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Ogni giorno politici, giornalisti e professori provano a convincerci che non vi sarebbe alcuna condizionalità, mentre abbiamo avuto modo di mostrare come il meccanismo del MES sia interamente subordinato all’applicazione delle rigide politiche di austerità che hanno messo in ginocchio l’intera periferia europea. Accettando quei soldi, un Paese si condanna ad una nuova stagione di politiche lacrime e sangue, tagli alla spesa ed aumenti delle tasse che ricadono interamente sulle spalle di lavoratori, precari e disoccupati.
Per provare ad eludere questo tema
evidentemente problematico, gli epigoni dell’europeismo di casa nostra
sono soliti ricorrere ad un espediente argomentativo basato
sostanzialmente su una menzogna: grazie al MES, pioverebbero sull’Italia
soldi aggiuntivi, risorse in più con le quali finanziare ulteriori
spese rispetto a quelle che ci possiamo permettere allo stato attuale.
La principale esca usata nel dibattito per trascinare l’Italia nella
trappola del MES è, infatti, l’accorato appello ad accettare quel
prestito perché sarebbe destinato a finanziare spese sanitarie
necessarie ad affrontare le drammatiche conseguenze della pandemia. Ci
viene suggerito in maniera sibillina: quei soldi ci servono – pochi,
maledetti e subito – per curare i nostri malati, per combattere
l’epidemia! Questo messaggio è stato espresso chiaramente durante la
trasmissione In Onda del 29 giugno scorso.
Prima il giornalista Giannini ha fatto notare che il prestito riservato
all’Italia dal MES, pari a circa 37 miliardi, equivarrebbe esattamente
ai tagli inferti alla sanità negli ultimi dieci anni
(Giannini ovviamente dimentica di raccontarci che i tagli inferti alla
sanità non sono piovuti dal cielo, ma sono stati applicati in maniera
indistinta da tutti i Governi che si sono succeduti, dietro calde
raccomandazioni delle stesse istituzioni europee che adesso dovrebbero
salvarci con la loro generosità. Ma questa è un’altra storia); poi
l’economista De Romanis ha affermato che il ricorso al MES consentirebbe
di ridurre la probabilità di una seconda ondata. Entrambi gli
interventi alludono al fatto che quei 37 miliardi sarebbero una spesa
sanitaria aggiuntiva: per Giannini utile a restituire
alla sanità quello che gli era stato tolto negli anni passati, per De
Romanis utile a rafforzare il sistema sanitario e dunque a scongiurare
un nuovo lockdown. Ma comunque, suggeriscono i due, si tratterebbe di nuova spesa
sanitaria possibile solo accettando il prestito del MES. Vale dunque la
pena di chiarire questo punto, e di sfatare l’ennesimo mito legato al
MES.
Facciamo un passo indietro e proviamo a
capire come il MES si inserisca nel normale funzionamento dell’economia.
Quando lo Stato spende, ad esempio per finanziare il servizio sanitario
nazionale, può prendere i soldi necessari essenzialmente da due fonti:
dagli introiti della tassazione, oppure ricorrendo ad un prestito. Nel
primo caso, la spesa è finanziata in pareggio mentre nel secondo caso
alimenta la crescita del debito pubblico. Il MES interviene proprio in
questo caso: quando lo Stato vuole indebitarsi, può farlo emettendo
normali titoli di Stato sui mercati finanziari (BTP, BOT e altre
tipologie) oppure ricorrendo alla linea di credito offerta dal MES.
Dunque, il MES fornisce una fonte di finanziamento della spesa in
disavanzo alternativa rispetto ai comuni titoli di Stato, che vengono
sottoscritti ogni settimana da banche private e piccoli risparmiatori.
Questo quadro della situazione è utile a distinguere due momenti fondamentali: il momento in cui si decide quanto spendere in deficit, ed il momento in cui si decide come finanziare
le spese in deficit, cioè dove indebitarsi, dove andare a prendere in
prestito i soldi. Il MES ha a che fare solo ed esclusivamente con il
secondo momento: si tratta infatti di una fonte di finanziamento del
debito pubblico. Per l’Italia, il pregio del MES sta tutto nel fatto che
esso rappresenta una fonte di finanziamento meno costosa dei normali
titoli di Stato: banche e risparmiatori chiedono oggi all’Italia un
tasso dell’interesse dell’1,2% circa sui BTP decennali, mentre il MES
concederebbe al nostro Paese un prestito allo 0,13%. Ciò significa che
il ricorso al MES consentirebbe all’Italia di risparmiare poco meno di 400 milioni di euro di interessi sul debito pubblico ogni anno,
un valore che si ottiene applicando il differenziale tra i due tassi di
interesse ai 37 miliardi disponibili per il nostro Paese. Si tratta, a
tutti gli effetti, di una cifra irrisoria, se confrontata con i circa 70
miliardi di euro di interessi pagati ogni anno dall’Italia sul proprio
debito pubblico. Se poi mettiamo sull’altro piatto della bilancia il
vero costo del MES, cioè quella disciplina di bilancio imposta dalla condizionalità
che precluderebbe all’Italia qualsiasi scostamento significativo dal
percorso di tagli e aumenti delle tasse, il confronto diventa impietoso.
In parole povere, finanziarsi col MES significa “guadagnare” poche
centinaia di milioni di euro da un lato e, dall’altro, legarsi mani e
piedi al rispetto, fino all’ultima virgola, dell’austerità imposta dai
vincoli dell’Unione Europea, senza neanche più i margini di
contrattazione politica che consentono ad un Paese membro di strappare
ogni anno qualche miliardo di deficit in più. Ma mettiamo da parte il
discorso sulla condizionalità e torniamo al nostro ragionamento: a
questo punto dovrebbe essere evidente che non c’è alcun legame tra il
ricorso al MES e la possibilità di effettuare spese sanitarie
aggiuntive.
Le risorse prestate dal MES
nell’emergenza da Covid-19 devono essere impiegate per finanziare spese
sanitarie. Da qui l’equivoco. Spese sanitarie, non nuove spese sanitarie:
il MES può essere impiegato per finanziare 37 degli oltre 100 miliardi
di euro che l’Italia già spende in ambito sanitario. Perché il MES è
semplicemente una fonte di finanziamento della spesa in deficit, mentre
la scelta di quanta spesa in deficit (e dunque anche di quanta
spesa sanitaria in deficit) effettuare è una scelta politica del tutto
indipendente. E cosa ha in mente il Governo? Per nostra fortuna,
incalzato da Giannini e De Romanis, la risposta ce l’ha fornita
direttamente il Ministro dell’Economia e delle Finanze. Prima Gualtieri
ha fatto cenno alla distinzione che abbiamo illustrato:
Il MES è comunque debito e deficit, quindi comunque se sono spese aggiuntive bisogna fare uno scostamento; se ci si pagano le fatture delle spese già fatte, invece, è solo un’altra forma di funding. Quindi non è che sono in alternativa: lo scostamento o il MES. Il problema è esattamente il tasso di interesse.
Qui il Ministro vuole dire che il MES non
fornisce risorse aggiuntive rispetto alla spesa in deficit, ma è esso
stesso fonte di finanziamento di spesa in deficit: si tratta
della distinzione tra la scelta di quanto spendere e la scelta di come
indebitarsi su cui ci siamo soffermati. Poi Gualtieri conclude:
Vorrei chiarire che il MES non serve a fare spesa pubblica aggiuntiva. Cioè, lo si può anche fare ma comunque fa debito. Noi queste cose sulla sanità che lei diceva le stiamo facendo, giustamente, abbiamo stanziato molti miliardi nei precedenti decreti esattamente per fare queste cose; ora abbiamo l’opportunità di avere un tasso di interesse più basso sull’indebitamento con cui stiamo finanziando queste cose.
Senza dunque doverci sforzare di
interpretare le intenzioni del Governo, abbiamo il Ministro
dell’Economia che spiega candidamente che l’Italia ha già speso quello
che doveva spendere in sanità: la partita del MES determina solo ed
esclusivamente il costo di quella spesa in deficit. Con i soldi
del MES il governo pagherebbe una quota dell’attuale spesa sanitaria
(“ci si pagano le fatture delle spese già fatte”, dice Gualtieri).
Dunque nessuna nuova spesa sanitaria, nessun rafforzamento del sistema
sanitario nazionale, nessuna misura ulteriore di contrasto all’epidemia.
Al contrario, in virtù del vincolo della
condizionalità, il ricorso al MES non potrà che comportare domani
ulteriori riduzioni di tutti i servizi pubblici, inclusa la sanità. In
ultima istanza, l’esca retorica delle spese sanitarie associate al MES
serve solamente a trascinare l’Italia nella trappola dell’austerità, riducendo ai minimi termini gli spazi politici per restituire diritti e dignità allo stato sociale e ai lavoratori.
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