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mercoledì 18 gennaio 2017
Il confronto col populismo secondo Slavoj Zizek
collettivo militant
Scrive Zizek, ieri sul Corriere della Sera: “Donald Trump è un sintomo di Hillary Clinton, nel senso che l’incapacità del partito democratico di svoltare a sinistra ha creato lo spazio occupato da Trump”. E’ una verità generale, riproducibile negli Usa come in Europa: l’affermazione delle forze populiste non è avvenuta “a scapito” delle sinistre, ma per mano di queste, del loro fallimento, delle macerie che hanno lasciato nella rappresentanza degli interessi popolari.
Il dilemma Donald Trump (dei Donald Trump di tutto il mondo, da Le Pen a Grillo) si risolve non accanendosi contro il sintomo, ma svelandone le cause. Ancora Zizek: “Trump promette negli Usa quel che nessuno, a sinistra, si sognerebbe di proporre: mille miliardi di dollari di grandi lavori pubblici per aumentare l’impiego”. Ancora una verità generalizzabile: è il populismo che promette resistenza alla globalizzazione liberista. Cosa promettono le sinistre, che Zizek limita a quelle “moderate” e “liberali”, ma che noi estendiamo anche a gran parte di quelle radicali? Promettono accomodamento progressista ai fenomeni globalizzanti: dall’Unione europea all’abbattimento di ogni forma di frontiera, dal dissolvimento degli Stati nazionali all’Erasmus per tutti. Prosegue il filosofo sloveno: “La sinistra liberale ufficiale è la migliore esecutrice delle politiche di austerità, anche se conserva il suo carattere progressista nelle nuove lotte sociali antirazziste e antisessiste; dall’altra parte, la destra conservatrice, religiosa e anti-immigrazione è l’unica forza politica a proporre ingenti trasferimenti sociali e a sostenere seriamente i lavoratori […] Per fare un minimo di politica di sinistra, per lo meno in un senso tradizionale, bisogna essere nazionalisti di destra, e per perseguire le politiche di austerità bisogna essere moderati di sinistra”. Il ghigno dell’élite intellettuale, giornalistica, politica, universitaria, che bacchetta dai propri troni culturali quel popolo rozzo che escogita false soluzioni di destra ai propri problemi sociali, talvolta addirittura negati (“sono i contadini ricchi e bifolchi che hanno votato per la Brexit”, “è il suprematista bianco che vota per Trump”), non fa che rafforzare il giudizio (che non è un pre-giudizio, ma un vero e proprio giudizio post-festum) di quel popolo sulla sinistra, intesa nel suo complesso. “Proprio poiché la recente esplosione del populismo di destra è il sintomo del fallimento della sinistra liberale odierna, il nostro compito non può limitarsi a combattere Trump e Le Pen. Se lo facessimo, perseguiremmo quella che in medicina si chiama “remissione sintomatica”: sei ammalato, l’effetto è che provi dolore, prendi gli antidolorifici ma la malattia è sempre lì. Le critiche a Trump non sono che cure sintomatiche: il vero compito è analizzare che cosa non ha funzionato nella sinistra moderata e liberale”. Troppo facile cavarsela con la condanna di quelle sinistre à la Pd. Il problema è in noi, non fuori da noi. Sono le sequela di posizioni falsamente progressiste prodotte in questi decenni: da un cosmopolitismo di maniera in linea con la globalizzazione, alle proposte sociali che aggiravano la contraddizione tra capitale e lavoro, da una “controcultura” che si è trasformata in sotto-cultura e in vera e propria anti-cultura per élite benestanti, all’assenza di prospettive generali. “Abbiamo bisogno di superare l’ossessione della sinistra per l’autorganizzazione locale e la relazione diretta con la base in direzione di una più efficiente e ampia organizzazione a livello statale e sovrastatale”. Serve una prospettiva generale, delle soluzioni globali, una visione complessiva e unitaria del presente, che disarticoli il localismo minoritario, l’ideologia del “quartierismo” entro cui vengono percepiti i problemi del mondo e da cui se ne pensano incredibili soluzioni.
Zizek è quanto di più lontano possa esserci dal nostro pensiero. Non a caso le soluzioni che prospetta alla fine di questo ragionamento ribadiscono i motivi della reciproca differenza, ricadono in quel velleitarismo progressista in fin dei conti innocuo perché incomprensibile alle masse. Per anni è stato uno dei pensatori più citati da certo pensiero radical. Forse proprio per questo, certe sue riflessioni possono raggiungere più profondità nel dibattito nella sinistra radicale. O forse no, ritrovandosi relegato tra il pensiero rossobruno e quello sovranista entro cui si suole confinare ogni forma di pensiero non in linea coi dettami del progressismo radical. Eppure la riflessione sul populismo non potrà limitarsi alla denuncia della sinistra liberal. Dovrà, prima o poi, fare i conti con la nostra sinistra, che condivide parte del problema della nascita di questo fenomeno politico.
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