Al di là delle impressioni che potrebbe dare a leggerne solo titoli o ricostruzioni giornalistiche, non racconta questo cambiamento in una prospettiva catastrofista dal punto di vista dell'occupazione e dunque del futuro dei lavoratori e delle lavoratrici. Certo, parla di profonde trasformazioni che stanno investendo il mondo del lavoro nella pressoché assoluta indifferenza della politica.
O meglio di chi dovrebbe, conoscendo e studiando queste trasformazioni, capire come governarle a vantaggio della maggioranza dei cittadini e delle cittadine. Degli uomini e delle donne di cui, per esempio, parla un altro rapporto di questi giorni, quello Oxfam sulle disuguaglianze, che racconta di una forbice sempre più ampia tra l'1% dei ricchi sempre più ricchi (8 super miliardari) e il 50% sempre più povero (3,6 miliardi di persone).
Ecco, sono basita e anche molto allarmata dalla scarsa presa di parola della politica tutta e della sinistra in modo particolare su questi due nodi, che non vi sfuggirà, sono intrecciati e determinano l'utilità o meno di una qualunque forza politica voglia candidarsi a rappresentare un'idea, una visione del mondo, un progetto per il Paese (che naturalmente faccia i conti con il mondo).
Non sarebbe forse questo il modo, lo dico alla mia cara Sinistra Italiana, che in queste ore dibatte di vere o false autonomie, alleanze e scissioni o autosospensioni, di dimostrare di voler far bene al Paese con delle idee, con la forza dei legami sociali che intendiamo rafforzare e infine rappresentare? Dovrebbe essere un dibattito ampio, largo, critico e informato, su cui stabilire e ricostruire campi, alleanze, progetti di governo.
Non perché abbiamo interesse ad avere un ministero o qualche scranno parlamentare (ca va san dir e guai a chi non condividendo usa questi bassissimi argomenti), ma perché ci interessa trasformare la società, liberare le persone dai ricatti, ridar loro potere, redistribuire reddito e lavoro, in poche parole fare il bene di chi sta peggio.
Per farlo, dovremmo confrontarci con tutti, ma soprattutto con quanti, dentro e fuori la politica istituzionale su questo lavorano da tempo, studiano, si impegnano. Penso agli innovatori sociali (tanti ho avuto la fortuna di conoscerli e condividere con loro pezzi di strada); penso ai ricercatori e agli studiosi tutti costretti magari a scrivere su riviste scientifiche che la politica non conosce mai; penso anche a sindaci, amministratori locali e persino parlamentari che su questo hanno costruito pratiche e proposte. Dobbiamo parlare ai progressisti?
Anche. Ma non è questo il punto. Il punto è investire energie, praticare conflitti, stimolare confronti su questo: un reddito minimo garantito per tutte e tutti coloro che vivono sotto la soglia di 8000 euro di reddito e una redistribuzione del tempo di lavoro. Questo consentirebbe di migliorare la qualità del lavoro, di investire in formazione continua, di avere, di fatto, un salario minimo, di lavorare meno e meglio.
Impossibile? No. Di certo molto diverso dalle misure tampone che di volta in volta vengono usate da tutte le forze del "ei fu" centrosinistra per "passare la nottata", dal governo o dall'opposizione poco cambia. La mia più grande preoccupazione è che costruiamo una forza autonoma che si accontenta di dirsi autonoma, ma che non abbia idee praticabili per definirsi tale. E che lasciamo il partito democratico, e non Renzi e i suoi sfidanti interni, ma la sua base, i suoi amministratori e persino i suoi elettori preda della solita urgenza di rispondere con misure spot, fintamente risolutive.
Traduco, non risolveremo la situazione se il governo approva il Reis (reddito di inclusione, una misura di contrasto alla povertà più simile a una social card che a un reddito minimo), se il M5S ripete come un mantra "reddito di cittadinanza", se Sinistra Italiana fa finta di mettere il reddito minimo garantito nel suo programma mai sostenendolo troppo convintamente per non dare problemi ai sindacati (non tutti per fortuna contrari) o per non offendere qualche dirigente contrario che non ne vede le potenzialità.
Risolveremmo la situazione se si attuasse, chiunque ne sia il portabandiera, a partire dalla proposta di legge di iniziativa popolare su cui una mobilitazione e una consapevolezza popolare si era comunque espressa. Di questo abbiamo bisogno di coinvolgere, di spiegare i campi in base alle idee e a chi ha voglia di sostenerle e attuarle.
Questo per me può essere progressismo, ma di sicuro, chiamiamolo come ci pare, significa capacità di vedere il futuro. E attrezzarsi per non subirlo. O più banalmente politica con un minimo di ambizione, quella di tornare ad avere un ruolo che altrimenti sarà completamente consegnato alla finanza. Altro che Pd.
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