domenica 19 luglio 2020

Giovanni Lindo Ferretti: "Viviamo un eterno presente che il virtuale scompone in infinite solitudini".

Intervista sulla "tabula rasa tecnologica” nella vita di ciascuno di noi, su fede in Dio e bestemmia, alterità dell'Islam e dolore per Santa Sofia; su destra e sinistra, Salvini e Berlinguer. E sulla vita sull'Appennino: "Eremita? Mi spiace, non lo sono".

Giovanni Lindo

Quest’intervista è cominciata male: “Le domande, a prima vorace occhiata, mi hanno innervosito. Rimuginavo mentre andavo alla stalla: fanculo giornalisti con i loro Salvini/Meloni e CCCP/CSI, c’è un libro e parla di cose ben più interessanti”. Da quando scrive più che cantare, Giovanni Lindo Ferretti vive appartato a Cerreto Alpi, sull’Appennino, un paese di un centinaio di persone in provincia di Reggio Emilia, dividendosi tra la casa, la Chiesa e i cavalli: “Non è una vita comoda. È una vita bella e ragionevole. Per qualcuno, anche doverosa. Continuo a stupirmi di come si possa pensare che la vita sia solo in città”.
Il suo ultimo libro si chiama “Non invano” (Mondadori) e racconta ciò che ha prodotto “la tabula rasa tecnologica” nella vita di ciascuno di noi, osservando la mutazione con le armi di un pensiero reazionario, cultura rara in un Paese che, avendo poca familiarità con la rivoluzione, ne ha ancora meno con chi la contrasta: “Dal punto di vista etimologico, anche la parola rivoluzione significa ritorno, ma non è l’etimologia a permettere di capirci oggi quando parliamo”.

Lo scandalo di Giovanni Lindo Ferretti è che nella vita precedente è stato il fondatore – insieme a Massimo Zamboni – del più originale gruppo punk che l’Italia abbia conosciuto, i CCCP, nonché della madre di tutte le band indipendenti, i CSI.
È stato un cantante ammirato fino alla devozione dalle parti della sinistra, finché l’incontro con i libri di Joseph Ratzinger lo ha portato a convertirsi al cristianesimo, a tornare alla vita e alla fede dei suoi nonni, cambiando strada, fino ad arrivare a votare per Matteo Salvini e a partecipare alla festa di Atreju, organizzata da Giorgia Meloni: “Nei CCCP e nei CSI c’era lo stesso Giovanni Lindo Ferretti di oggi, in altro tempo storico, in altra età anagrafica, in un contesto collettivo in cui gli altri erano altrettanto protagonisti. A ognuno la propria parte, più una quota fondamentale derivata dall’insieme e inscindibile”.

Perché nel suo libro se la prende tanto con il virtuale e l’innaturale?
Me lo continuo a chiedere anch’io. Sicuramente, perché qualcosa non mi torna.
Cosa c’è di più innaturale della resurrezione, a cui lei però crede?
La resurrezione non è innaturale, è la fine o il fine della natura e al di là sarà una realtà, conseguenza di un giudizio finale. Virtuale è l’immagine che noi ce ne facciamo nell’attesa dello svelamento. Che non sarà indolore.
Non dubita mai?
Ognuno sa delle proprie lacerazioni. Mi creda, la fede è pacificazione e tormento. Non c’è contraddizione. O meglio è una contraddizione fondante, irrisolvibile fino allo spirare.
Perché non ha fede nel mondo di oggi?
Esiste una realtà che necessita di ragione, deve fare i conti con la storia, con la geografia e l’astronomia, non può tralasciare la tradizione che riemergerebbe dove e quando meno te l’aspetti. Nessuno è a sé, c’è comunque un prima e ci sarà un poi. Questo è un problema del contemporaneo: un eterno presente che il virtuale, connettendo, scompone in infinite solitudini.
Non è per stare solo che vive quasi come un eremita?
Da anni mi scontro con questa parola: ‘Eremita’. Mi spiace, non lo sono. Apprezzo la solitudine, il silenzio, la vita in montagna, ma ho doveri familiari e sociali, impegni che non posso tralasciare né dimenticare. E poi non posseggo la necessaria forza di volontà. Se la parola eremita non avesse una connotazione religiosa, ma si limitasse a indicare una sostanziale asocialità, un rifiuto della materialità del vivere, si potrebbe dire che gli eremiti sono una categoria sociale in crescita, anche se non cercano più luoghi remoti, inaccessibili, si accontentano di scomparire nell’anonimato di massa.
È compatibile questo sistema con l’uomo?
Che sia compatibile non c’è dubbio, lo è nei fatti da lungo tempo. Per molti versi il capitalismo è anche conveniente, che sia l’unico destino possibile resta controverso. Certo, se l’alternativa è il comunismo risulterà eterno.
Lei diffida della scienza?
Come ci si può appellare agli scienziati come fossero un unicum radioso e puro, scevro da interessi di ogni genere? Chi crede nella scienza crede innanzitutto in se stesso, ma è soggetto a forze che comunque lo sovrastano, fossero anche solo quelle economiche. Resta una realtà tutt’intorno, oltremodo complessa, che non può evitarsi il problema del male. Il male esiste. Non è riducibile ad avversario politico-sociale e la superstizione non è il contrario della scienza, ma il suo lato oscuro.
Crede davvero che la patria salvi?
La salvezza terrena sta nell’ordine dell’umano. È una tensione, un perseguirla scomponendola nelle diverse dimensioni: la propria salvezza fisica, quella dei propri cari, della propria comunità, in un crescendo sociale. Le patrie non possono garantirla ma almeno sapevano di doverla promettere. In un ordine storico-geografico sono un necessario limite al disordine ben più grave determinato dalla loro assenza. Un po’ come la famiglia: incubatore di ogni male possibile, ma la sua scomparsa, così perorata, non migliorerà l’uomo. Al contrario, lo priverà della sua prima e ultima risorsa. In fondo, io credo che chi è sradicato, sradica.
Eppure i mongoli, che lei ama, sono nomadi e non hanno sradicato nulla.
I nomadi, al di là del gruppo musicale che decisamente non li rappresenta, sono l’immagine stessa del radicamento sulla terra che non è fatto solo di muri, oggi così disprezzati, eppure così utili, spesso indispensabili. Ragion d’essere dei nomadi sono le mandrie, l’allevamento del bestiame, la pastorizia, i pascoli. Questa la loro radice, sradicarli è farne cittadini stanziali.
Un suo verso dice: “L’amore non si canta, è un canto di per sé”. Vale anche per Dio?
L’amore lo cantano tutti continuamente, siamo da tempo nello stucchevole melenso con incursioni trash e qualcuno deve dire: ‘No, grazie’. È un problema d’eccesso. Non mi pare si possa dire altrettanto di Dio.
Si può pregare bestemmiando?
Ci sta, in determinate situazioni, ma bisogna amare molto l’uomo e confidare nella Misericordia. Io confido ma non amo così tanto.
Quando l’ha fatto?
Negli anni della mia adolescenza, nello strappo familiare, la bestemmia è stata la rivendicazione del mio esserci infliggendo il massimo dolore possibile a mia madre, la sua punizione, poi è diventato un intercalare funzionale all’essere ben accetto in società. Ho smesso di colpo, in un giorno qualunque della giovinezza molto prima del ritorno, con qualche ricaduta involontaria dovuta all’abitudine. Ne provo ancora vergogna.
Trent’anni fa scrisse Aghia sophia, oggi Santa Sofia è tornata Moschea.
Ne sono addolorato, un dolore antico che non avrà mai fine, oggi riattizzato come fuoco sotto la cenere. Aghia Sophia è lì a ricordare ai cristiani le proprie indelebili colpe, e qualche antica e preziosa virtù estetica, e suggella l’alterità dell’Islam.
Perché usa il termine ‘liberale’ con sarcasmo?
Penso all’Internazionale che doveva esser comunista e si ritrova liberale. E i nipotini tutti contenti, neanche fosse la loro veste battesimale.
Non sono stati contenti quanto Salvini si è paragonato a Berlinguer.
Non sono preda dell’ossessione Salvini, neanche quella positiva, gli riconosco meriti, per lo più quelli che i suoi odiatori gli imputano come colpe, ma non mi è ben chiaro cosa intende farne, con quali mezzi. Al momento siamo tornati nel regno degli influencers non proprio il mio interesse.
Ma lei vede un rapporto tra Salvini e Berlinguer?
Ai tempi di Berlinguer ero un estremista extraparlamentare e non ne subivo il fascino. Salvini dovrà trovarle, le affinità e le divergenze con il compagno Berlinguer. Al momento, fa fede il risultato delle ultime elezioni. Basta guardare come si sono posizionati i voti della Lega e quelli del PD per capirlo. L’eredità di Berlinguer è stata dilapidata dai suoi esecutori testamentari. Gli aventi diritto, anziché appellarsi all’ideologia, hanno preferito altro.
C’è una cosa che la destra italiana non capirà mai di lei?
So cos’è la sinistra italiana, nessuna intenzione di demonizzarla, e come potrei: ’Gronda bontà da tutti i pori”, diceva Berselli, e gode della benevolenza della CEI. Conosco ben di peggio sulla terra e la maggior parte dei miei amici, conoscenti e familiari sono di sinistra. Io no, non più, appurato e reso noto.
E la destra?
Non so cosa sia la destra italiana, mi accontento di quello che non è, adesso. Mi accontento di poco e non do troppo valore alla politica: sempre più un luogo dell’apparire e sempre meno del poter decidere e saper fare. Decide la finanza, fa l’economia, la politica presenzia e certifica e si rimpalla sui social. Felicitazioni

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