mercoledì 18 gennaio 2017

Cosa succede durante un fermo in Turchia. Intervista a Barbara Spinelli

dinamo press Natascia Grbic
Abbiamo intervistato Barbara Spinelli, avvocata espulsa dalla Turchia e che ha passato quasi 24 ore in stato di fermo, subendo trattamenti lesivi dei diritti e della dignità umana.
Barbara Spinelli è un'avvocata che da anni opera come osservatrice in Turchia: da sempre ha denunciato le lesioni dei diritti umani che avvengono nel paese e proprio per questo il presidente Recep Tayyip Erdoğan gliel'ha voluta far pagare cara, espellendola dal paese e sottoponendola a trattamenti contrari alla dignità umana. Come redazione di DINAMOpress esprimiamo piena solidarietà all'avvocata Barbara Spinelli e denunciamo con forza quanto accaduto, sottolineando anche il grado di vergogna che dovrebbe provare il governo italiano per aver ignorato la faccenda. Solidarietà a Barbara e a tutte le persone detenute in Turchia, colpevoli di voler difendere i diritti umani.
Cosa succede se sei un'avvocata che si occupa di diritti umani e vai spesso in Turchia a compiere il tuo ruolo di osservatrice? Provate a chiederlo a Barbara Spinelli che, appena arrivata all'aeroporto di Istanbul per partecipare a una conferenza ad Ankara, è stata fermata dalla polizia e respinta dal paese, con il divieto permanente di reingresso. Dal momento del suo fermo al momento del suo respimgimento però, passano molte ore: dalle 19 alle 13 del giorno dopo, Barbara Spinelli è stata chiusa a chiave in una stanza con la luce accesa – così forte da far male agli occhi ed impedirle di riposare – e con il televisore mai spento. Nessun orologio, nessun riferimento temporale.
«Io e le altre cinque donne che eravamo in stanza insieme non avevamo la minima idea di quanto tempo fosse passato dal nostro arrivo – racconta l'avvocata – Riuscivamo a capire più o meno quanto tempo fosse passato guardando le pubblicità che passava la televisione». La polizia le ha sequestrato la batteria del cellulare per impedirle di fare chiamate: «Mi sono rifiutata di consegnare il mio telefono perché è una chiara violazione dei miei diritti. Mi hanno costretto però a dargli la batteria».
Quello che è successo è gravissimo dato che, in caso di fermo in un paese straniero, bisogna obbligatoriamente consentire alla persona in difficoltà di avvertire il console dello Stato d'origine. A Barbara Spinelli questa cosa è stata impedita. «Laura Ferrari Bravo è la console italiana a Istanbul e ha saputo che ero stata fermata solo perché sono riusciti ad avvertirla da fuori. Ha chiamato la polizia chiedendo di vedermi e gliel'hanno impedito, ha chiesto di parlarmi e gliel'hanno impedito. Le hanno detto che “stavo bene” e che “avevo un letto”. È stata la prima persona ad avermi chiamato quando sono stata rilasciata e la ringrazio molto per questo».
Solidarietà a Barbara Spinelli è arrivata da più parti: dal mondo dell'avvocatura tutto – ad attenderla all'aeroporto in Italia c'era il presidente dell'Ordine di Bologna – da quello del giornalismo. In Turchia e in Italia, singoli e associazioni le hanno mostrato la propria vicinanza ed espresso sdegno per quanto è successo. Tutti, tranne uno, il grande assente: il governo italiano. «Mi sarei aspettata almeno un messaggio dalla presidenza di Camera e Senato ma nulla, il che è grave. Già solo il fatto che mi abbiano vietato di chiamare il console avrebbe dovuto suscitare un loro intervento».
Il fermo di Barbara Spinelli non è stato giustificato in nessun modo dalla polizia, né a lei né alla console italiana che più volte ha chiamato per avere sue notizie: addirittura, al suo rilascio, non le volevano rilasciare nemmeno un foglio di espulsione. «Gli ho detto che non me ne sarei andata fino a che non mi avessero consegnato un qualcosa che attestasse quanto successo».
In Turchia molti avvocati turchi e curdi che si occupano di diritti umani sono stati arrestati e adesso si trovano in carcere. Gli osservatori internazionali hanno rilevato che la maggior parte delle volte, durante lo stato di fermo, sono sottoposti a tortura. In questi momenti non è possibile ricevere alcuna informazione sul loro status e le loro condizioni. Molte associazioni di avvocati sono state proibite e anche l'informazione “ripulita” completamente. «Quasi tutti gli avvocati che hanno denunciato il coprifuoco sono indagati – continua Barbara Spinelli – E hanno il divieto d'espatrio. Se loro non possono uscire e noi non possiamo entrare per conoscere la situazione (posto che su Internet non possono scrivere nulla perché viene utilizzato contro di loro in sede di indagini) è chiaro che si va in una direzione molto pericolosa»
L'ultimo avvocato italiano espulso dalla Turchia prima di Barbara Spinelli, è stato negli anni Novanta Arturo Salerni, l'avvocato di Abdullah Ocalan, leader del movimento curdo. «Avevo paura che in una situazione di deriva autoritaria dello stato turco sarebbe potuto succedere qualcosa, ma mi auspicavo che il mio lavorare in maniera così diretta e aperta rispetto alle attività che facevo sul territorio, avesse impedito la mia espulsione». La situazione dei diritti umani in Turchia non è affatto rosea, soprattutto dopo i numerosi decreti emessi durante lo stato d'emergenza. Quest'ultimi non si possono impugnare davanti alla Corte costituzionale e sono lesivi dei diritti di difesa soprattutto dei detenuti durante il fermo di polizia. Se ci aggiungiamo che sono stati poi varati da un Parlamento in cui non esiste l'opposizione, che è tutta in carcere, si capisce quanto sia forte la deriva autoritaria del governo guidato da Recep Tayyip Erdoğan.
Alla fine Barbara Spinelli è intervenuta alla conferenza a cui avrebbe dovuto partecipare ad Ankara via Skype ed è stata informata dagli avvocati presenti che era stata presentata un'interrogazione al presidente Erdoğan per chiedergli spiegazioni della sua espulsione. A oggi Erdoğan non ha ancora risposto, così come il governo italiano, che ha ignorato completamente quanto accaduto all'avvocata Barbara Spinelli, nonostante la gravità dei fatti.
«Quello che mi rende tollerabile l'espulsione dalla Turchia è sapere che ci sono tanti altri avvocati e avvocate pronti a continuare il mio lavoro e che non si fanno intimorire da questa deriva autoritaria. In quella stanza, durante il mio fermo, non mi sono mai sentita sola, e ho sempre saputo che c'erano persone fuori da quella porta che stavano lavorando per tirarmi fuori di lì e denunciare la situazione. Ma al di là dell'esperienza umana e personale, quello che dovrebbe essere compreso è il suo significato. Che grado è, della presenza di democrazia in un paese, l'espulsione di un avvocato? Dire che non è gradito un avvocato che si occupa di diritti umani da parte di uno stato che fa parte del Consiglio d'Europa minaccia ancora di più la possibilità di sopravvivenza di una parte democratica del paese».

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