20 / 1 / 2017
Francesco Silvi global project
La commissione europea ha inviato
il 17 gennaio una breve lettera al governo italiano con la richiesta di 0,20 %
di deficit da coprire con un’ulteriore manovra[1]. Già in quest’autunno
la commissione aveva espresso dei rilievi alla legge di bilancio 2017,
presentata dall’allora governo Renzi. Ci si stava avviando al referendum
costituzionale, con una campagna referendaria molto al di sopra delle righe, e
la stampa italiana si prestò all’operazione mediatica di un “Renzi campione
della flessibilità contro la rigidità europea”. Sin da subito considerare una situazione del genere come uno “scontro” tra parti avverse è apparso inverosimile. Le cifre in discussione in questi scambi epistolari non sono elevate e paesi come Francia, Spagna e Croazia stanno attuando delle politiche di bilancio con margini di deficit molto più ampi rispetto al nostro paese. Viene da chiedersi con semplicità: quanto durerà l’eccezionalità del debito pubblico italiano, se nella maggior parte dei paesi UE il debito negli anni sta convergendo verso cifre elevate? Oppure, quanto ci sia ampia convergenza nel paradigma del controllo della finanza pubblica e del pareggio di bilancio, al di là delle dichiarazioni pubbliche?
Più interessante è rileggere tra le poche righe della lettera quale tipo di investimento politico sia stato fatto nel precedente governo Renzi e cosa aspettarci nei prossimi mesi. La Ue rimprovera all’Italia di aver già usufruito nel biennio 2015-2016 di ampia flessibilità, grazie alle varie riforme strutturali portate in dote (Jobs Act su tutte), utilizzate per politiche di bilancio orientate al sostegno delle imprese. Ma le cose non stanno andando come previsto. Soprattutto, in Italia la situazione è ferma. Per la prima volta dal 1959 il paese è in deflazione[2] e i pochi miglioramenti occupazionali ottenuti sono direttamente legati agli ampi incentivi concessi al capitale privato, bruciando così il capitale “politico” investito in questi anni. I voucher e la crisi del sistema bancario riempiono il dibattito economico.
La legge di bilancio 2017, appena approvata e già in ri-discussione, è apparsa sin da subito come molto debole, nonostante il governo l’avesse rivendicata come la prima legge di bilancio “espansiva” dopo anni. I temi principali sono stati il sostegno ai pensionati, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e, limitatamente, l’industria 4.0. Anche osservando il modo in cui sono stati finanziati i pochi nuovi interventi, la lettura è di una situazione totalmente bloccata. Molte delle entrate principali derivano da interventi una tantum o di difficile stima, come la lotta all’evasione fiscale e il rientro dei capitali dall’estero. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare del Bilancio (UpB), su 29 miliardi di manovra più del 50% è destinato a disinnescare le clausole di salvaguardia, cioè a evitare aumenti di imposta dell’IVA per una cifre superiore ai 15 miliardi di euro[3]. E nei prossimi anni le clausole di salvaguardia aumenteranno, arrivando nel 2019 fino a 23 miliardi di euro! Nelle leggi di bilancio 2018 e 2019 le maggiori entrare, o le minori spese, avranno il principale obiettivo di non far aumentare l’IVA?
Per questo motivo il governo Gentiloni (o Renzi-bis camuffato, che dir si voglia) non ha carte in mano, o volontà, per una trattativa istituzionale con la Commissione Ue, vista anche la sconfitta del referendum costituzionale. Né tantomeno di preparare un nuovo ciclo di politica economica. Affermare che l’obiettivo è consolidare le riforme portate avanti conferma la situazione di stallo nella politica economica per il 2017. Per questa ragione, nel vuoto, si afferma lo sceriffo Minniti, con le sue proposte neo schiaviste, come punta avanzata della progettualità di governo.
Diverso è il contesto europeo. I venti di protezionismo si fanno sentire da tempo e l’elezione di Trump non fa che accelerare il processo. In Europa, in primis la Germania, molte economie sono exported-oriented[4] e in diversi paesi lo stallo degli investimenti è prolungato. Questo autunno, per la prima volta, la Commissione europea ha puntato i fari sui paesi con eccesso di surplus, anche se poi è stata sconfessata dall’Eurogruppo (a proposito di dialettiche istituzionali). Sono diversi gli elementi che fanno pensare alla possibilità di nuove politiche economiche a livello europeo, magari “non convenzionali” come è stato il Quantitative Easing. La speranza del governo italiano è di agganciarsi al Piano Junker per gli investimenti, ma non è certo uno sterile confronto istituzionale che possa rompere con la gabbia del pareggio di bilancio né sperare in trasformazioni dall’alto delle politiche economiche.
[1] Lettera di Dombrovskis e Moscovici al
Ministro Padoan, dal sito del Ministero
dell’Economia e delle Finanze
[3] Rapporto sulla politica di bilancio 2017,
dal sito
dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio
[4] Mentre l’Italia è alla deriva in Germania si
pensa alla deglobalizzazione, Senzasoste.it,
9 dicembre 2016
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