Il gruppo è nato nel 2009 subito dopo il terremoto dell’Aquila. “Guardavamo in televisione le immagini della città in macerie e la sofferenza della gente, ci è venuto spontaneo attivarci”, racconta oggi Francesco Piobbichi, uno dei fondatori della Brigate. Inizialmente hanno radunato attivisti dei centri sociali e militanti di Rifondazione, un gruppo di un centinaio di persone, poi – grazie anche ad un sapiente uso dei social network – la partecipazione è diventata più ampia andando oltre i giri della sinistra tradizionale. E l’organizzazione oggi conta diverse centinaia di volontari sparsi in tutto il paese. Un numero questo, che si espande come una fisarmonica durante le emergenze fino a coinvolgere migliaia di persone. Sono sorti dal nulla, senza magazzini per raccogliere beni primari né logistica né fondi. Eppure sono andati – armati di forza di volontà e progettualità politica – a l’Aquila dove hanno allestito uno spaccio per distribuire viveri di prima necessità: coperte, vestiti, cibo, acqua. Ma anche pannolini, medicine e giochi per bambini. Quintali di beni consegnati. Tutto materiale raccolto da donazioni dirette dei cittadini: “Portateci roba, c’è bisogno di…” è il messaggio lanciato su facebook diventato virale. A L’Aquila hanno anche gestito per 7 mesi alcuni campi di terremotati, oltre a vari spacci popolari rivolti sopratutto ai terremotati meno abbienti che durante il cataclisma hanno perso tutto. E senza risparmi da parte in banca, diventa impossibile resistere all’emergenza.
Una forma di azione collettiva che, dopo L’Aquila, porta le Brigate ad organizzare un campo di braccianti immigrati a Nardò – sfruttati sotto forma di caporalato – dove riescono a creare le premesse per uno sciopero che resterà storico. Da segnalare il loro sostegno durante i presidi delle fabbriche in crisi, sia con cucine che con il sostegno di una cassa di resistenza finanziata con il progetto “arancia metalmeccanica” che consisteva nell’acquisto delle arance a sfruttamento zero di Rosarno e rivendute nei mercati dai lavoratori delle fabbriche in crisi. Il filo conduttore è sempre la solidarietà.Quella parola che dà anche il titolo ad un libro di Stefano Rodotà secondo cui “è termine tutt’altro che logorato e storicamente legato al nobile concetto di fraternità e allo sviluppo in Europa dei 30 anni gloriosi e del Welfare State”. Per il giurista la solidarietà è oggi un antidoto per contrastare la crisi economica che, dati alla mano, ha aumentato la diseguaglianza sociale e diffuso la povertà: incarnerebbe insieme ad altri principi del “costituzionalismo arricchito” un’opportunità per porre le questioni sociali come temi non più ineludibili.
Sempre la strada della solidarietà ha portato le Brigate ad intervenire nelle alluvioni in Liguria, e nel Veneto, e nel sisma dell’Emilia. Dopo i terremoti del 24 agosto, 26 e 30 ottobre e 18 gennaio sono presenti in tutto il cratere, con due “campi base” ad Amatrice e Norcia e altri due poli logistici a Colli del Tronto e Fermo. Tantissime le donne volontarie. Oltre a punti di approvvigionamento gratuito, percorrono staffette di consegna e organizzano sportelli affinché i cittadini possano ottenere informazioni sui decreti del governo e i loro diritti, che spesso ignorano del tutto. Ora stanno organizzando una filiera antisismica cercando di acquistare i prodotti dei terremotati per venderli nei gruppi di acquisto popolari in giro per il Nord, Il loro intervento si inspira alle forme del mutuo soccorso ma non manca di denunciare le inefficienze e di misurarsi con il “conflitto”.
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Sul sito si ammira la massima trasparenza sui conti: dietro non ci sono banche, i proventi per acquisire beni ed attrezzature giungono da singoli cittadini, circoli, centri sociali e dai vari comitati territoriali (ad esempio i No Tav della Val Susa). In qualche caso, persino dalle curve calcistiche, dagli ultras. Con queste entrate, le Bsa hanno potuto consegnare roulotte, e persino alcune casette mobili ai terremotati, criticando tra l’altro le misure del governo Renzi intraprese dopo il terremoto ad Amatrice. Non si sono ripetuti, per fortuna, gli errori dell’Aquila dove la ricostruzione è stata fatta in nome della speculazione e per il profitto di qualche sciacallo, ma pure dopo Amatrice le cose non tornano. Gli interventi del governo Renzi hanno favorito lo spopolamento delle zone con le persone terremotate spedite in alberghi quando la gente non voleva andare via dalla propria casa. “Le persone – dichiara Piobbichi – non sono state coinvolte nel processo di ricostruzione, questo è il vero problema, senza capire che il controllo popolare è anche il miglior antidoto all’infiltrazione delle mafie: la comunità ha il diritto di partecipare ed essere ascoltata. Adesso stanno assegnando le prime casette mobili ma perché soltanto ora? Dopo mesi? Se le Brigate, senza soldi né gente stipendiata, sono riuscite a fornirne subito qualcuna perché il governo ha latitato?”.
Dopo il sisma, i volontari delle Brigate cercano di sostenere e ascoltare soprattutto le persone meno abbienti e senza alcuna alternativa possibile di vita. Sono le più disperate e, spesso, quelle abbandonate dallo Stato. Il terremoto diventa un acceleratore della crisi e delle diseguaglianze: se prima eri precario dopo il sisma diventi povero. Se invece hai case da mettere sul mercato raddoppi gli affitti. Con il collasso del welfare e i Comuni stritolati dall’austerity, e quindi totalmente dipendenti dal governo centrale, non si riesce ad affrontare le emergenze, per questo risulta fondamentale l’intervento solidale dei cittadini per rafforzare la comunità locale, lo si è visto quando è arrivata la neve. I volontari delle Brigate non sono interessati ad entrare in polemica con la Protezione civile, sottolineando soltanto la struttura elefantiaca che spesso fa rallentare i tempi di intervento. Loro, ovviamente, prediligono il modello più orizzontale e inclusivo, dove non ci sono decisioni calate dall’alto.
Leggenda vuole che durante il terremoto aquilano le Brigate della Solidarietà Attiva abbiano ispirato alcuni militanti di Syriza arrivati dalla Grecia che rimasero colpiti dalla loro efficienza e riportarono le riflessioni sul mutualismo sentite in quel viaggio nel proprio Paese. Quando poi è arrivata la crisi (e quando il partito di Alexis Tsipras era ancora all’opposizione) e si sono create mense del mutuo soccorso, ambulatori e farmacie popolari, cooperative socio-lavorative per disoccupati molti attivisti greci usarono l’esempio delle “cucine degli italiani per i terremotati” per diffondere tali pratiche.
“Siamo una positiva anomalia – afferma ancora Piobbichi – le Bsa mettono insieme nelle pratiche concrete quello che questo modello sociale divide, ricostruiscono il Noi collettivo. Le classi popolari hanno bisogno di difendersi dalla miseria crescente, noi vorremmo essere un esempio da moltiplicare anche per il terremoto della crisi, siamo ancora agli inizi e siamo ben poca cosa, ma in assenza di welfare, sono le forme dell’azione solidale che possono provare a scardinare la guerra tra poveri e ricostruire il significato dell’azione collettiva”.
Il riferimento va a chi pensa ai terremotati italiani, contrapponendoli alla (falsa) notizia dei migranti negli hotel a cinque stelle. “Mentre noi spalavamo la neve al freddo insieme a loro, i politicanti venivano a farsi il selfie per poi fomentare il razzismo” è lo sfogo delle Brigate che in maniera neanche troppo velata puntano il dito contro la passerella del leghista Matteo Salvini. Le Bsa si definiscono autonome ed indipendenti. Si pongono il problema di come essere utili cercando di usare le pratiche sociali come elemento aggregativo, un processo molto diverso dalle forme classiche che abbiamo conosciuto fino ad ora a sinistra. Prima fare e poi parlare, è una frase ripetuta costantemente.
Il pensiero va alla lezione impartita da Podemos, quella di fare la sinistra senza nominarla. Una sinistra che nasce dal basso e capace, in senso letterale, di sporcarsi le mani e portare aiuti concreti. Come amano definirsi i volontari delle Bsa: “La nostra è una pratica del popolo, per il popolo”. Ben arrivata Italia migliore.
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