza criminale sta aumentando nella nostra città. Ma insieme, Newark, abbiamo preso provvedimenti, aggiungendo 300 poliziotti nelle nostre strade». Quindi Bradley, alias Shabazz, nel video stringe la mano a un poliziotto. I registi fermano l’immagine e ingrandiscono il corpulento e sorridente Shabazz. «Questa è la prima volta che il mondo vede il volto dell’uomo che ha tolto la vita a Malcolm X», dichiara Abdur-Raman Muhammad. La voce fuori campo della campagna di Booker continua: «Stiamo rendendo Newark più sicuro e più forte. E insieme, Newark, ci stiamo riprendendo la nostra città».
Nella scena successiva, Dretzin è nell’ufficio di Booker. Ci sono molte interviste sconvolgenti nella docuserie, il che rende la visione avvincente. Questa è di sicuro la più scomoda e avvincente di tutti.
Dretzin: Conosci. . . William Bradley o Al-Mustafa Shabazz?
Booker: a Newark, da Newark?
Dretzin: Sì.
Booker: Sì.
Dretzin: Sai che lui. . .
Booker: [occhi scintillanti si chiedono dove voglia arrivare]
Dretzin:. . . è apparso nel video della tua campagna di rielezione del 2010?
Booker: [guarda in basso a sinistra]
Dretzin:. . . E che è una delle persone che presumibilmente hanno ucciso Malcolm X?
Booker: [gli occhi si spalancano, la testa si inclina verso l’alto, un lieve sorriso] Di questa connessione non ero consapevole. No.
Dretzin: Non ne eri a conoscenza?
Booker: Mi stai dando una notizia. È una delle persone che è presunta da chi?
[Dretzin gli dice che Hayer lo ha chiamato.]
Booker: Non ne ero a conoscenza.
Dretzin chiede a Booker se vuole vedere il video. Booker (la cui faccia dice di no) chiede: «Ce l’hai con te in questo momento?». Il laptop atterra sulle ginocchia di Booker; i suoi occhi sprizzano rabbia, la sua bocca sta sorridendo: la testa del suo capostaff rotolerà. Il video viene riprodotto e Dretzin indica Shabazz. «Sì – dice Booker – lo conosco bene. Lo conosco bene». Presto vanno avanti e indietro, Booker dice vagamente che dovremmo arrivare alla verità. Quando Dretzin usa la parola «assassino», o «potenziale assassino», Booker sussulta, si allontana dal tiro e aggiunge: «Per favore, continua a dire ‘potenziale‘».

Un padre solo sulla carta

Nell’episodio finale, Muhammad si chiede ad alta voce perché la narrazione dell’Fbi sull’omicidio differisca da quella ufficiale. Se sia Hayer che Butler insistono che Butler fosse innocente, perché gli è stato permesso di languire in prigione per due decenni? La ricerca di Muhammad su Al-Mustafa Shabazz/Bradley rileva che molteplici descrizioni, incluso il suo status di tenente nella moschea di Newark, corrispondono alle descrizioni dei testimoni oculari che l’Fbi aveva in archivio. Quindi esamina un memorandum interno dell’Fbi che avverte che Shabazz/Bradley si adatta alla descrizione dell’uomo col fucile ma che il suo nome «non dovrebbe essere fornito al Nycpd senza prima aver ricevuto l’autorizzazione dell’Ufficio di presidenza». Strano. Norman 3X Johnson, un uomo dalla pelle chiara proveniente da un’altra moschea, era già stato arrestato come colui che aveva premuto il grilletto. «Perché l’Fbi non dovrebbe informare immediatamente il dipartimento di polizia di New York City?» chiede Muhammad. Un altro documento fornisce una possibile risposta. Dice che «un tenente di Newark potrebbe essere stato coinvolto nell’uccisione di Malcolm [X]» e che il dipartimento di polizia di New York  «aveva. . . no. . . è stato informato dell’identità di questo [tenente] per il caso [Malcolm X]».
Mentre una giuria valutava l’innocenza o la colpevolezza di questi due uomini, che non corrispondevano alla descrizione dell’Fbi della persona con il fucile o altri nella sala da ballo di Audubon quel pomeriggio, per i quali non c’erano prove concrete, l’Fbi lo guardò. Una volta condannati questi innocenti, sembra che abbiano chiuso il fascicolo concludendo che si trattava di Bradley. Lo hanno fatto senza offrirsi di correggere il caso e si sono assicurati che chiunque tentasse di correggere il dossier avrebbe avvisato prima. Dopo due decenni di prigione, Johnson è morto nel 2009 senza che il suo nome sia mai stato rimosso. «Ti fa solo meravigliare – dice Muhammad – Bradley potrebbe essere stato un informatore al soldo dell’Fbi?»
Nel frattempo, Muhammad si prepara ad affrontarlo, sperando di «guardare l’uomo faccia a faccia, uomo a uomo [e chiedergli,]: ‘Come hai potuto farlo, come hai potuto farlo, come hai potuto farlo alla nostra gente?’». Ma durante la produzione viene a sapere che Bradley è morto. Con questa notizia, ammette di sentirsi depresso.
Forse per ricostruire l’energia della serie, il segmento finale fa di più per descrivere Muhammad. Incontriamo suo figlio, lo guardiamo recitare poesie e poi puntiamo alla biografia di Marable in cui appare l’importante lavoro di suo padre. Dalla voce fuori campo di Muhammad apprendiamo che gran parte della sua borsa di studio è «uscita di tasca mia». Se allo stato non interessa la verità su chi ha ucciso Malcolm X, in modo che gli statunitensi cinquantacinque anni dopo non lo sappiano, ciò sui media produce un effetto agghiacciante. Ma storie come questa, di volta in volta, sono troppo scottanti per essere raccontate, la vera storia non si può raccontare, è protetta come lo erano Shabazz e gli altri uomini che collaboravano con l’Fbi.
L’episodio finale fa anche di più per dare forma al personaggio di Butler. Barbuto, acerbo, con la paura di illudersi troppo, dice agli intervistatori che, grazie ai suoi due decenni di prigione, «Non conosco i miei nipoti e i miei pronipoti». Intrappolato in mezzo alle narrazioni, quella di un ex detenuto che dovrebbe pentirsi e guardare in modo ottimistico in avanti e quello di un uomo accusato ingiustamente, può impegnarsi solo in «chiacchiere» con i suoi figli, e si sente come «un padre solo sulla carta». Il segmento lo mostra mentre cerca i membri della sua famiglia su Facebook, dicendo: «Penso che questa sia mia nipote».
Muhammad, seduto accanto a lui su una panchina fuori, promette di depositare per lui un ricorso per ingiusta pena. Butler, ora Aziz, è riluttante a riaccendere la sua speranza. La sua esitazione nello sperare si sta muovendo. Il sottotesto è la crisi della mascolinità, che si sente nel primo episodio, quando Muhammad parla di essere perseguitato dalla polizia per aver frequentato chi vuole, e quindi essere attratto dalla «virilità» di Malcolm(l’attenzione della serie sugli uomini, con la quasi esclusione delle studiose delle donne, è stata criticata). La stessa ricerca di Malcolm per la dignità dei neri e l’autodeterminazione dei neri è stata ovviamente violata e sfigurata dalla sua morte come un avvertimento per questi uomini e alle loro famiglie.

I polmoni di Malcolm

La settimana prima che Malcolm tenesse il suo fatidico discorso all’Audubon Ballroom, a San Valentino, la sua casa era stata bruciata. Mentre riuscì a evacuare moglie e figli prima che la casa venisse divorata dalle fiamme, ci volle quasi un’ora perché la polizia arrivasse. «Rimasi in mutande nel mio vialetto con una pistola per 45 minuti», protestò. In cerca di denaro, senza vestiti o assicurazioni, e di fatto senza tetto, continuò il suo fitto programma di apparizioni a pagamento. La notte prima del suo discorso di Audubon, rimase allo Statler-Hilton dall’altra parte della strada rispetto a Penn Station. Il suo team di sicurezza, guidato dalla sua guardia del corpo personale, Eugene Roberts, avrebbe mantenuto la sua posizione di sorveglianza stretta. Dodici anni prima, lo scienziato militare Frank Olson era precipitato a morte dal tredicesimo piano dello Statler, in un omicidio giudicato un suicidio (Wormwood di Netflix, tuttavia, rivela che probabilmente era un omicidio della Cia). Alle 3 del mattino suonò il telefono della camera d’albergo di Malcolm. Quando rispose: silenzio. La sua posizione era nota a coloro che stavano dietro le minacce di morte? Tutti quelli che dovevano parlare con lui quel giorno cancellarono l’impegno all’ultimo minuto.
Quando gli hanno sparato, la sua guardia del corpo, Roberts, fracassò una sedia sulla schiena di uno degli assalitori, probabilmente Bradley, poi saltò sul palco e gli fece la rianimazione bocca a bocca. La serie mostra Gouza che aggrotta le sopracciglia, definisce Malcolm un «delinquente» e suggerisce che non era il caso che Roberts provasse a salvare la vita di Malcolm. Perché? Perché anche Roberts era un informatore del Nypd, lavorava sotto copertura per Bossi. L’obiettivo era penetrare nei dettagli di sicurezza di Malcolm e rendersi utile all’attivista. Fu scelto in parte perché non aveva legami familiari con il Nypd. Per Roberts saltare sul palco ed eseguire la rianimazione bocca a bocca era una violazione del protocollo di infiltrato per conto della polizia, suggerisce Breslin a Gouza. Tuttavia, per diversi minuti, Roberts continuò a respirare aria nei polmoni di Malcolm, cercando di salvarlo, finché non si rese conto che Malcolm non aveva pulsazioni e non poteva essere salvato.
Mentre la vedova di Malcolm continuava a cercare di salvargli la vita, la polizia era impegnata con l’unica persona catturata che era effettivamente coinvolta nella cospirazione per uccidere Malcolm X: Hayer. Sebbene si fossero fermati quando avrebbero dovuto sorvegliare l’ingresso – e l’oratore – non avrebbero potuto evitare di prendere Hayer, anche se avessero voluto, a causa della rissa in atto dopo che gli ammiratori di Malcolm avevano visto Hayer con una pistola. Ma mentre la polizia lotta con coloro che attaccano Hayer, il filmato mostra un sosia di Al-Mustafa Shabazz, il presunto assassino di Malcolm, che costeggia la folla.
Almeno nove informatori si sono ammassati nella sala da ballo di Audubon quella domenica pomeriggio. Malcolm ha fatto il suo giochetto anche quel giorno, cercando di indovinare chi tra il pubblico fosse un informatore? «Non credo che abbia capito che il suo socio più vicino – dice Bouza – stava lavorando per noi».

La grazia di Betty Shabazz

In uno straordinario documento sul tema, Chi ha ucciso Malcolm X? presenta una estenuante clip di Betty Shabazz intervistata dopo l’omicidio di suo marito. È il segmento più potente di filmati d’archivio della serie e sembra voyeuristico e cinico, anche dopo cinque decenni e mezzo. È stordita, traumatizzata, guarda in basso. Fuori dalla telecamera, con toni più miti, una batteria di giornalisti, tutti uomini, le sparano una raffica di domande ingenerose. Le domande sono riaffermazioni dei presunti sentimenti di superiorità razziale di Malcolm X, alcune insinuano che lui stesso abbia attirato la violenza. Vengono pronunciate delicatamente, quasi sussurrate, ma con violente sfumature. Impassibile nel rispondere, Shabazz sembra riluttante persino nell’indicare una risposta. Ricorda suo marito, che aveva rifiutato la protezione della polizia dopo l’incendio, dicendo:
I poliziotti in questo paese sono i responsabili della brutalità, i poliziotti stessi si sono resi colpevoli di violare i diritti delle persone. . . Quindi cosa devono fare le persone? Invitare gli stessi che li stanno vittimizzando per proteggerli? No, devono proteggersi.
Sbatte le palpebre, la bocca si divide brevemente. Uno dei giornalisti le chiede se sta per rispondere, ma resta in silenzio ancora un po’.
Immagina quando l’incontro di febbraio con Malcolm, dopo che la sua principale fonte di reddito, il suo lavoro ministeriale con la Nation of Islam era andato perduto, e l’Fbi bussa alla sua porta. Dov’è Betty quando suo marito li accoglie nella loro casa e questi lo invitano a fare la spia? Ora immaginate che quello stesso incontro si stia svolgendo con uno degli uomini di Elijah Muhammad, uno di quelli in fila per ereditare ciò che Malcolm ha aiutato a costruire. Immaginate che quell’uomo ammetta che gli agenti hanno suscitato la sua curiosità, ammettendo che, aiutando a tenere Malcolm fuori dalla Nation of Islam, saranno servite tutte le cause, quella della Noi, quella dell’Fbi e la sua personale. All’interno della cerchia interna di Elijah Muhammad composta da solo una mezza dozzina di persone, secondo la serie, c’era un altro informatore dell’Fbi.
Ora immagina Eugene Roberts, che entra segretamente nel recinto solo quando assolutamente necessario (come la mattina dopo l’omicidio di Malcolm), mentre gli viene consegnato un fascicolo sugli affari extraconiugali di Elijah Muhammad. Non lo consegna a Malcolm? Non è il suo lavoro? Malcolm inizia a fare domande, a intervistare queste donne e ragazze, proprio mentre il Messaggero gli sta dicendo di non essere troppo duro con il Lapd dopo aver ucciso il suo amico Ronald Stokes. Ciò complica l’idea che era semplicemente «la frattura» che è cresciuta naturalmente tra loro ad aver condotto all’omicidio di Malcolm? I venti dello stato di sorveglianza, di Cointelpro e dell’operazione in tandem della Cia Chaos, hanno fatto esplodere più materiale tossico, più veleno in fratture come queste al fine di negare a questi uomini rispettabilità, dignità. «Se il Nypd ha avuto un agente nell’Audubon quel giorno abbastanza vicino da fargli la respirazione bocca a bocca – conclude Abdur-Raman Muhammad – mi fa pensare a quanti altri infiltrati avessero e che nessuno conosce».
Mentre la raffica di domande ostili continua, l’appena vedova Betty Shabazz continua a guardare in basso in silenzio, fino a quando qualcosa lampeggia, come se improvvisamente si fosse ricordata di qualcosa. Alzando lo sguardo, dapprima dolcemente, pronuncia la sua prima frase in questa nuova fase della sua vita, conservando un’eredità e portandola avanti: «Penso che abbia fatto più di quanto si possa fare concretamente, in questo momento».
*Joel Whitney è l’autore di Finks: How the Cia Tricked the World Writers. Il suo lavoro è anche apparso su Newsweek, Poetry Magazine, New York Times, New Republic e altrove. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.

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