Tra questi Paolo Storari, ex
dirigente del Gruppo San Donato – che conta 18 ospedali privati, tra i
quali il San Raffaele di Milano – e alcuni manager di cinque grandi case farmaceutiche: Mylan, Abbvie, Novartis, Eli Lilly Italia e Bayer.
Tra gli indagati, anche l’attuale presidente di Snam, Nicola Bedin, già dirigente del Gruppo San Donato e l’ex capo dell’ufficio acquisti del S. Raffaele.
L’accusa
è di aver truffato la regione Lombardia per una cifra totale di più di
10 milioni di euro con un imbroglio abbastanza semplice: gli ospedali
acquistavano farmaci dalle aziende a prezzo scontato (dal 2 al 20%) ma
al momento di chiedere il rimborso alla Regione dichiaravano di averli
pagati a prezzo pieno.
Ma non basta, poiché sembra che il gruppo facesse acquisti molto superiori alla necessità. “per raggiungere gli obiettivi da cui dipendono le note di credito e non in base alle reali esigenze cliniche” facendo scorte sovradimensionate solo a tal fine. Dove finissero i medicinali in eccesso non è dato sapere, per il momento.
Va detto che dopo l’apertura dell’inchiesta, nel dicembre 2019, il Gruppo San Donato rimborsò 10 milioni di euro alla Regione, «anche per ricostituire un rapporto di correttezza con l’istituzione», come dichiarò l’avvocato del gruppo.
Una
fiducia che tuttavia non sembra facile da concedere poiché il Gruppo
San Donato non pubblica in toto, o solo parzialmente, se si eccettuano
il Policlinico San Donato e il San Raffaele, i bilanci delle sue
strutture. Un fatto largamente condiviso dalle complessive 789 aziende
private accreditate che gestiscono il 40% della sanità lombarda.
Tutto
ciò in aperta violazione delle norme che impongono trasparenza e
pubblicità su come sono utilizzati i fondi pubblici che tali strutture
sanitarie ricevono dalla Regione. In pratica, denaro pubblico
inghiottito dai privati e, ancora più grave, approfittando dell’assenza
di controlli da parte della Regione.
Di
fronte a tutto ciò appare ancora più grave e sospetta la nomina nel
Consiglio d’amministrazione del gruppo San Donato di Roberto Maroni, ex
presidente della Lombardia, avvenuta pochi giorni fa. Dato che la truffa di cui scriviamo avvenne tra il 2013 e il 2018, quando Maroni era presidente della Regione, è
lecito chiedersi come un truffato possa accettare di sedersi, da
amministratore, al tavolo con i suoi truffatori che dovrebbe, piuttosto,
denunciare.
Sempre
sul fronte giudiziario, segnaliamo che la Magistratura di Milano ha
aperto un’inchiesta, per ora senza indagati, sulla discussa vicenda
riguardante la fornitura di camici e calzari medici per un totale di
500.000 euro alla Regione da parte di una ditta di proprietà del cognato
e della moglie del presidente Fontana.
Fornitura avvenuta senza concorso pubblico, per cui la ditta in questione emise regolare fattura alla Regione
che tuttavia, dopo che lo scandalo fu denunciato, venne annullata. Una
storia tutta da chiarire per la quale l’ipotesi di reato è di turbativa
d’asta.
Mentre
dilagano gli scandali, la pessima gestione dell’epidemia da parte della
giunta lombarda emerge soprattutto dal numero dei contagi che si
continuano a registrare in regione, costantemente attestato a circa a
circa il 50% delle infezioni di tutta Italia. Una cifra inquietante che
tuttavia è difficile da valutare epidemiologicamente a causa del modo
assolutamente poco trasparente con cui i dati sono forniti.
Infatti
la Regione continua a fornire numeri assoluti sui contagi e sui
decessi, senza precisare se tali dati si riferiscono a tamponi
effettuati su malati pregressi che non avevano ottenuto questo esame,
dopo attese anche di mesi, oppure su nuovi casi sospetti.
Tali
dati quindi non permettono di comprendere se si è in presenza di uno
strascico di quanto accaduto nei mesi scorsi oppure, e sarebbe
preoccupante, di nuovi contagi. Una mancanza di chiarezza e
d’informazione che accompagna l’evidente incapacità dell’amministrazione
regionale a dominare l’epidemia.
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