https://www.leretico.net
Dopo la lotta per la sovranità e la critica del capitalismo, il terzo punto per cui lottare per riavere una società di nuovo umana in cui al centro ci sia l’uomo e non il denaro è la “Decrescita”.
I media tradizionali e la politica ripetono questo mantra all’infinito: sono sempre più ossessionati dalla mancanza di crescita economica, in un’epoca in cui tutti siamo già ben oltre i limiti umanamente sostenibili e dove la qualità della vita è crollata,
trasformando il nostro libero arbitrio in un segno su un grafico
statistico. Dobbiamo rivoluzionare il nostro punto di vista iniziando
dal ripensare la nostra società non in termini di crescita, ma di decrescita, un
ritorno cioè ad un tempo in cui la felicità degli esseri umani non era
determinata dalla produttività ma dalla percezione di un benessere
psicofisico reale.
Come possiamo rendere questa utopia realizzabile e come possiamo fare
per riappropriarci della nostra felicità? Secondo gli studiosi di
questa nuova filosofia, dovremmo tutti impegnarci per una riduzione
volontaria e controllata della produzione e dei consumi, anche se questo
significa controvertere l’ordine e la natura economica moderna, la
quale sembra oggi non riconoscere il senso del limite intrinseco
all’ecosistema terrestre.
In un’epoca in cui la superficialità del “Gretismo”, anzi, del “Gretinismo”
cerca di scioccarci con degli slogan d’impatto e con manifestazioni
prive di contenuti, sempre evitando sistematicamente di individuare ed
indicare il vero responsabile del disastro ambientale, cioè la
moderna società basata sulla produttività e sul capitalismo, non
possiamo più mettere la testa sotto la sabbia fingendo di ignorare che
le risorse mondiali siano limitate e debbano servire per tutta l’umanità
ancora a lungo.
È ormai chiaro e lampante che perseguire ciecamente una crescita sregolata e fine a se stessa rappresenti un paradosso che ci condurrà all’autodistruzione.
Per il sistema neoliberista attuale basato sull’esasperazione
del concetto di produttività, la riduzione della produzione e dei
consumi è un’orrenda bestemmia, una catastrofe da evitare proibendone
anche la diffusione del pensiero. Per questo molte armi di distrazione di massa sono state utilizzate anche di questi tempi. Il più importante è quello dei Friday for Future
e tutti hanno un minimo comune multiplo: il rifiuto di penetrare nel
cuore del problema, non sforzandosi mai di andare al di là dei luoghi
comuni e soprattutto evitando sistematicamente l’individuazione dei veri
responsabili.
Eppure il modello attuale basato sul falso mito della crescita
ci sta proiettando in un girone infernale fatto di recessione e
disoccupazione, ed è in parte quello a cui stiamo assistendo in Italia
ed in altri paesi occidentali da almeno un decennio. Per i sostenitori
della decrescita, invece, solo un’uscita programmata e controllata dalla società dei consumi potrà
evitarci gli effetti sempre più rovinosi della crisi attuale e
consentirci di costruire una società nuova, alternativa e di prosperità
senza crescita, costituita cioè da persone che si sono sapute autoregolare riconoscendo i limiti dell’insostenibilità.
Giunti ormai nel secondo decennio del ventunesimo secolo, urge la necessità di ripensare l’economia
non più come fine a se stessa, ma alla soddisfazione delle necessità
delle persone e soprattutto alla loro felicità. Bisogna iniziare a
concepire il mondo con meno beni tangibili, meno scambi monetari e
finanziari, produzioni ecologicamente sostenibili, e più beni
relazionali, di scambio e di dono.
La decrescita non è quindi da bollare come un’eresia o una minaccia
alla stabilità economica della nostra società, ma come un rimedio, un anticorpo che ci aiuti ad espellere dal nostro organismo le tossine di una società malata.
Questa svolta è dettata per sua natura e conformazione verso un
nuovo, ma anche vecchio modello economico che rimetta al centro le
persone e loro relazioni; l’uomo e il rispetto della natura. Non più l’economia come professione di fede, ma un’economia in funzione di una vita sociale più umana.
Tutto ciò però non può prescindere da un radicale cambio di mentalità da parte nostra che deve nascere da una presa di coscienza personale del problema. In poche parole una rivoluzione culturale.
I maggiori detrattori della decrescita, che sono poi gli stessi pochi illuminati che
stanno concentrando verso se la maggior parte della ricchezza, per
impedire che questo concetto fecondi le menti delle persone per bene,
riconoscono la correttezza della critica sociale, ma nel contempo ne
denunciano la mancanza di concretezza politica, bollandola come
un’utopia, diffondendo sospetti e paure e adducendo che la sua
traduzione applicata alla realtà, possa diventare una catastrofe. Può
capitarci infatti di ritrovarci accusati di fascismo, comunismo o qualsiasi altro “ismo”, soltanto per aver provato ad introdurre un simile argomento.
Tuttavia esistono già molti progetti locali di decrescita, anche in
Italia: esempi di autoproduzione alimentare, autolimitazione nei consumi
e riciclo, riduzione dell’uso del denaro e creazione di reti di
relazioni e di scambio. Tutti esempi che si diffondono dal basso, creati
da movimenti e associazioni che si mettono in rete, sul territorio e
sul web per favorirne la condivisione. La decrescita, non è infatti un
modello unico e rigido, ma una serie di molteplici alternative da perseguire in contemporanea, tutte da inventare e realizzare. La prospettiva è rivoluzionaria, ma la strada per arrivarci è aperta alla creatività.
Resistere agli stili di consumo che abbiamo intorno e creare qualcosa di nuovo richiede motivazione e grande determinazione. Queste qualità o sensibilità vanno alimentate ogni giorno ad una fonte viva, fresca e credibile.
Come si fa allora a tradurre nella pratica personale e politica
questa bella utopia? Da dove si comincia? Dove si trova la forza?
Ripartire da noi stessi e dalla concezione del ritorno alle origini
può bastare per il momento. Se molte persone iniziassero a porsi questi
quesiti, prima o poi si incontrerebbero, i loro percorsi si
incrocerebbero, dialogherebbero e chissà, magari collaborerebbero per
costruire qualcosa di nuovo ed allo stesso tempo antico: una società in cui sono i valori umani ad essere al centro della scena, e non i numeri.
Chiudo con una video conferenza in cui i professori Latouche e Fusaro si confrontano sul tema della decrescita.
Nessun commento:
Posta un commento