Venezuela. Il vicepresidente e gli operai riaprono le fabbriche di detersivo della Clorox. Le fabbriche chiudono? Governo e operai forzano le serrature e le riaprono. Funziona così nel Venezuela socialista, dove la parola dei lavoratori si fa sentire, senza bisogno di ridursi a lamento televisivo.
il manifesto Geraldina Colotti
Ha funzionato così nelle due sedi della
compagnia statunitense Clorox, negli stati di Miranda e Carabobo.
«Abbiamo aperto i lucchetti e siamo entrati. Gli imprenditori se ne
sono andati lasciando un loro rappresentante in Argentina e un
avvocato qui da noi», ha detto ai giornalisti il vicepresidente
della Repubblica, Jorge Arreaza che ha accompagnato gli operai.
Pochi giorni fa, l’impresa aveva lasciato tutti a casa: lamentando
restrizioni imposte dal chavismo, interruzione nella fornitura
del materiale e insicurezza economica. Gli operai avevano
protestato bloccando il traffico e avevano chiesto l’intervento
del governo.
E il governo ha risposto: in linea con
l’atteggiamento che guida la «rivoluzione bolivariana» fin dai
primordi. «Gli imprenditori hanno violato la Legge del lavoro per il
proprio tornaconto, gettando per strada oltre 474 persone — ha
spiegato Arreaza in uno dei due impianti — siamo qui per rimettere le
cose a posto con un’occupazione temporanea». Dopo la chiusura della
fabbrica, il 22 settembre, i lavoratori si sono riuniti fra loro
e con rappresentanti del parlamento, del ministero del Lavoro, del
Commercio e dell’Industria e hanno messo a punto un piano di
intervento e di gestione: «Se avessimo avuto un governo capitalista
oggi più di 780 lavoratori non avrebbero alcuna speranza di
recuperare il posto», ha detto il delegato Luis Piñango,
riassumendo i termini della vicenda.
La fabbrica ha funzionato fino al 19,
ma il lunedì gli operai hanno trovato i portoni chiusi. A tutti,
è arrivato un sms da parte del presidente dell’impresa, Oscar
Ledezma: «Ce ne andiamo dal Venezuela, vi abbiamo depositato sul
conto la liquidazione, la fabbrica non riaprirà». Gli operai
ricorrono al Ministero del lavoro, che ordina ai responsabili
Clorox di riprendere l’attività. Di fronte al silenzio dell’impresa,
si procede allora all’«occupazione temporanea».
La legge venezuelana, che contempla
gli espropri di fabbriche e latifondi, prevede però anche un
congruo rimborso. Molte grandi imprese lucrano perciò a un doppio
livello: dapprima chiedendo dollari al cambio agevolato per
importare prodotti che, di solito, non impiegano davvero per
mandare avanti la produzione; e poi fuggendo col «bottino», sicuri
di essere comunque risarciti. In questi giorni, il Centro nazionale
di Commercio estero (Cencoex) ha chiesto al MInisterio publico di
aprire un’indagine su 15 imprese che, sulle 83 che hanno chiesto
dollari a prezzo agevolato, non hanno fornito giustificazioni
convincenti sull’impiego del denaro.
Soldi, protesta la parte più radicale
della sinistra chavista, che potrebbero essere impiegati per
potenziare ulteriormente le misure sociali. La corrente che spinge
per l’aumento dell’autogestione e del controllo operaio evidenzia
anche i rischi prodotti dalla statalizzazione delle fabbriche,
tra i quali la burocratizzazione e l’insinuarsi della mentalità
«da impiegato statale» nella classe operaia.
Temi di cui si discute nei quartieri
e nelle fabbriche, in un paese a economia mista — statale,
cooperativa e autogestita e privata — che punta su un modello di
stato decentrato e sulle «comuni» autogestite per portare più
a fondo l’esperienza del proprio «laboratorio». A luglio 2015, preso
la Venezolana de Telecomunicaciones di Punto Fijo, nel Paranà,
si svolgerà il primo incontro internazionale delle fabbriche
recuperate. Una realtà già consolidata nel paese, che ha preso
avvio dopo il golpe contro Chavez del 2002 e la fuga di molte grandi
imprese dal Venezuela socialista. E ora molte altre realtà
potrebbero seguire la strada di Clorox.
Intanto continua il piano per il
disarmo volontario, in atto in 72 punti del paese: «Stiamo scambiando
armi contro studio, armi contro futuro. Ci consegnano pistole
e fucili e ricevono gli strumenti per le attività
socioproduttive», ha detto il ministro degli Interni giustizia
e pace, Miguel Rodriguez Torres.
Per comunicare il proprio
orientamento e disinnescare il finanziamento di ulteriori piani
sovversivi, domenica il governo venezuelano ha comprato una pagina
del New York Times . Nell’annuncio, parti del discorso
pronunciato all’Onu dal presidente Nicolas Maduro in cui chiede la
fine del blocco Usa contro Cuba, la decolonizzazione di Porto Rico
e annuncia la donazione di 5 milioni di dollari per la lotta contro
l’ebola. «Inutili sprechi», ha commentato Henrique Capriles, l’ex
candidado alla presidenza per l’opposizione.
Alla guida della sua coalizione, la
Mud, Capriles ha sponsorizzato il popolare giornalista
Clodovaldo ” Chuo” Hernandez, che ha un noto programma rivolto ai
quartieri. «Cercano contatti con la strada, ma il nostro è
il governo della strada», ha detto Miguel Torres. E comunque, chi la
strada vorrebbe riaccenderla con bombe e violenze — il partito di
Leopoldo Lopez e l’area di Maria Corina Machado — non ha votato
per “Chuo”.
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