domenica 12 luglio 2020

Con il MES, non un euro in più per la sanità: parola del Ministro Gualtieri

L’aspetto più controverso del dibattito sul MES, l’istituzione europea che offre prestiti agli Stati in difficoltà, è il tema della condizionalità. 

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Ogni giorno politici, giornalisti e professori provano a convincerci che non vi sarebbe alcuna condizionalità, mentre abbiamo avuto modo di mostrare come il meccanismo del MES sia interamente subordinato all’applicazione delle rigide politiche di austerità che hanno messo in ginocchio l’intera periferia europea. Accettando quei soldi, un Paese si condanna ad una nuova stagione di politiche lacrime e sangue, tagli alla spesa ed aumenti delle tasse che ricadono interamente sulle spalle di lavoratori, precari e disoccupati.

Per provare ad eludere questo tema evidentemente problematico, gli epigoni dell’europeismo di casa nostra sono soliti ricorrere ad un espediente argomentativo basato sostanzialmente su una menzogna: grazie al MES, pioverebbero sull’Italia soldi aggiuntivi, risorse in più con le quali finanziare ulteriori spese rispetto a quelle che ci possiamo permettere allo stato attuale. La principale esca usata nel dibattito per trascinare l’Italia nella trappola del MES è, infatti, l’accorato appello ad accettare quel prestito perché sarebbe destinato a finanziare spese sanitarie necessarie ad affrontare le drammatiche conseguenze della pandemia. Ci viene suggerito in maniera sibillina: quei soldi ci servono – pochi, maledetti e subito – per curare i nostri malati, per combattere l’epidemia! Questo messaggio è stato espresso chiaramente durante la trasmissione In Onda del 29 giugno scorso. Prima il giornalista Giannini ha fatto notare che il prestito riservato all’Italia dal MES, pari a circa 37 miliardi, equivarrebbe esattamente ai tagli inferti alla sanità negli ultimi dieci anni (Giannini ovviamente dimentica di raccontarci che i tagli inferti alla sanità non sono piovuti dal cielo, ma sono stati applicati in maniera indistinta da tutti i Governi che si sono succeduti, dietro calde raccomandazioni delle stesse istituzioni europee che adesso dovrebbero salvarci con la loro generosità. Ma questa è un’altra storia); poi l’economista De Romanis ha affermato che il ricorso al MES consentirebbe di ridurre la probabilità di una seconda ondata. Entrambi gli interventi alludono al fatto che quei 37 miliardi sarebbero una spesa sanitaria aggiuntiva: per Giannini utile a restituire alla sanità quello che gli era stato tolto negli anni passati, per De Romanis utile a rafforzare il sistema sanitario e dunque a scongiurare un nuovo lockdown. Ma comunque, suggeriscono i due, si tratterebbe di nuova spesa sanitaria possibile solo accettando il prestito del MES. Vale dunque la pena di chiarire questo punto, e di sfatare l’ennesimo mito legato al MES.
Facciamo un passo indietro e proviamo a capire come il MES si inserisca nel normale funzionamento dell’economia. Quando lo Stato spende, ad esempio per finanziare il servizio sanitario nazionale, può prendere i soldi necessari essenzialmente da due fonti: dagli introiti della tassazione, oppure ricorrendo ad un prestito. Nel primo caso, la spesa è finanziata in pareggio mentre nel secondo caso alimenta la crescita del debito pubblico. Il MES interviene proprio in questo caso: quando lo Stato vuole indebitarsi, può farlo emettendo normali titoli di Stato sui mercati finanziari (BTP, BOT e altre tipologie) oppure ricorrendo alla linea di credito offerta dal MES. Dunque, il MES fornisce una fonte di finanziamento della spesa in disavanzo alternativa rispetto ai comuni titoli di Stato, che vengono sottoscritti ogni settimana da banche private e piccoli risparmiatori.
Questo quadro della situazione è utile a distinguere due momenti fondamentali: il momento in cui si decide quanto spendere in deficit, ed il momento in cui si decide come finanziare le spese in deficit, cioè dove indebitarsi, dove andare a prendere in prestito i soldi. Il MES ha a che fare solo ed esclusivamente con il secondo momento: si tratta infatti di una fonte di finanziamento del debito pubblico. Per l’Italia, il pregio del MES sta tutto nel fatto che esso rappresenta una fonte di finanziamento meno costosa dei normali titoli di Stato: banche e risparmiatori chiedono oggi all’Italia un tasso dell’interesse dell’1,2% circa sui BTP decennali, mentre il MES concederebbe al nostro Paese un prestito allo 0,13%. Ciò significa che il ricorso al MES consentirebbe all’Italia di risparmiare poco meno di 400 milioni di euro di interessi sul debito pubblico ogni anno, un valore che si ottiene applicando il differenziale tra i due tassi di interesse ai 37 miliardi disponibili per il nostro Paese. Si tratta, a tutti gli effetti, di una cifra irrisoria, se confrontata con i circa 70 miliardi di euro di interessi pagati ogni anno dall’Italia sul proprio debito pubblico. Se poi mettiamo sull’altro piatto della bilancia il vero costo del MES, cioè quella disciplina di bilancio imposta dalla condizionalità che precluderebbe all’Italia qualsiasi scostamento significativo dal percorso di tagli e aumenti delle tasse, il confronto diventa impietoso. In parole povere, finanziarsi col MES significa “guadagnare” poche centinaia di milioni di euro da un lato e, dall’altro, legarsi mani e piedi al rispetto, fino all’ultima virgola, dell’austerità imposta dai vincoli dell’Unione Europea, senza neanche più i margini di contrattazione politica che consentono ad un Paese membro di strappare ogni anno qualche miliardo di deficit in più. Ma mettiamo da parte il discorso sulla condizionalità e torniamo al nostro ragionamento: a questo punto dovrebbe essere evidente che non c’è alcun legame tra il ricorso al MES e la possibilità di effettuare spese sanitarie aggiuntive.
Le risorse prestate dal MES nell’emergenza da Covid-19 devono essere impiegate per finanziare spese sanitarie. Da qui l’equivoco. Spese sanitarie, non nuove spese sanitarie: il MES può essere impiegato per finanziare 37 degli oltre 100 miliardi di euro che l’Italia già spende in ambito sanitario. Perché il MES è semplicemente una fonte di finanziamento della spesa in deficit, mentre la scelta di quanta spesa in deficit (e dunque anche di quanta spesa sanitaria in deficit) effettuare è una scelta politica del tutto indipendente. E cosa ha in mente il Governo? Per nostra fortuna, incalzato da Giannini e De Romanis, la risposta ce l’ha fornita direttamente il Ministro dell’Economia e delle Finanze. Prima Gualtieri ha fatto cenno alla distinzione che abbiamo illustrato:
Il MES è comunque debito e deficit, quindi comunque se sono spese aggiuntive bisogna fare uno scostamento; se ci si pagano le fatture delle spese già fatte, invece, è solo un’altra forma di funding. Quindi non è che sono in alternativa: lo scostamento o il MES. Il problema è esattamente il tasso di interesse.
Qui il Ministro vuole dire che il MES non fornisce risorse aggiuntive rispetto alla spesa in deficit, ma è esso stesso fonte di finanziamento di spesa in deficit: si tratta della distinzione tra la scelta di quanto spendere e la scelta di come indebitarsi su cui ci siamo soffermati. Poi Gualtieri conclude:
Vorrei chiarire che il MES non serve a fare spesa pubblica aggiuntiva. Cioè, lo si può anche fare ma comunque fa debito. Noi queste cose sulla sanità che lei diceva le stiamo facendo, giustamente, abbiamo stanziato molti miliardi nei precedenti decreti esattamente per fare queste cose; ora abbiamo l’opportunità di avere un tasso di interesse più basso sull’indebitamento con cui stiamo finanziando queste cose.
Senza dunque doverci sforzare di interpretare le intenzioni del Governo, abbiamo il Ministro dell’Economia che spiega candidamente che l’Italia ha già speso quello che doveva spendere in sanità: la partita del MES determina solo ed esclusivamente il costo di quella spesa in deficit. Con i soldi del MES il governo pagherebbe una quota dell’attuale spesa sanitaria (“ci si pagano le fatture delle spese già fatte”, dice Gualtieri). Dunque nessuna nuova spesa sanitaria, nessun rafforzamento del sistema sanitario nazionale, nessuna misura ulteriore di contrasto all’epidemia.
Al contrario, in virtù del vincolo della condizionalità, il ricorso al MES non potrà che comportare domani ulteriori riduzioni di tutti i servizi pubblici, inclusa la sanità. In ultima istanza, l’esca retorica delle spese sanitarie associate al MES serve solamente a trascinare l’Italia nella trappola dell’austerità, riducendo ai minimi termini gli spazi politici per restituire diritti e dignità allo stato sociale e ai lavoratori.

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