Diversamente dalla propaganda del governo sulle riforme degli Enti Locali, il decreto legge Del Rio non prevede l’abolizione delle Province. Per eliminare completamente le Province ci sarebbe voluta una riforma della Costituzione e non un decreto legge.
Leggendo
il testo della legge si viene a scoprire che le amministrazioni locali
saranno categorizzate in
città metropolitane,
province,
unioni di comuni,
comuni.
Le province, non saranno quindi abolite ma avranno funzioni limitate e saranno gestite dai primi cittadini locali, non più da funzionari provinciali e da giunte specifiche. Inoltre, le giunte provinciali rimarranno, ma non saranno più elette direttamente dai cittadini. Le province quindi verranno praticamente svuotate dalla rappresentanza politica, ma rimarranno in capo ad esse ancora numerose attività, soprattutto del settore dei trasporti, della costruzione e gestione delle strade provinciali e insieme ai comuni dell’edilizia scolastica.
Il decreto prevede inoltre, la costituzione delle città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. A queste si deve aggiungere, con alcune specificità, Roma capitale. Ricordiamo che sono già state costituite dalle Regioni a statuto speciale: Palermo, Catania, Messina, Cagliari e Trieste. Le città metropolitane avranno la funzione delle province con il sindaco del capoluogo che diventerà sindaco metropolitano. Il consiglio metropolitano verrà composto dal sindaco metropolitano e da: 24 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione superiore a 3 milioni di abitanti, 18 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione superiore a 800mila persone e inferiore o pari a 3 milioni di abitanti, 14 consiglieri nelle città con popolazione inferiore a 800mila abitanti.
Le elezioni a cui parteciperanno solo i consiglieri e i sindaci dei comuni della provincia, si terranno entro il 12 Ottobre 2014 (a Roma il 5 Ottobre 2014) e i nuovi Consigli Metropolitani entreranno in funzione dal 1 Gennaio 2015.
Sostanzialmente la legge 56/2014 denominata legge Del Rio, vuole essere una riforma-ponte delle autonomie locali, ma ci troviamo di fronte a una normativa penosa, poco seria e con una carenza assoluta di cultura che rischia di portare queste istituzioni a una sorta di paralisi funzionale. Facendo un confronto con la costituzione delle aree metropolitane europee, l’Inghilterra e la Spagna, hanno già fatto marcia indietro, lasciando come aree metropolitane solo le loro capitali: Londra e Madrid.
Insomma, si tratta sostanzialmente di una nuova legge che si aggiunge ai molteplici interventi sconclusionati, occasionali e approssimativi in materia di enti locali, frutto della legislazione di crisi. E’ una legge scritta “con i piedi”, composta di un solo articolo e da 151 commi, che istituisce le città metropolitane, pensate già nel 1990 e rimaste al palo. Come abbiamo detto, ne sono previste 10 all’interno di un quadro evanescente e subordinato ad una riforma costituzionale.
I limiti di questa riforma-ponte sono molteplici che non regge nemmeno in termini costi/benefici.
A fronte di risparmi modestissimi (per la propaganda governativa 110 milioni, ma secondo la Corte dei Conti solo 35 milioni), si va verso una sovrapposizione di enti e di funzioni che aumenteranno difficoltà dei Comuni e peggioreranno i servizi ai cittadini. Si assisterà allo strapotere del sindaco della città metropolitana, non designato con elezione diretta, ma nominato solo da alcuni dei sindaci rappresentati nel consiglio metropolitano. In primis questa legge, sacrifica sull’altare della semplificazione dello Stato e della Pubblica amministrazione, la democrazia delegata: i cittadini verranno espropriati del diritto di voto con le decisioni collettive che si ripercuoteranno sulla loro vita quotidiana, dove saranno dei burocrati politicisti a decidere al di sopra di ogni controllo minimamente popolare. Si “abolisce” un ente di rilevanza costituzionale, eletto dal “popolo sovrano”, per dare vita a un qualcosa di indefinito, sicuramente anticostituzionale, disarticolato, confuso, foriero di nuovi inevitabili conflitti istituzionali. La gratuità degli incarichi è una scelta demagogica, per nulla giustificata, visto la rilevanza dei compiti affidati a questi organi, per cui ne può derivare un disincentivo per l’impegno amministrativo, se non un aumento dei problemi di corruzione nelle amministrazioni locali.
Si mette in moto una macchina poco affidabile su un percorso irto di complicazioni. Troppi i criteri applicativi che suggeriscono cautela, rischiando di fare danni irreversibili come “un elefante dentro un negozio di cristalleria”.
Queste scelte saranno come dei fendenti legislativi che provocheranno profonde e durature lesioni alla democrazia locale, dove la soppressione o decostituzionalizzazione delle Province sarà contraddittoria e in contrasto con i principi autonomistici della Costituzione e con la Carta europea delle autonomie locali. Se vogliamo essere buonisti, possiamo dare la colpa alla fretta che è sempre stata una pessima consigliera.
Concludiamo con due domandine semplici, semplici:
1) come mai non si tagliano gli sprechi dei 19.000 componenti dei consigli di amministrazione delle 7.800 società partorite dal clientelismo del potere politico?
2) come mai non si riducono drasticamente le indennità dei parlamentari e dei dirigenti della P.A.?
* Rete dei Comunisti, Roma
città metropolitane,
province,
unioni di comuni,
comuni.
Le province, non saranno quindi abolite ma avranno funzioni limitate e saranno gestite dai primi cittadini locali, non più da funzionari provinciali e da giunte specifiche. Inoltre, le giunte provinciali rimarranno, ma non saranno più elette direttamente dai cittadini. Le province quindi verranno praticamente svuotate dalla rappresentanza politica, ma rimarranno in capo ad esse ancora numerose attività, soprattutto del settore dei trasporti, della costruzione e gestione delle strade provinciali e insieme ai comuni dell’edilizia scolastica.
Il decreto prevede inoltre, la costituzione delle città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. A queste si deve aggiungere, con alcune specificità, Roma capitale. Ricordiamo che sono già state costituite dalle Regioni a statuto speciale: Palermo, Catania, Messina, Cagliari e Trieste. Le città metropolitane avranno la funzione delle province con il sindaco del capoluogo che diventerà sindaco metropolitano. Il consiglio metropolitano verrà composto dal sindaco metropolitano e da: 24 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione superiore a 3 milioni di abitanti, 18 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione superiore a 800mila persone e inferiore o pari a 3 milioni di abitanti, 14 consiglieri nelle città con popolazione inferiore a 800mila abitanti.
Le elezioni a cui parteciperanno solo i consiglieri e i sindaci dei comuni della provincia, si terranno entro il 12 Ottobre 2014 (a Roma il 5 Ottobre 2014) e i nuovi Consigli Metropolitani entreranno in funzione dal 1 Gennaio 2015.
Sostanzialmente la legge 56/2014 denominata legge Del Rio, vuole essere una riforma-ponte delle autonomie locali, ma ci troviamo di fronte a una normativa penosa, poco seria e con una carenza assoluta di cultura che rischia di portare queste istituzioni a una sorta di paralisi funzionale. Facendo un confronto con la costituzione delle aree metropolitane europee, l’Inghilterra e la Spagna, hanno già fatto marcia indietro, lasciando come aree metropolitane solo le loro capitali: Londra e Madrid.
Insomma, si tratta sostanzialmente di una nuova legge che si aggiunge ai molteplici interventi sconclusionati, occasionali e approssimativi in materia di enti locali, frutto della legislazione di crisi. E’ una legge scritta “con i piedi”, composta di un solo articolo e da 151 commi, che istituisce le città metropolitane, pensate già nel 1990 e rimaste al palo. Come abbiamo detto, ne sono previste 10 all’interno di un quadro evanescente e subordinato ad una riforma costituzionale.
I limiti di questa riforma-ponte sono molteplici che non regge nemmeno in termini costi/benefici.
A fronte di risparmi modestissimi (per la propaganda governativa 110 milioni, ma secondo la Corte dei Conti solo 35 milioni), si va verso una sovrapposizione di enti e di funzioni che aumenteranno difficoltà dei Comuni e peggioreranno i servizi ai cittadini. Si assisterà allo strapotere del sindaco della città metropolitana, non designato con elezione diretta, ma nominato solo da alcuni dei sindaci rappresentati nel consiglio metropolitano. In primis questa legge, sacrifica sull’altare della semplificazione dello Stato e della Pubblica amministrazione, la democrazia delegata: i cittadini verranno espropriati del diritto di voto con le decisioni collettive che si ripercuoteranno sulla loro vita quotidiana, dove saranno dei burocrati politicisti a decidere al di sopra di ogni controllo minimamente popolare. Si “abolisce” un ente di rilevanza costituzionale, eletto dal “popolo sovrano”, per dare vita a un qualcosa di indefinito, sicuramente anticostituzionale, disarticolato, confuso, foriero di nuovi inevitabili conflitti istituzionali. La gratuità degli incarichi è una scelta demagogica, per nulla giustificata, visto la rilevanza dei compiti affidati a questi organi, per cui ne può derivare un disincentivo per l’impegno amministrativo, se non un aumento dei problemi di corruzione nelle amministrazioni locali.
Si mette in moto una macchina poco affidabile su un percorso irto di complicazioni. Troppi i criteri applicativi che suggeriscono cautela, rischiando di fare danni irreversibili come “un elefante dentro un negozio di cristalleria”.
Queste scelte saranno come dei fendenti legislativi che provocheranno profonde e durature lesioni alla democrazia locale, dove la soppressione o decostituzionalizzazione delle Province sarà contraddittoria e in contrasto con i principi autonomistici della Costituzione e con la Carta europea delle autonomie locali. Se vogliamo essere buonisti, possiamo dare la colpa alla fretta che è sempre stata una pessima consigliera.
Concludiamo con due domandine semplici, semplici:
1) come mai non si tagliano gli sprechi dei 19.000 componenti dei consigli di amministrazione delle 7.800 società partorite dal clientelismo del potere politico?
2) come mai non si riducono drasticamente le indennità dei parlamentari e dei dirigenti della P.A.?
* Rete dei Comunisti, Roma
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