Foto di Patrizia Cortellessa
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1) La globalizzazione liberista in questi anni è sembrata diventare un dato della natura. Il mondo è così e non ci sono alternative. Anche la contestazione Noglobal di quindici venti anni fa pareva sconfitta. Così alla fine le élites hanno potuto diffondere la loro narrazione, che giustificava ogni distruzione di diritti sociali e del lavoro nel nome della competizione nella economia globale. E anche una parte di chi contestava le ingiustizie sociali e le devastazioni ambientali conseguenti finiva per accettare l'ineluttabilità della globalizzazione, per ammirarla persino in alcuni casi.
Invece la globalizzazione è entrata in crisi. Non come volevamo e speravamo, ma è comunque entrata in crisi e oggi i suoi apologeti appaiono improvvisamente vecchi nostalgici dell'ancièn regime..
La ragione economica della crisi della globalizzazione sta nell'incepparsi del suo stesso meccanismo di fondo: il corrispondere della crescita vorticosa della ricchezza finanziaria con alti ritmi di sviluppo trainati dalla Cina, dall'India e dai paesi emergenti. Si è così inceppato il meccanismo di compensazione sociale che la globalizzazione liberista aveva costruito nei paesi più ricchi. Gli avanzi della ricchezza accumulata dalle élites non sono più caduti dalla loro tavola,per poter essere nutrimento di tutti gli altri. Il ceto medio e la classe operaia dei paesi occidentali hanno subito una regressione gigantesca nelle condizioni di reddito e sociali, mentre la povertà di massa è dilagata. E alla fine si è disintegrato il consenso ed il sistema di potere economico politico e culturale si è trasformato in élites contestate e rifiutate dal popolo. La crisi della globalizzazione è al tempo stesso economica, sociale e di consenso politico. Se pensiamo che tutte le principali istituzioni e organizzazioni mondiali, e gran parte dei sistemi politici e eel,e lassi dirigenti sono stati plasmati dalla globalizzazione liberista, cominciamo ad intravvedere lo sconquasso che si prepara.
Sono proprio i due primi paesi nei quali la globalizzazione liberista, decenni fa, aveva assunto il potere politico, gli Stati Uniti di Reagan e la Gran Bretagna di Thatcher, sono proprio questi paesi i primi a rompere. E lo fanno con governi di destra, che raccolgono una spinta di contestazione di massa al sistema e tentano di incanalarla verso un modello nazional liberista e xenofobo. Il fatto che Trump e, a che se in maniera diversa Theresa May siano dei raezionari, non significa che contro di loro si debba difendere e chiedere la restaurazione della globalizzazione liberista, tecnicamente anche questa sarebbe una posizione reazionaria. Il pronunciamento popolare sulla Brexit è stato un fatto positivo, così come il rifiuto di milioni di elettori democratici di votare la terribile Clinton pur di fermare Trump. Un storia è finita, anzi è finita la fine della storia di cui parlò il politologo Fukuyama dopo la caduta del muro di Berlino. La storia ricomincia con la crisi della globalizzazione e lo scontro dei prossimi decenni sarà non se, ma su come uscirne. Se dal lato di Trump e di un capitalismo nazionalista e dei suoi muri, oppure da quello della eguaglianza sociale, della libertà di tutte e tutti, del socialismo e non dimentichiamolo mai, del rifiuto della guerra. Per questo chi, nel nome della democrazia, difende ancora la globalizzazione e le sue istituzioni va contrastato a fondo. Perché da un lato impedisce che si vada avanti, dall'altro aiuta la soluzione di destra della crisi. Nei prossimi anni dovremo così imparare a lottare su due fronti, contro il vecchio potere delle élites e dei loro seguaci e contro la destra reazionaria. Non siamo stati con la Clinton contro Trump così come non stiamo e non staremo col PD contro Salvini o chi per lui.
Il terreno principale del conflitto sarà quello della questione sociale, abbandonata dalle sinistre di governo diventate neo liberali e per questo a volte occupata da quella parte della destra che ha fatto proprio il linguaggio del populismo. Con questa ambizione di costruire un'alternativa progressista alla crisi della globalizzazione ripartiamo.
2) La globalizzazione liberista ha distrutto diritti e conquiste sociali di decenni in Europa ed è giunta a minacciare la democrazia e le costituzioni antifasciste. Essa ha operato con precisi strumenti di potere, che sono diventati ancora più oppressivi con la crisi economica e con la politica di guerra permanente scatenata da trenta anni dagli USA e dai governi occidentali. Nonostante questo, la rottura con Euro, UE e NATO non è finora stata una discriminante della politica italiana. La destra populista si dichiara contro l'Euro e non contro la UE nè tantomeno contro la NATO. La sinistra radicale è contro la NATO, ma non contro l'euro e la UE . Il PD e Forza Italia sono a favore di tutto, il M5S con le sue ultime scelte di collocazione europea, poi per sua fortuna saltate, non pare avere posizioni davvero definite.
Le lotte ed i movimenti sociali non hanno mai assunto coerentemente sinora tre NO ad Euro UE NATO. Nella migliore delle ipotesi li hanno dati per scontati come premessa o come conseguenze dei conflitti, ma non li hanno mai assunti direttamente. Questo ha spesso reso più deboli i movimenti nella individuazione dell'avversario. Che invece ha sempre manovrato a tutto campo, usando tutta la filiera del potere per affermare i propri interessi e la propria egemonia. Il fatto che ogni lotta importante ad un certo punto si misuri con la rigidità di un sistema che non ammette mediazioni e che ogni volta si trincera dietro l'impossibilità delle alternative, finora ha permesso al sistema stesso di vincere i conflitti o di isolare le resistenze più tenaci e forti.
3) Il referendum costituzionale per la prima volta da molto tempo ha portato alla sconfitta l'establisment sul terreno sul quale in Italia finora aveva sempre vinto: quello delle riforme liberiste. La vittoria del No alla controriforma della costituzione mostra che anche in Italia ha acquisito forza la cosiddetta onda populista, cioè il rigetto della globalizzazione, dei suoi effetti sociali e il rifiuto delle elités che dalla globalizzazione traggono profitto e potere. Il No è stato una domanda di giustizia sociale che per ora non ha alcuna risposta, anzi alla quale le risposte finora date sono tutte fondate sulla riconferma delle politiche della globalizzazione liberista.
Per la prima volta da tempo esistono lo spazio oggettivo e le condizioni soggettive perché la rottura con Euro UE e NATO, intese come rotture con la forma specifica e immediata assunta dal dominio della globalizzazione sulle classi subalterne del nostro paese, possano acquisire un consenso di massa. Lo stesso schieramento di tutte le istituzioni europee ed occidentali per il Si al referendum, con il suo scarso peso nel voto, dimostra che questo spazio oggi esiste, anche se non è detto che duri per sempre. Sostanzialmente si può affermare che il blocco sociale, politico e culturale che sostiene la globalizzazione ed i suoi strumenti europei è oggi minoranza, o comunque in forte crisi di egemonia.
4) La gravità e la durata della crisi economica hanno però indebolito tutte le risposte dirette ai suoi effetti. Siamo stati abituati alla coerenza tra modo di pensare delle classi subalterne e loro modo d'agire. Cioè quando queste classi non lottavano esprimevano anche un certo consenso al sistema, mentre quando contestavano direttamente la loro condizione assumevano anche un punto di vista critico più generale. Oggi non è così. La crisi costringe ad accettare condizioni di sfruttamento e di oppressione sociale, di perdita di libertà, senza che queste siano condivise sul piano generale. Anzi proprio la rabbia per la condizione materiale che si subisce alimenta il rifiuto, ma solo a livello politico generale, del sistema. Questo apre lo spazio anche a forze ambigue o apertamente reazionarie, che possono trarre vantaggio dalla passività sociale delle masse. Siamo quindi di fronte ad un rifiuto distorto e contraddittorio del sistema da parte di classi subalterne che in gran parte ne subiscono ed accettano gli effetti sulla vita quotidiana, ma che allo stesso tempo investono appena possono nella speranza di un rovesciamento politico che cambi le cose. Questo è il terreno sul quale fanno presa le forze che propongono facili e brutali soluzioni, o affidando tutto ad un leader, all'uomo forte, o proclamando la lotta alla corruzione e alla casta politica come soluzione di tutti i mali, o dirottando la rabbia sociale verso i migranti e solo per questa via alle istituzioni europee e sovranazionali. E tuttavia questo dissenso politico di massa verso il sistema e le sue élites, per quanto contraddittorio, è oggi il primo punto da cui partite per qualsiasi progetto di cambiamento reale.
Si amplia infatti la contraddizione tra la domanda di massa di cambiamento economico e sociale e il fatto che tutte le risposte di cambiamento politicamente "utili", in realtà finiscano per adattarsi al sistema dominante. Questo produce il meccanismo della delusione di massa periodica e ricorrente, con il progressivo logorarsi delle stesse basi della democrazia liberale. Che viene sottoposta a un doppio stress: da un lato per la sua sottomissione alla governance dell'ordoliberismo, dall'altro per la contestazione da parte di forze apertamente reazionarie. Il rischio è quello di una continua regressione in senso autoritario, col continuo rafforzamento delle diseguaglianze sociali, contrastata da rivolte democratiche che la interrompono per un momento, ma poi non la fermano.
5) Di fronte a questa crescente critica e al rifiuto politico del sistema, le risposte delle sinistre e del mondo sindacale confederale sono inesistenti o negative. Le forze di centrosinistra di derivazione socialdemocratica si sono sottomesse alla globalizzazione, pensando di condizionarla, ed ora ne sono assorbite e non a caso vengono identificate come parte dell'establishment. Esse sono diventate semplicemente forze liberali, espressione dell'ideologia del capitalismo compassionevole. I grandi sindacati confederali europei, pur critici a parole della globalizzazione, ne sono complici con la totale adesione alla "governance" della UE e con la pratica concreta della propria azione, con la politica della collaborazione con le imprese e della riduzione del danno. Un ultimo esempio di questa pratica che contraddice totalmente le roboanti affermazioni antiliberiste lo troviamo nell'accordo contrattuale dei metalmeccanici sottoscritto anche dalla FIOM, accordo che è un vero e proprio manifesto ideologico della flessibilità del lavoro e della complicità sindacale con le imprese. È così che si alimenta la passività sociale e quindi il dislocarsi del mondo del lavoro, degli operai in primo luogo, nel campo della protesta politica senza conflitto sociale.
Anche le tradizionali sinistre radicali in Europa non sono riuscite sinora a costruire un'alternativa a quelle socialdemocratiche e alla fine vengono coinvolte e travolte dal loro fallimento. La resa di Tsipras e di Syriza alla Troika ha distrutto una occasione storica della sinistra radicale di costruire un'alternativa alla socialdemocrazia in grado di competere con il populismo di destra. Ora le sinistre radicali europee nella loro maggioranza stanno rifluendo verso un sostegno critico alle socialdemocrazie, cioè marciano verso la propria ininfluenza nell'ambito di un fallimento. Altre forze invece rifiutano di accodarsi alle socialdemocrazie, ma fuggono dalla realtà della politica rifugiandosi nella predicazione della rivoluzione mondiale come unica soluzione. Questa fuga nella palingenesi totale a volte poi copre opportunismi molto concreti nella pratica quotidiana.
Tutte queste tendenze stanno maturando una condizione politica per cui, in Europa, e negli Stati Uniti, l'alternanza di governo sia sempre di più tra due destre, quella tecnocratico finanziaria liberale e quella reazionaria che usa il populismo. Gran parte del centrosinistra neoliberale è oramai assorbito nella dialettica e nel conflitto tra queste due destre, cioè non esiste più come forza realmente indipendente. Nella storia europea recente questa catastrofe della sinistra ufficiale ha un solo precedente: la resa e l'appoggio delle socialdemocrazie europee al massacro della prima guerra mondiale.
6) Contro la governance europea a sinistra stanno oggi alcuni intellettuali e militanti solitari, alcune forze comuniste, organizzazioni sindacali antagoniste in minoranza rispetto al sindacalismo confederale, movimenti politici e sociali territoriali, tra tutti, da noi, i NoTav della ValleSusa. Queste forze sono normalmente ignorate dal sistema mediatico e culturale dominante, che ha scelto di presentare come sola opposizione al sistema di potere europeo il populismo. Senonché sotto questo termine compaiono forze di segno ed orientamento ben diverso. Il partito lepenista in Francia, il M5S In Italia, Podemos in Spagna si collocano su diverse aree e orientamenti da destra a sinistra e non possono essere considerati come un unico fronte populista, come invece fa il palazzo della politica. Questi diversi movimenti mostrano anzi che la spinta critica verso il sistema di potere può volgersi in diverse direzioni e che questo dipende anche dalla capacità delle forze antagoniste e anticapitaliste, che assieme possono ancora pesare, di misurarsi e confrontarsi con la ribellione populista. Col populismo bisogna confrontarsi e non recriminare. Il che però richiede come premessa di rompere totalmente con il sistema di potere politico e sindacale e con le forze del centrosinistra neoliberale.
Il riformismo storico del movimento operaio, il gradualismo nei miglioramenti è morto. Oggi riformismo è solo adattamento al peggioramento. Oggi in Europa il riformismo è diventato l'ideologia del liberismo e la cultura politica delle élites e dei mass media da esse guidati. Il cambiamento progressista non può essere politicamente riformista, ma può avvenire solo con la rottura con il, e del, sistema di potere. Costruire questa rottura e la conseguente alternativa è il solo compito che giustifichi e dia senso ad una rinnovata sinistra anticapitalista sociale e politica. Ogni altra scelta significa condannarsi o ad un ruolo da Testimoni di Geova del socialismo, o all'annullamento nel riformismo complice delle destre.
7) La rottura deve avere obiettivi politici determinati, come sempre è stato per ogni cambiamento e processo rivoluzionario. Quindi la rottura con Euro UE NATO non è solo costituente di una posizione politica, ma un obiettivo reale che bisogna avere il coraggio di dichiarare non solo necessario, ma possibile. La rottura è contemporaneamente obiettivo e cemento di un blocco sociale. Occorre pensare alla rottura come obiettivo di transizione, come passaggio verso un nuovo sistema economico e politico, che non è ancora socialista, ma che non è più quello ordoliberista. La rottura ha il compito di mettere in connessione lotte e movimenti con un obiettivo politico generale unificante. Nel referendum costituzionale abbiamo misurato il contrasto strategico tra la Costituzione del 1948 e la governance europea e occidentale. Bisogna agire su questo contrasto e trasformarlo in rottura politica : o la Costituzione antifascista, o l'Euro, la UE, la Nato.
Non bisogna aver paura di affermare che la rottura punta alla sovranità democratica e popolare innanzitutto nel nostro paese. Non possiamo sincronizzare gli orologi con gli oppressi di tutta Europa ed aspettare l'ora nella quale si ribelleranno tutti assieme. Dobbiamo provare ad organizzare la rottura qui ed ora. All'obiezione sui rischi di nazionalismo bisogna rispondere che ogni comunità corre questo rischio, che va combattuto con l'ampliamento della democrazia e della eguaglianza. E soprattutto mantenendo una dimensione ed una prospettiva internazionale della liberazione dal capitalismo liberista. Bisogna avere fiducia nel fatto che ovunque si produca la rottura, essa si estenderà per contaminazione. Se un popolo rompe con Euro UE NATO, altri ipopoli imporranno scelte analoghe. Non esistono Euro e UE senza l'Italia, salterebbe tutta la baracca per tutti. E sarebbe un grande fatto positivo. La rottura è riconquista di democrazia, potere popolare, eguaglianza sociale, ovunque si avvii poi si diffonderà
8) La scelta di fondo è coniugare ed incrociare il conflitto di classe con quello contro l'esclusione prodotta dall'ordoliberismo. Costruire il blocco sociale degli sfruttati e degli esclusi, un blocco potenzialmente maggioritario, deve essere l'obiettivo. Se costruiamo questo blocco, siamo in grado di volgere verso il potere la rabbia che sfocia nelle guerre tra i poveri, guerre che il potere alimenta e la destra xenofoba utilizza per i propri fini. E possiamo così costruire la solidarietà di tutti gli oppressi, nativi e migranti.
Noi non diremo mai prima gli italiani, ma prima gli sfruttati gli oppressi i poveri, senza distinzione.
La rottura con Euro UE NATO finora ha vissuto solo nel confronto e nel dibattito politico di una parte dei militanti della sinistra di classe e antagonista, ora deve entrare nei conflitti reali. Per questo proponiamo un percorso di lotta che abbia come primo grande appuntamento il vertice europeo di fine marzo. Allora vogliamo riprendere il senso del NO sociale che ha prodotto il grande sciopero del 21ottobre, promosso da USB, UNICOBAS, USI, SICOBAS, e poi la grande manifestazione del 22. Un NO sociale a Euro UE e Nato proponiamo anche ai compagni che hanno manifestato il 27 novembre. Non siamo invece interessati a manifestare assieme a chi ancora chiede la riforma dell'Unione Europea, vuole un euro e magari anche una Nato di sinistra.. C'è un limite alla confusione. Proponiamo inoltre sin da ora di aderire alla mobilitazione anti vertice G7 che si terrà in Sicilia.
Ma non possiamo esistere solo con le mobilitazioni generali, pur indispensabili. Ricordiamo che esattamente un anno fa siamo stati noi a promuovere le manifestazioni contro la guerra che durava da 25, ora 26 anni. Tenere aperto il fronte della lotta alla guerra assieme a tutti gli altri è indispensabile, non a caso diciamo anche No Nato.
Ma tutto questo non basta, dobbiamo costruire una forza che vada oltre le manifestazioni. Dobbiamo cioè trasformare la Piattaforma Sociale Eurostop in una coalizione. È questo un termine che è stato squalificato dalla gestione negativa e strumentale che ne ha fatto il gruppo dirigente della Fiom, ma la necessità della coalizione esiste comunque. Lavoriamo dunque per costruirla ovunque questa coalizione, ogni forza ovviamente con la propria autonomia e con il grado di adesione che riterrà più giusto, ma lavoriamo assieme. E lavoriamo ovunque nel paese, non solo nei grandi appuntamenti nazionali, c'è bisogno delle forze e della coalizione di Eurostop in tante lotte e in tanti luoghi. Abbiamo un compito enorme, ma o noi o nessuno. Per questo non ci faremo ora assorbire dalla competizione elettorale che si prepara, ma giudicheremo le proposte e le candidature sulla base dei nostri punti discriminanti. A giugno tireremo le prime somme del lavoro svolto.
Non è più tempo di attesa, organizziamoci.
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